N.01
Gennaio/Febbraio 1991

Perché Dio è amore (1Gv 4,8). Il “fatto” dell’amore di Dio:una chiamata che coinvolge l’umanità

Gli orientamenti pastorali della Conferenza Episcopale Italiana per gli anni Novanta hanno come tema “Evangelizzazione e testimonianza della carità e seguono logicamente il programma degli anni Ottanta “Comunione e comunità e quello degli anni Settanta “Evangelizzazione e Sacramenti. Non si tratta di un programma pastorale sulla carità, né di un documento sulla sola evangelizzazione, ma di un testo indicativo degli orientamenti per le attività della Chiesa nel nostro Paese in quest’ultimo decennio del secolo. Propriamente vuole essere il tentativo di esprimere con chiarezza per le nostre Chiese quella logica evangelica che, mantenendo distinti i due aspetti dell’evangelizzazione e della testimonianza della carità, intende illuminarli unitariamente e integrarli reciprocamente, per il semplice fatto che l’evangelizzazione deve tradursi in gesti di carità e la carità non deve rimanere soltanto filantropia, ma essere gesto che nasce da una fede illuminata ed impegnata.

 

 

Tra fede e opere

Una valida risposta alla questione sembra essere presente nella 1a lettera di Giovanni, che certamente ha davanti a sé la posizione di chi sottolineava l’assoluta prevalenza della fede in funzione della salvezza (partendo da una lettura semplicistica delle lettere di Paolo ai Romani ed ai Galati) e la posizione di chi insisteva sull’assoluta necessità delle opere buone (come ampliamente richiedeva la lettera di Giacomo).

 La lª lettera di Giovanni ha anche lo scopo di individuare dove stia la centralità della fede cristiana e quale sia il criterio ultimo della prassi conseguente. La risposta alle tensioni teorico-pratiche presenti nelle prime comunità cristiane sembra essere quella dell’annuncio che “Dio è amore” (1 Gv 4,8). Infatti, che Dio sia amore comporta come conseguenza l’esistenza di Cristo, quale segno nel mondo dell’amore del Padre, e l’esistenza di Cristo dice che il centro della fede cristiana è Dio come amore e che il centro della vita del credente è l’impegno per fare della propria esistenza un dono d’amore sull’esempio della vita di Gesù.

Dunque: fare della propria vita un dono sull’esempio di Cristo diventa la risposta al fatto, assolutamente prioritario e gratuito, impensabile in una logica semplicemente umana, dell’esistenza di Cristo come dono di Dio Padre all’umanità peccatrice.

 

 

Coinvolti da un amore

Penso che da questa semplice conclusione debba partire una corretta riflessione sul tema vocazionale in stretto rapporto con gli orientamenti pastorali della Conferenza Episcopale Italiana per gli anni Novanta: Dio è amore, Dio ci ha amati per primo, Dio ci ha donato Gesù Cristo, noi dobbiamo accogliere il Signore Gesù ed imitarlo, amando Dio ed amandoci gli uni gli altri.

Certo che di fronte alle pagine bibliche delle grandi vocazioni non si può non rimanere profondamente impressionati. Pensiamo alla chiamata di Mosè dal roveto ardente sul monte Oreb (Es 3), o alla chiamata d’Isaia dall’alto di un trono del tempio con gli stipiti tremanti delle porte (Is 6), o alla chiamata di Geremia fin dal seno materno e nonostante le sue incapacità perfino di parlare (Ger 1), ecc. Sono scene che, da una parte, ci lasciano trasparire Dio nella sua maestà e nella sua reale dimensione di mistero, e dell’altra, ci presentano l’uomo nella verità delle sue paure e delle sue incapacità.

Ma se appena riflettiamo su questi episodi di vocazione, vediamo che al di là delle descrizioni tipiche delle epifanie divine del Vecchio Testamento, non prive d’espressioni terrificanti legate al linguaggio e alla mentalità del tempo, è possibile cogliere la presenza amica di Dio che chiama, perché è vicino ed ama, e si rileva la necessità che l’uomo dia una risposta, pronta e generosa.

 

 

 

 

La vocazione dal punto di vista di Dio

Sulla base di queste elementari riflessioni è facile individuare immediatamente quali siano i contenuti costitutivi di ogni vocazione sul versante di Dio.

 

Un atto di elezione

Ogni vocazione è un atto di elezione, che vede come protagonista assoluto Dio. Egli chiama non perché la persona scelta sia meritevole di una speciale designazione, ma perché Egli possiede un amore creativo e misericordioso: Dio è amore creativo, e quindi chiama ciascuno “per nome” (Is 43,1) con una relazione personalissima, capace di far esistere la vocabilità anche del chiamato umanamente meno preparato, ed inoltre Dio è amore misericordioso, perché chiama con il preciso intento di aiutare l’umanità a camminare verso di Lui, nonostante le ribellioni e le infedeltà delle nostre storie personali.

 

Dono e missione

Ogni vocazione è un dono di amore in vista di una missione e per la realizzazione di un progetto, non umano ma divino, non nostro ma Suo. Questo progetto è indubbiamente quello del servizio dei fratelli (ad esempio, Mosè è mandato a liberare i suoi fratelli schiavi del Faraone), ma è prima di tutto un progetto di adesione a Lui, e quindi è in radice un progetto di santità, con l’abbandono del nostro programma di vita e con l’accoglienza della Sua volontà.

A questo proposito non sarà inutile segnalare come paradigmatiche due notissime pagine bibliche: quella di Ef 1,3ss: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore Gesù Cristo… In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi ed immacolati” e quella di 1 Pt 2,9-10: “Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate non popolo, ora invece avete ottenuto misericordia”.

 

 

 

 

Dal punto di vista dell’uomo

Se questi sono gli elementi strutturali della vocazione dalla parte di Dio, dalla parte dell’uomo due sembrano essere le dimensioni prioritarie della vocazione fondata sulla libertà del chiamato.

 

Ubbidire per vivere

La risposta a Dio per un motivo di fedeltà a Lui ed al Suo amore, e per un motivo di fedeltà a se stessi ed alla propria personale realizzazione, che si attua soltanto nella fedeltà al progetto divino. Così che l’autentica realizzazione anche umana trova il suo compimento con l’ubbidienza generosa alla chiamata di Dio e con la fedele risposta al Suo amore.

 

Lasciarsi inviare

Il servizio dei fratelli. Infatti, se la vocazione nella Bibbia ha come elemento fondamentale quello della missione, questa comporta che il chiamato sappia farsi prossimo, collaborando con Dio nella realizzazione del Suo progetto per il bene del Suo popolo. Proprio questa ultima considerazione ci porta a fare due riflessioni finali, significative e rilevanti.

Se ogni vocazione possiede questa ineliminabile chiamata al servizio dei fratelli, occorre rimuovere quelle prospettive intimistiche o psicologistiche, che spesso non solo in un passato recente hanno troppo condizionato le scelte vocazionali. Ogni autentica vocazione non allontana mai dal mondo degli uomini, ma implica sempre un impegno di dedizione agli altri ed una testimonianza di carità (anche se le modalità di attuazione possono essere assai diversificate all’interno della vastissima gamma delle chiamate divine).

Se ogni vocazione è per il bene dei fratelli nella collaborazione libera e subordinata all’amore di Dio, il chiamato vive dentro un popolo di chiamati (la Chiesa, che significativamente vuol dire comunità dei convocati), al vertice del quale c’è Gesù, il primo dei fratelli, il capo di questo popolo e il modello di ogni chiamato, perché fece della sua esistenza un atto di amore al Padre ed un gesto di donazione ai fratelli, “fino alla morte, ed alla morte di croce” (Ef 2,8).

Se questi sono i termini di riferimento, allora la tematica vocazionale trova una sua chiara e logica collocazione all’interno degli orientamenti pastorali, che la Chiesa italiana si dà per gli anni Novanta. Per i quali c’è da augurarsi che emerga non solo un rinnovamento di testimonianza di carità, ma anche una ripresa di sensibilità vocazionale e di vocazioni di speciale consacrazione dentro le nostre comunità ecclesiali.