N.01
Gennaio/Febbraio 2020

La sobria ebbrezza dell’amore

Un testo di Sahdona

 

Il testo che presentiamo questo mese è di un autore siriaco dei primi del VII secolo, chiamato Sahdona, conosciuto anche come Martyrios o Martyrius; il testo è tratto dalla sua opera “Il libro della perfezione”. A una prima lettura, può sembrare adatto solo a monaci con un avanzato stato mistico. Invece, se riflettiamo bene, vediamo che quanto dice, sotto l’immagine patristica classica della sobria ebrietas, è di grande aiuto per tutti. Immaginiamo di leggere questo testo, sostituendo alla descrizione degli effetti del vino, la consapevolezza della nostra relazione con Cristo, l’abbandono fiducioso alla sua presenza nella nostra vita: vedremo che il testo prende, allora, una forma molto più familiare. Chiunque tiene gli occhi fissi in Cristo non teme alcuna tempesta. E può non solo “sopportare”, ma addirittura essere allegro nel mezzo di ogni sofferenza vissuta nel suo nome. In controluce vediamo stagliarsi le figure di Francesco di Assisi e la sua perfetta letizia; e Ignazio di Loyola, con il suo “terzo grado di umiltà”.  

 

 

“Coloro che amano Dio e sono feriti dal suo amore assomigliano infatti agli ubriachi. L’ubriaco eccitato dal vino, vive in un completo stato di ebetismo: cammina sulla terra, ma senza averne coscienza; sta tra la gente, ma non distingue chi sono le persone. Accade spesso che lo si colpisca, ma non lo sente; che lo si insulti, ma non è offeso; che lo si lodi, ma non se ne inorgoglisce, incapace com’è di prendere coscienza di ciò che sente, a causa del suo grande stordimento. Se molta gente si rivolge a lui, non se ne accorge, perché l’attenzione del suo cuore è assorbita nell’ardore del vino che lo infiamma. E, quando dorme sul pavimento, immagina di volare nell’aria. Così è di chi ebbro dell’amore divino e si infiamma per il desiderio per il suo Signore: i movimenti della sua anima sono continuamente occupati da Dio, e il suo cuore è rapito verso di Lui. Il suo corpo cammina sulla terra, ma la sua mente dimora in cielo con Cristo, perché il suo corpo è morto per il mondo, e la sua anima brucia d’amore per le cose del cielo. Egli dimora presso creature corporali, ma il suo spirito vagabonda e grida “santo” insieme agli esseri spirituali, meditando la profonda meraviglia della maestosa gloria di Dio, e considerando con stupore la grande profondità della sua sapienza nascosta, e meravigliandosi dell’abbondante ricchezza della sua grazia. E quando è colpito di botte per amore della verità che si impadronisce di lui, non ne soffre; se è insultato per il suo amore, si rallegra ed esulta di aver meritato di essere insultato per amore del nome di Cristo. E, se è lodato per la sua condotta, non si inorgoglisce affatto, perché non è più lui che vive, ma cristo che vive in lui […]. 

È di questo amore che erano ebbri anche tutti gli altri apostoli; e tutti i martiri bruciavano di questo fuoco: anche se morivano ogni giorno, il loro spirito non si raffreddò mai per l’amore di cristo, ed essi non abbandonarono mai questo amore. Ed è un amore così grande che possiedono tutti coloro che percorrono generosamente questa via della giustizia, al seguito di Cristo”.  

 

(Testo tratto da S. Brock, La spiritualità nella tradizione siriaca, Roma, 2006, 203-4). 

 

 

 

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