Catechesi della cresima: un cammino vocazionale
In un interessante testo di Norberto Galli[1] sono elencati i principali compiti evolutivi del preadolescente (=P), additati da vari autori in un’ottica prevalentemente educativa. Li riportiamo: adeguarsi al processo della propria maturazione sessuale; vivere il proprio corpo nella serenità e nel rispetto; cogliere il senso dell’attrazione all’altro sesso; reputare il gruppo ambito privilegiato di socializzazione; avvalorare il sentimento nascente dell’amicizia; mettere a frutto il tempo libero; attendere alla progressiva scoperta di sé; avviare l’indipendenza emozionale dai genitori; partecipare all’attività scolastica per orientarsi verso la vita; capire la struttura e il funzionamento della società civile; delineare una concezione di vita fondata sui valori e motivazioni; rielaborare i contenuti religiosi appresi; promuovere nuove relazioni con l’adulto.
Uno sguardo d’insieme
Non è qui possibile fermarsi ad approfondire ognuno di questi punti, che pure è bene tenere presenti. La religiosità del fanciullo rimane legata alle persone e agli ambienti, è estrinseca e spontanea, realistica ed egocentrica. Quella del P. invece è caratterizzata da un lavorio interiore che consente al soggetto di cambiare le modalità religiose anteriori, da estrinseche e marginali ad intrinseche e centrali. Bella è l’espressione di G.W. Allport, per il quale il P. “è costretto a trasformare i propri atteggiamenti religiosi… da accessori di seconda mano in elementi di prima mano della propria personalità”.
Più che ad un insegnamento lacunoso o all’incapacità della Chiesa di adeguarsi alle necessità dei soggetti in crescita o all’incidenza nociva dei mass-media, l’abbandono delle pratiche religiose da parte di molti ragazzi e ragazze è dovuta all’avvento del razionalismo, dell’individualismo e dell’edonismo, che impediscono ai P. di interiorizzare contenuti ed ideali cui ispirare la condotta.
La preadolescenza è un momento di intensa e stupita scoperta dei mondi sociale e interiore, ma anche di non poche incertezze e angustie. L’attenzione vocazionale ai P. porta a sollecitarli a proseguire con fermezza il loro cammino, a superare probabili conflitti con sé e con gli altri, a dare una direzione iniziale alla loro vita.
Al di là delle apparenze, la preadolescenza sembra segnata dall’infelicità. Si pensi al rilassamento del rapporto genitori-figli, avvenuto negli ultimi decenni; alla difficoltà degli educatori a far capire ai ragazzi la complessità del mondo; alla solitudine dei P. di fronte allo sviluppo psicosessuale e alle sollecitazioni esterne in materia; al disinteresse degli adulti per i primi disadattamenti avvertiti dai minori; alla loro noncuranza circa il peso esercitato dalla sottocultura del gruppo informale dei coetanei; alla ripercussione negativa di tante separazioni e divorzi; ad una catechesi spesso infantile o più informativa che formativa.
È dunque fondamentale suscitare intorno al P. un’atmosfera serena e motivata, necessaria alla sua formazione morale e cristiana. Che fare, allora, nella catechesi per sviluppare meglio le potenzialità vocazionali dell’itinerario cristiano dei P.?
Aiutare a riflettere
Il P. comincia a teorizzare, a ragionare su concetti e problemi astratti, a formulare progetti per il futuro, a nutrire interessi non immediati e un’autentica passione per idee, ideali o ideologie. È fondamentale che la famiglia, la scuola, la catechesi aiutino il P. a riflettere sui temi dell’esistenza e della vita adulta, come pure dell’etica e della religione, e ad esaminare tutto ciò che si vede e si ode con il proposito di scoprirne significati ed intenzioni. È diseducativo offrire soluzioni facili e semplici ai P., perché si avviano sulla strada dell’“imitazione” e non della ricerca personalizzata, che è fatta di curiosità, interesse, entusiasmo. La felicità del P. non sta nell’essere al riparo dal “pensare la complessità”, ma nell’aprire il “giocattolo della vita” propria ed altrui.
La catechesi della Cresima consente di cominciare ad evangelizzare e “vocazionalizzare” l’esistenza: è la ricerca dell’identità e la scoperta dei valori. La carica di tensioni ideali rende sì attenti alle istanze della vita quotidiana, ma permette pure di guardare al futuro con entusiasmo e con la speranza di costruire un mondo migliore, pronti a vivere oggi e domani, come suggerisce lo Spirito Santo.
Ricorda il card. C.M. Martini: “Tutto l’arco dell’esistenza in ogni suo momento, e in particolare a partire dall’età del completamento dell’iniziazione cristiana fino agli anni della giovinezza matura, è un campo della chiamata”. I P. della Cresima vanno aiutati a difendersi dagli stereotipi della cultura in auge, dalle impazienze dell’età e dalle stimolazioni dannose del gruppo dei coetanei, nonché dall’impazienza e dall’improvvisazione.
Imparare ad amare
Il clima di indifferenza religiosa ed umana, il contesto di pluralismo culturale, la diffusa disaffezione per le scelte impegnative, rendono talora problematica la testimonianza alla verità e difficile la strada per comunicarla. In molti genitori ormai è invalsa questa logica: tutto è lecito ai figli, purché non cadano nella droga pesante. Talora anche nelle comunità parrocchiali e nelle associazione cattoliche si punta al “minimo” di impegno cristiano, nella paura che i cresimandi e cresimati “si allontanino anzitempo”. Il rischio grave è dunque di tenere “in parcheggio” dei ragazzi e delle ragazze per un certo numero di anni, senza grandi obiettivi, anzi privilegiando scelte effimere e di corto respiro.
Il P., se guidato, lascia venire fuori la generosità, che J. Vieujean definisce “una grazia di natura nei giovani”. È tipico della personalità ben formata di dare senza attendersi ricompensa, come pure il cercare di sviluppare tutte le proprie potenzialità umane piuttosto che cercare ricchezza e potenza. È un caposaldo dell’esperienza cristiana il ritenere che la vita è vissuta degnamente solo se non è assorbita totalmente dal lavoro e dal guadagno.
L’esperienza della Cresima deve prevedere una serie di iniziative ed occasioni personali e di gruppo per far sperimentare l’essenza del “dono”, nei confronti dei genitori e degli adulti, dei coetanei e degli amici, delle persone nel disagio. Nessun germe vocazionale può crescere al di fuori del dono di sé, dell’educazione alla generosità e della fraternità. Pur nella molteplicità delle distrazioni dei P., lo Spirito educa all’autocontrollo di sé, libera nuove energie, rivaluta il quotidiano, orienta al bene, feconda anche i piccoli gesti di attenzione, abitua alla concretezza, fa sentire che c’è più gioia nel dare che nel ricevere.
Responsabilizzare
La preadolescenza è il tempo della libertà nascente e della progressiva autonomia, dell’adozione dei valori proposti da altri e dell’orientamento al bene. La prospettiva vocazionale porta ad affinare il gusto della responsabilità, che fa agire non per compiacere gli adulti o per non perdere il loro amore, ma per convinzione e consapevolezza. Dai 13-14 anni in poi, il P. sente il bisogno di scegliere se interiorizzare le norme ricevute e vissute fino allora senza discuterle. In questa fase, egli va aiutato perché in lui maturi il giovane capace di “obbedienza libera” (cioè conforme alle esigenze della moralità) e di “libertà liberata” (fatta ad orientarlo abitualmente al bene).
Pur senza farlo sentire l’unico protagonista della sua vita, il P. è chiamato a misurarsi con le proprie forze e doti, a scegliere senza lasciarsi trascinare passivamente, a sentirsi responsabile degli atti compiuti, a gustare il piacere di agire liberamente e consapevolmente.
Gli psicologi dell’età evolutiva parlano oggi di post-adolescenti, di ragazzi cioè che non vogliono maturare nelle decisioni, ma corteggiano varie ipotesi senza approdare ad una scelta precisa, in atteggiamento di “attendiamo”. I sociologi parlano di “soggetti thermos” per indicare i P. che paiono duri di fuori, ma sono assai deboli dentro e titubanti nell’assumere un minimo di responsabilità.
Nell’età delle forti valenze e interpellanze vocazionali, il catechismo revisionato “Sarete miei testimoni” presenta l’autoscoperta e l’autoprogettazione del ragazzo e della ragazza “dentro” il progetto di Dio. La luce della Cresima propone l’annuncio vocazionale esplicito, perché ciascuno assuma il proprio ruolo nel piano della salvezza, uscendo dalla genericità, che oggi pare costituire il modello più diffuso.
Appartenere
Un’esperienza particolarmente forte per i P. è quella del gruppo di appartenenza e di riferimento. La presenza fisica, assidua e cordiale con gli altri aiuta l’identificazione di sé, facilita l’elaborazione e il conseguimento di obiettivi comuni, arricchisce ognuno della collaborazione di tutti, consente l’interazione e la comunicazione, chiede il rispetto di alcune norme comuni, offre gratificazione e sostegno, dà sicurezza e coraggio.
Senza esaurirne tutta la ricchezza, il gruppo costituisce una mediazione imprescindibile di Chiesa, facendola uscire dal suo anonimato. I valori evangelici, e per questo profondamente umani, dell’ascolto e della tolleranza, della convivenza e della collaborazione, del perdono ricevuto e donato, della comunicazione… diventano realtà proprio grazie al gruppo. Quest’ultimo fa sì che l’unità profonda di catechesi – liturgia – carità diventi una proposta unificante e concreta. Il poter vivere con i coetanei e con altre generazioni alcune esperienze precise e forti (ad es. momenti di “deserto”, camposcuola, incontri con testimoni, giornata dei cresimandi ecc.) fissa nella memoria dei ragazzi un ricordo indelebile e costruttivo.
Il riferimento vocazionale è coltivabile nella misura in cui il gruppo ecclesiale viene sentito sempre meno come una struttura fredda ed esteriore e sempre più come un’appartenenza bella ed attraente. Nessuna vocazione cresce nell’isolamento e nell’egoismo. Lo Spirito, datore di doni e di carismi, tende ad aggregare senza conformismi e ad unire senza gregarismi. L’adesione alla “carta della comunità/gruppo” impedisce di vivere il catechismo come una “malattia dell’infanzia”, un cartellino da timbrare, un congedo da attendere.
La presenza dell’educatore (laico o consacrato, giovane-adulto o adulto) costituisce un gran vantaggio: modera le intemperanze o le irriflessioni dell’età, sollecita un agire ispirato al Vangelo, fa uscire e coordina le migliori energie di ciascuno, individua ed orienta ad una guida spirituale, equilibra tematiche ed esperienze, fa restare dentro all’alveo della comunità ecclesiale, che è il grembo di ogni orientamento e scelta vocazionale.
Fare festa
Se il P. sperimenta molteplici conflitti al suo interno e nel rapporto col mondo circostante, è altrettanto vero che è istintivamente aperto al senso della festa. Quest’ultimo interrompe il ritmo della quotidianità, suscita l’entusiasmo, facilita l’incontro con i coetanei, rilancia la spontaneità, fa superare la depressione prodotta sia dalla perdita delle sicurezze infantili sia dalle difficoltà legate all’ingresso nella vita sociale. Con la festa, si trasfigurano tanto la vita più umile quanto il gesto più insignificante.
La dimensione vocazionale fa riscoprire che ogni vera scelta di vita è un incentivo alla felicità, la quale va cercata anzitutto in se stessi. Il dono dello Spirito non genera mai disperazione, separatezza, irritabilità, ma trasforma con un nuovo sapore anche le circostanze più semplici e rasserena i momenti di tensione. Il gusto per la festa, il P. lo apprende nella vita domestica ma anche nel gruppo parrocchiale e nell’incontro con testimoni felici della propria consacrazione a Dio e del proprio servizio ai fratelli.
Tramite l’atteggiamento amorevole ed autorevole dell’educatore e l’apertura della proposta cristiana, il P. deve poter cogliere che è possibile una sintesi sufficientemente armonica tra fede e vita, dimensione religiosa e attività ludica, festa e ferialità, preghiera e gioia di vivere, fiducia in Dio e ricerca del proprio compimento. La percezione che l’essere cristiani equivalga a limitare gli orizzonti del proprio essere personale o ad aumentare i conflitti (ad es. tra ragione e fede, tra personale ed ecclesiale, tra presente e futuro) non favorisce certamente l’inizio e lo sviluppo della vocazione. Senza addolcire o eliminare la Croce, il P. deve poter avvertire la bellezza dell’essere cristiani. È già anche troppo diffusa la mentalità per la quale l’attiva pratica cristiana menoma invece di promuovere la varietà delle espressività del P. L’ascolto della chiamata di Dio aiuta ad essere più uomini e più donne: dunque, non è un “affare di sacrestia”.
Sperare
Il catechista deve essere superiore all’instabilità e alla condizionabilità dei P., restando fiducioso pur di fronte ad immancabili fallimenti educativi. Tenere alto il “Vangelo della chiamata” non è sempre così spontaneo per i catechisti, i quali “provengono sempre dalla civiltà del libro”, afferma Pierre Babin. La vocazione invece è un prisma con varie facce, una cima con vari sentieri, un alfabeto con varie lettere.
È compito dell’“animatore vocazionale” dei P. l’evocare, cioè fare continua memoria dello Spirito, che già abita nei ragazzi e nelle ragazze e lavora nel profondo del loro cuore per orientarli a Cristo. Questo in modo invisibile ma reale e indipendentemente dalla maturità della loro autocoscienza di fede. La conferma di questa certezza è la seguente constatazione: pressoché la totalità delle vocazioni che approdano ai seminari e ai noviziati nell’età giovanile, testimoniano di aver percepito la chiamata già nella fanciullezza e preadolescenza.
La proposta vocazionale ai cresimandi e neo-cresimati è sempre anche una pro-vocazione, sia nel senso di dare concretezza alla chiamata di Cristo che nel senso di offrire una sfida. Il catechista scommette su un possibile risultato, che non si fonda su analisi antropologiche o verifiche sociologiche, ma sull’efficacia della Parola e sul mistero di una crescita.
L’attenzione vocazionale inoltre va situata nell’alveo di una convocazione. Il P. fatica a procedere nell’esperienza cristiana se si sente solo. Egli abbisogna di vedere davanti e attorno a sé altre persone amiche, che condividono la sua stessa esperienza. In una parrocchia o associazione, un gruppo di adolescenti o giovani rappresenta la “stella cometa” per i P. i quali, a loro volta, lo sono per i più piccoli.
Non matura infine un atteggiamento di ascolto della chiamata e di risposta positiva ad essa, senza un’invocazione. La preghiera è il contesto “normale” per coltivare ogni germe vocazionale: preghiera di contemplazione e di intercessione, di lode e di ringraziamento, pur con le caratteristiche tipiche dei P.
Per concludere
Mi pare molto bello e opportuno concludere queste pagine suggerendo, in proposito, la lettura di un testo del Card. C.M. Martini inviato alle famiglie della diocesi di Milano, in occasione del Natale scorso, titolo “Il futuro dei nostri figli. Pensieri ad alta voce per dieci sere d’inverno”. Si tratta di proposte rivolte ai genitori e sacerdoti, ma quanto mai valide anche per i catechisti, gli educatori e gli animatori dei P. È certamente un segno significativo che il pastore della diocesi cattolica più grande del mondo richiami alcuni punti educativi, aventi un riflesso notevole anche a livello vocazionale. Personalmente, ho già utilizzato queste pagine con i genitori dei cresimandi e ne ho tratto giovamento.
Note
[1] Educazione dei preadolescenti e degli adolescenti, La Scuola, Brescia 1990 p. 38.