N.04
Luglio/Agosto 1991

L’animatore vocazionale parrocchiale

Il Piano Pastorale per le Vocazioni della Chiesa Italiana elenca, descrivendone lo specifico impegno, un significativo numero di “responsabili” nella comunità cristiana della pastorale delle vocazioni: vescovi, presbiteri, diaconi permanenti, religiosi e religiose, istituti secolari, missionari, laici, famiglie, gruppi, movimenti, associazioni, comunità ecclesiali di base, scuola[1].

Il Centro Nazionale Vocazioni in questi anni, fedele al Piano, ha cercato di curare la formazione di questa vasta gamma di educatori alla fede che nella comunità cristiana sono venuti sempre più riscoprendo e maturando la propria identità di nativi animatori vocazionali.

Sulla linea della formazione degli educatori, il Centro Nazionale Vocazioni ha fatto ultimamente una scelta, per certi aspetti profetica, che va oltre la specifica iniziativa intrapresa, proponendo il “1° Corso per laici animatori vocazionali parrocchiali”.

Con tale iniziativa si è voluto, infatti, rimettere a fuoco, alla luce anche della recente Esortazione Apostolica “Christifideles Laici” il servizio e il naturale spazio ecclesiale dei laici nell’animazione vocazionale[2].

È noto come da sempre i laici, con la loro preghiera e il loro impegno di animazione, sono presenti nella pastorale vocazionale della comunità cristiana.

Tante vocazioni, soprattutto per il passato, sono maturate nelle nostre comunità parrocchiali grazie anche al sostegno di queste anime generose, quali le “zelatrici vocazionali parrocchiali”.

È arrivato forse il momento di qualificare ulteriormente il servizio dei laici nella pastorale vocazionale – dei catechisti, degli insegnanti, degli educatori, degli animatori laici della pastorale giovanile… come esplicita il Piano Pastorale per le Vocazioni – consapevoli che “quanto più essi approfondiscono il servizio della propria vocazione e missione nella Chiesa, tanto più riconoscono il valore e la necessità dei ministeri ordinati e della vita consacrata”[3].

Il presente numero di Vocazioni intende offrire un contributo in merito.

Allo scopo prendo, come punto di partenza, la seguente autorevole indicazione che viene dal Piano Pastorale per le Vocazioni citato:

“Al fine di tenere costantemente viva la coscienza e la responsabilità di tutta la comunità cristiana per le vocazioni, e non certo come delega, è forse opportuno riconoscere il ministero di fatto e curare la formazione dell’animatore vocazionale parrocchiale, come servizio stabile reso da un laico adulto nella fede. Tale servizio, espressione anzitutto di una coerente testimonianza della propria vocazione, offre un’attenzione permanente e un contributo specifico ai vari itinerari di fede e iniziative pastorali della comunità parrocchiale, perché non venga mai meno la dimensione vocazionale”[4].

Il presente testo, seppur con evidente cautela – “è forse opportuno” – parla di “ministero di fatto” dell’animatore vocazionale parrocchiale.

Non intendo entrare qui in merito ad un pur utile approfondimento del termine “ministero” riferito al laico animatore vocazionale.

Quanto in proposito già maturato nel “1° Corso per laici animatori vocazionali parrocchiali” – alla luce dell’Esortazione Apostolica Christifideles Laici che richiama opportune distinzioni e precisi riferimenti, per i laici, ai sacramenti del battesimo e della confermazione e alla specificità della vocazione laicale – e che qui di seguito ripropongo, mi sembra offrire chiare indicazioni e spazi teologico pastorali ricchi di prospettive:

“Non enfatizzare il termine ‘ministero’, ma badare alla sostanza del servizio che l’animatore vocazionale è chiamato a rendere. La CfL (23) rileva infatti ‘giudizi critici circa l’uso troppo indiscriminato del termine ministero’. Quindi si dica chiaramente che si tratta di ‘ministero laicale’, che ha il suo fondamento nel Battesimo e nella Confermazione. Magari, per chiarezza e per togliere ogni equivoco, proporrei il termine ‘servizio ecclesiale’: terminologia umile e meno soggetta a ingenerare ambiguità”.

– “Il laico che viene chiamato ad essere animatore vocazionale parrocchiale sia un … laico-laico: viva, per sua parte, la dimensione secolare della santità cristiana, nella famiglia, nel lavoro, nell’impegno nel mondo. Afferma la CfL (23): ‘I vari ministeri, uffici e funzioni che i fedeli laici possono legittimamente svolgere … nelle strutture pastorali della Chiesa, dovranno essere esercitati in conformità alla loro specifica vocazione laicale, diversa da quella dei sacri ministri’. Cioè il laico … non si clericalizzi (la tendenza alla clericalizzazione è deprecata: CfL, (23), ma viva la sua specifica vocazione laicale (cfr. CfL, 56); ‘ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio’ (1 Pt. 4,10)”.

– “Nell’esercizio del suo servizio l’animatore vocazionale parrocchiale non cada nella tentazione di esautorare il sacerdote né si isoli dalla parrocchia, ma al sacerdote faccia riferimento, a lui e alla comunità ecclesiale riconduca le persone che eventualmente sta aiutando e seguendo. Qual’è, in fondo, la tentazione da evitare? Quella … di fare il confessore dei ragazzi e dei giovani; quella di farsi la sua ‘chiesolina’, il suo giro di figli spirituali. Al contrario, tutta la sua opera deve convergere perché l’apostolato dei pastori possa raggiungere la sua piena efficacia (cfr. A.A.,10)”[5]

Ciò premesso, tratteggiamo ora alcune linee essenziali della figura e del servizio dell’animatore vocazionale parrocchiale, a partire dal testo del Piano Pastorale per le Vocazioni sopra richiamato.

 

 

 

“Un Laico adulto nella fede”

Circa la persona idonea a offrire questo specifico servizio di animatore vocazionale parrocchiale non si fa dunque questione di età, ma di maturità di fede.

Il cristiano adulto nella fede è colui che ha una matura consapevolezza di fede e vive di fede, perché impegnato a edificare la propria vita essenzialmente sulla Parola, i Sacramenti e il servizio della testimonianza della carità.

In questa ottica, pur non facendo a priori un problema di età, vengono tuttavia esclusi gli adolescenti, i giovanissimi o persone che, per un motivo o per l’altro, sono strutturalmente fragili.

Ciò anche perché, per sua natura, il servizio di animatore vocazionale deve essere anzitutto “espressione di una coerente testimonianza della propria vocazione”[7].

Per cui può essere in grado di offrire tale servizio pur una persona giovane – ribadisco non giovanissima – ma dichiaratamente impegnata in un cammino di fede e in una seria ricerca in ordine alle domande fondamentali della vita, considerato che solo “con l’esempio di una vita autenticamente cristiana, con la serietà professionale e con la testimonianza di una vera dedizione apostolica, potranno incidere profondamente sui giovani”[8].

 

 

 

“Al fine di tenere costantemente viva la coscienza di tutta la comunità cristiana per le vocazioni”.

La pastorale delle vocazioni di questi anni postconciliari ha segnato un chiaro passaggio da una pastorale delle vocazioni intesa come “propaganda” o “reclutamento” a una pastorale intesa come “cammino spirituale” nella comunità cristiana, per cui l’itinerario di una vocazione e la sua graduale maturazione passano ordinariamente attraverso questi momenti: l’annuncio, la proposta, l’accompagnamento vocazionale.

È anche dato per acquisito, almeno per certi aspetti, che la comunità parrocchiale è luogo privilegiato di annuncio vocazionale e comunità mediatrice di chiamate; e che, nella pastorale ordinaria di una comunità parrocchiale, la dimensione vocazionale è l’anima di tutto il servizio di evangelizzazione che essa esprime.

Personalmente ritengo tuttavia che occorre ancora lavorare molto perché tali acquisizioni pastorali diventino patrimonio reale della vita quotidiana delle nostre comunità parrocchiali, considerato anche che la cultura in cui siamo immersi non è certo segnata in direzione vocazionale.

S’innesta dunque proprio in questo contesto culturale ed ecclesiale il servizio dell’animatore vocazionale, il cui compito non è quello di sentirsi o essere considerato un delegato che provvede nella comunità parrocchiale alla pastorale delle vocazioni, così che gli altri non abbiano più questa preoccupazione, ma piuttosto di tenere “costantemente viva la coscienza e responsabilità di tutta la comunità cristiana per le vocazioni”[9].

Come? si dirà qualcuno.

Offro, anche qui, alcune indicazioni emerse dal Corso per laici animatori vocazionali parrocchiali già sopra richiamato.

“Si tratta di aiutare a maturare la consapevolezza vocazionale in primis degli stessi educatori e operatori pastorali. Spesso è proprio a livello dei catechisti e degli animatori che riscontriamo atteggiamenti di scetticismo, dubbi, obiezioni, di fronte al discorso vocazionale, specialmente se questo passa da un piano teorico di valori ad un piano concreto di proposta alle persone”.

– “Si tratta di portare un’attenzione vocazionale permanente e un contributo specifico ai vari itinerari di fede e iniziative pastorali: si pensi alle classi di catechismo, ai gruppi giovanili, alle varie associazioni parrocchiali; dai ministranti, all’ACR, all’AGESCI… E ciò, perché la dimensione vocazionale sia ‘dentro’ la catechesi, la liturgia, le iniziative, …non ‘accanto’ e non gesto sporadico o quasi di emergenza in occasioni eccezionali. Mi sembra molto importante sottolineare che ciò che sta a cuore alla Chiesa è più la presenza continua di questa dimensione che non un ‘fare’ attivistico; il vero ‘fine’ è la dimensione vocazionale, le ‘attività vocazionali’ sono solo dei mezzi”[10].

Le pagine che seguono, alla luce di questi primi cenni, contribuiranno al delinearsi di una figura di animatore vocazionale parrocchiale inteso “non come una pia persona, isolata e marginale, ma inserita ovunque pulsa la vita parrocchiale…; inserito nelle strutture parrocchiali (consiglio pastorale, catechisti, animatori di giovani…); in contatto costante con i sacerdoti, gli educatori, i responsabili dei gruppi dei ragazzi e dei giovani, dei genitori…; in rapporto con il centro diocesano vocazioni e il seminario; impegnato nel proporre e sostenere le iniziative esplicitamente vocazionali della parrocchia (settimana vocazionale…); favorire la partecipazione alle iniziative vocazionali diocesane…”[11].

Tutto questo a condizione che un triplice amore investa e fermenti le caratteristiche personali, le qualità umane, gli stessi doni di grazia di un animatore vocazionale:

“Amore a Cristo: quella che viene chiamata ‘vita interiore’; ricchezza interiore, fede, amore per la preghiera, ecc.

Amore alla Chiesa, senso della Chiesa: che si esprime nella capacità di collaborare, di servire, di occuparsi di ciò che è più essenziale per la vita e per il bene della Chiesa.

Amore per i giovani: desiderio di aiutarli a trovare se stessi, la loro

strada, la loro vocazione”.[12]

 

 

 

 

 

Note

[1] CEI, Vocazioni nella Chiesa Italiana, Piano Pastorale per le Vocazioni, n. 31-40.

[2] Cfr. Laici e Vocazioni, in ‘Vocazioni’, n. 2, 1989.

[3] CEI, Idem, n. 37.  

[4] CEI, Idem, n. 37.

[5] Cfr. A. AMATI, L’animatore vocazionale parrocchiale, Relazione svolta al “1° Corso per laici animatori vocazionali parrocchiali”, promosso dal CNV, Assisi 25-28 Aprile 1991, p. 2-3.

[6] [7] [8] [9] CEI, idem n. 37.

[10][11][12] Cfr. A. AMATI, oc. p. 5.