Un prete nell’amore di un Dio per uomini con un problema in più
Un giorno ho chiesto ad alcuni bambini: “Chi è il drogato?”. Mi hanno risposto: “È un uomo con un problema in più”.
Ecco, da oltre vent’anni ormai vivo la meravigliosa avventura della mia vita insieme a questi uomini con un problema in più. Sono prete a Roma, dopo aver trascorso i primi dieci anni di sacerdozio come vice parroco in un piccolo centro del Piemonte, Pontecurone, il paese natale di don Orione. A Roma arrivai come cappellano del lavoro. Di giorno con gli operai e la sera con i giovani. E con i giovani ho imparato a condividere gioie e dolori, difficoltà, problemi, speranze, fallimenti e momenti di resurrezione.
Ho incontrato giovani che tendevano una mano per cHiedere aiuto ed altri che questa mano la tendevano per offrire un aiuto. Ma tutte queste mani si sono intrecciate, da allora fino ad oggi, per formare una catena, una grande catena che ci ha tenuti uniti insieme in questi anni.
Giovani che hanno scelto di mettersi a disposizione di altri giovani con un servizio civile alternativo a quello militare, giovani che hanno scelto come vocazione di lavorare accanto a chi, passato attraverso la tragica esperienza della droga, si ritrova con il cuore arido e tanta voglia di lacrime. Giovani volontari impegnati in progetti di promozione umana in Italia e all’estero, nei paesi del Terzo mondo. Giovani che hanno dato vita alle nostre attività culturali ed editoriali come “il delfino”, la rivista bimestrale che da 15 anni cerca di dare un contributo all’educazione alla vita: ad amare, rispettare, custodire, promuovere la vita.
Ho sessant’anni e il cammino percorso è stato lungo. Qualche volta penso al momento in cui scadrà il mio permesso di soggiorno su questa terra e dovrò scendere dal treno sul quale un giorno sono salito per la bontà e la generosità di Dio.
Nel corso di questo viaggio ho vissuto giornate intense, alcune segnate da una profonda sofferenza. Ho visto tanti amici partire per un viaggio senza ritorno. Se ne sono andati in punta di piedi, quasi per non disturbare, dopo tragiche esperienze di droga e di alcool o dopo essere stati aggrediti dall’AIDS o da altre malattie e incidenti.
Queste morti mi hanno segnato profondamente, per cui ho imparato ad amare la vita ancor più intensamente, cercando di guardare sempre all’essenziale. Mi hanno pesato la solitudine e la rinuncia, l’insicurezza del giorno dopo, la provvisorietà, il dover pensare a tante persone, l’essere sempre presente, l’affrontare incognite e fallimenti.
Però non mi sono mai sentito inaridito, forse perché ho “bruciato” questi anni tra i giovani, che mi hanno consentito di mantenere un cuore giovane.
Vivo ogni giorno con centinaia di famiglie, alcune disperate; altre già incamminate, a fatica, lungo il sentiero della speranza; altre tornate a sorridere, dopo aver abbandonato la paura ed ora impegnate in un servizio di volontariato.
Vivo con centinaia di giovani, alcuni nelle comunità, altri nei diversi moduli di un programma terapeutico – educativo che abbiamo battezzato “Progetto – Uomo”. Progetto Uomo vuol essere la proposta di ristabilire la persona umana al centro della società e di esaltare i valori della dignità e della libertà, della solidarietà e del rifiuto di ogni discriminazione. È una proposta perché la vita abbia un senso e la lettura degli avvenimenti quotidiani sia fatta nel segno della speranza.
I nostri centri e le nostre comunità non sono mai state “cliniche” per tossicodipendenti. Ho avuto la fortuna per oltre vent’anni, di guidare un movimento di volontariato che combatte prima di tutto l’emarginazione, la rassegnazione, l’egoismo, la rinuncia alle responsabilità, l’ignoranza, le deleghe, la cultura della morte.
Chi si droga mi è sempre apparso, prima di ogni altra cosa, come una persona fragile da fortificare, una persona sola da accompagnare, una persona senza valori da rimotivare. Conoscendo da vicino questi giovani ho scoperto anche la loro sete di Dio e il loro cammino interiore: una testimonianza silenziosa alla ricerca della verità. Per quel che ho potuto, ho ascoltato con vivo interesse i loro problemi spirituali, i dubbi sulla fede, ho cercato di stimolare in loro un più acuto senso delle cose dello spirito, per passare dall’indifferenza ad una sana inquietudine, discutendo per esempio sul significato del dolore, sul senso ultimo della vita, sulla speranza in un futuro migliore. Nonostante in molti casi la speranza sembrasse difficile, il miracolo della resurrezione alla vita è un segno di cui sono costantemente, quotidianamente testimone.
Ogni giorno all’alba celebro la mia Messa. E fino a tarda notte mi sembra che quella Messa non termini più. Perché la bellezza del mio essere prete è che camminiamo insieme. E quando sono stanco è Cristo che mi porta tra le sue braccia.