N.06
Novembre/Dicembre 2021

Don Felice Canelli

Le scarpe di don Felice

Sono consumate, le scarpe di don Felice Canelli. Quelle scarpe camminano tanto per la Puglia e, soprattutto, attraversano San Severo, dove don Felice è per mezzo secolo, parroco di “Croce Santa”. E’ quella una zona prima disabitata e poi di estrema periferia, divenuta d’intensa urbanizzazione sotto l’onda d’urto dell’immigrazione. Grazie a don Felice diviene cuore pulsante del territorio e centro di vita cristiana, con gente di carattere forte e potenzialmente incline all’ideologia comunista. Sono scarpe che camminano, qualche volta corrono e sempre percorrono strade, vie di case e silenzi, spazi d’incontro e solitudini. Don Felice, formatosi prete alla scuola esigente del Vescovo Cappuccino Mons. Bonaventura Gargiulo, aveva inteso giovanissimo che il Vangelo deve farsi vita nella concretezza del gesto, e allora quelle scarpe le indossa per accorrere, ma al povero anche le cede, camminando per loro tramite sentieri altri, addentrandosi fin nel buio delle povertà più totali. «Anima vibrante» dell’azione cristiano-sociale «di Capitanata», come viene definito, egli è un omino basso e magro da cui sprigiona un’energia incontenibile. “U frzzcarill”, lo chiama in dialetto: vivacità nel bene, ardore di carità, impeto di carattere. 

Sono infinite le iniziative che prende, le realtà che anima: sempre orientate alla promozione integrale del prossimo, lontane dall’indifferenza ma anche da quelle dinamiche assistenziali che ingenerano dipendenza e impediscono di crescere. Segue, così, l’Azione Cattolica di cui è promotore in Diocesi; le Dame e le Damine di Carità, secondo la spiritualità vincenziana; si occupa dell’Associazione Scout Cattolici Italiani e dell’Opera Nazionale maternità e infanzia… Alle donne, anche abbienti, chiede di togliersi i gioielli prima di servire il povero, per non umiliarlo. Ai giovani di impegnarsi senza paure nel sociale, di fuoriuscire dalle pigrizie, dai privilegi, dal localismo: di farsi protagonisti con coraggio del proprio tempo. Quando, nel 1949, il Ministro Umberto Tupini visita San Severo, don Felice Canelli mette anche lui a servire il pranzo ai bambini poveri e quell’autorità venuta da Roma passa tra le fila dei piccoli, forse ignari della sua reale importanza, vestiti come potevano, fermi come ci riuscivano. 

Cresciuto in un clima dove il sacerdozio ministeriale era ambíto anzitutto quale garanzia sociale e privilegio, o rinchiuso nell’osservanza esatta, ma sterile di pratiche cultuali, don Felice Canelli lo esige invece «Sacerdozio attivo, ardito, esigente, instancabile, consumato di fatica e di amore per Gesù, Maria, [la] Chiesa». Serve “ardere per accendere”, come lui dice; farsi pane, farsi mangiare perché gli altri credano. E allora don Felice ha questa capacità di guardare ad alcuni modelli e diventare amico di chi glielo può insegnare: sia nell’obbedienza al Papa e ai propri vescovi, sia in quel sentire cum Ecclesia che lo vede in prima linea nel seguire da vicino gli sviluppi, i drammi, i fermenti e le speranze del proprio tempo. Guarda poi alla tradizione. Aveva “ricevuto” «il Serafico in Ardore», san Francesco d’Assisi, dall’indicazione del Vescovo Gargiulo, il Vescovo della sua giovinezza; san Vincenzo de’ Paoli dall’arcidiacono Antonio Maria La Monaca; don Bosco dai Salesiani presenti per alcuni decenni in San Severo, cui egli si lega come Cooperatore. Li chiama i suoi “tre furti”, don Felice: Francesco d’Assisi, Vincenzo de’ Paoli e Giovanni Bosco. Amici che danno spessore e profondità al suo essere, senza sottrarlo in nulla alla sua vocazione convinta di prete diocesano. Con loro, don Felice Canelli dapprima impara a vedere il povero – lui che, bambino e adolescente, povero lo era stato per necessità e lo era poi rimasto per scelta –; poi a vedere nel povero Cristo, “la carne di Cristo” come direbbe oggi Papa Francesco; quindi a vedere il povero con il cuore di Cristo stesso.  

Allora le scarpe di don Felice, sempre in corsa e talvolta ai piedi stessi del povero, sono anche scarpe che sostano, che non si consumano più quando è lui a consumarsi restando: davanti all’Eucaristia, che adora con passione e al cui culto forma altri, sostenendo molteplici iniziative ma anzitutto con la testimonianza personale. È proteso verso l’Eucaristia anche fisicamente, trasfigurato di particolare luce durante la celebrazione, attratto sino alla levitazione durante una Consacrazione. Prete degli ultimi, è qui che egli attinge forza e dice grazie, qui che tace o corre a intercedere. È al suo Signore che don Felice parla con piglio anche forte, perché – come spiega un testimone – «don Felice con Gesù ci parlava ed anche ad alta voce, come quando uno chiacchiera, come fosse quasi un discorso prepotente»: le mezze misure gli erano sempre mancate. 

Lui, prete degli ultimi e insieme contemplativo, anima eucaristica che tocca nel povero la carne di Cristo, tiene unite le due dimensioni, vive dalla loro comune radice. E lo scrive, a modo suo, cioè con una prosa secca e veloce, carica di senso, in un testo nel 1953: «Gioia nel dare – mamma che allatta il suo bimbo – serena gioconda largizione ecc… bisogno di dare […] la vita sua data per la vita del bimbo ecc… Gioia di Gesù nel farsi tutto all’uomo nella Comunione ecc.». Ecco: la mamma da una parte, con il suo latte che dà vita; Gesù dall’altra, con il dono di sé nell’Eucaristia. Gesù ci nutre di sé come una mamma fa con il suo bambino; guardando una mamma ne abbiamo la più splendida icona. 

Don Felice Canelli così – che di anni ne ha vissuti 97, in salute fino a poco prima, anima trinitaria oltre che eucaristica – muore il 23 novembre 1977 appena terminato di recitare a braccia elevate il Gloria al Padre… Il Signore Gesù l’ha trovato nella luce oscura della fede e negli occhi dei piccoli; nella solennità di una liturgia ben curata e nel gesto semplice di una giovane donna che nutre suo figlio. L’aveva trovato – anche – coltivando legami significativi, mettendosi nelle condizioni di chiedere, di capire e di ricevere aiuto dai grandi del suo tempo, facendosi amici gli amici di Dio. Se ne contano – di questi amici speciali, oggi santi, beati, venerabili o Servi di Dio, ma allora persone ancora in cammino – quasi 20: tra loro, oltre a Padre Pio, anche il Cardinal Schuster, Armida Barelli, Giuseppe Toniolo e altre figure di santità italiana. Aveva conosciuto anche Luigi Sturzo, Agostino Gemelli, Aldo Moro. 

La vocazione di don Felice è stata quella di camminare, con animo veramente cattolico, in cordata con molti altri, con chiunque lo aiutasse a capire e servire il proprio tempo. Così facendo, ha accompagnato altri nel trovare la propria vocazione: anche a forme di speciale consacrazione, alla vita religiosa e contemplativa. 

 

 

“Qual è il nostro altare?
Il tabernacolo del tempio
e la mano del povero”
 

Parole di don Felice Canelli
per una Conferenza della “San Vicenzo”,
29 novembre 1960 

 

 

Felice Canelli nasce a San Severo, in Puglia, in provincia di Foggia, il 14 ottobre 1880. Ha origini umilissime e, presto orfano di padre, viene cresciuto con la sorella dai sacrifici e la tenacia della mamma, Teresa Marchitto. Istintivamente orientato alla Chiesa, inizia a 12 anni, come semiconvittore, il percorso del Seminario: è così povero da dover studiare in strada, alla luce dei lampioni. Ordinato sacerdote il 6 giugno 1903, in un tempo e in una zona dove l’essere sacerdote poteva ancora rappresentare per molti un privilegio, don Felice guarda invece agli ultimi, ai piccoli, ai poveri; responsabilizza e forma intanto i più abbienti a dare, e i giovani a un impegno nel sociale e nella politica. È, dal 1927 alla morte, parroco di “Croce Santa”, in una zona periferica dove dà tutto e cambia il destino di molti. Infinite le iniziative promosse in diocesi e per le quali fu punto di riferimento nella sua terra. Nasce al cielo il 23 novembre 1977. Dichiarato Venerabile il 22 maggio 2021, don Felice oggi si fa conoscere attraverso il sito https://www.diocesisansevero.it/don-felice-canelli/ e il periodico “Fiamma viva” a lui dedicato. Si segnalano inoltre: F. Caggiano, Omnia in caritate! Il Servo di Dio don Felice Canelli, LDC, Torino 2007; F. Caggiano (a cura di), Sacerdozio e santità equazione perfetta, LDC, Torino 2009.