L’animatore vocazionale parrocchiale e il gruppo dei cresimandi
La mia gioia è un’esperienza fatta nel corso di questi undici anni di servizio come catechista nella diocesi di Pescara. Fino ad ora ho sempre svolto questo servizio in gruppi di giovani che si preparano alla Cresima, giovani d’età che va dai diciassette ai ventuno anni circa.
È questo un periodo in cui essi sono più pronti, più responsabili, più disposti a guardare alla loro vita cercando di scoprirvi una particolare presenza di Dio e interessati a stabilire con Lui un rapporto più personale e coinvolgente.
Desidero dire subito che nella mia parrocchia non esiste la figura dell’animatore vocazionale, ma credo che ogni catechista già lo sia! In modo specifico posso perciò esporre quello che io nei miei gruppi ho cercato di vivere e di presentare come espressione di quel bisogno che ognuno di noi sente nel porgere ai giovani il messaggio del Cristo.
Mi sono accorta che una catechesi che non avvicinava alla persona di Gesù, che non riusciva a promuovere una relazione personale con Lui, non poteva essere completa e neppure poteva rispondere a quelle che mi sembrano essere le esigenze di Dio.
Sì, perché spesso nella catechesi dei giovani che si preparavano alla Cresima ero tentata di far mie le loro esigenze, di capire i loro gusti e di avvicinarmi a quello che è il loro mondo e questa, tutto sommato è una tentazione buona. Ma facendo così potevano sfuggirmi le esigenze di Dio, nei loro confronti. Sentivo che Egli aveva molte cose da dire ai loro cuori, voleva rivolgere ad ognuno domande capaci di sconvolgere la vita, di far cambiare le rotte, di rimettere tutto in discussione. E noi catechisti siamo chiamati a dare voce a queste domande, a creare il terreno adatto perché esse possano farsi sentire e possano ottenere risposte. Anche a costo di scuotere, di mettere in crisi e di lasciarci mettere in discussione.
Così ho pensato di dedicare in particolare il primo dei due anni di preparazione alla Cresima ad esperienze di preghiera, di silenzio, di ascolto; di avvicinamento ad una lettura spirituale della Bibbia; invitando i giovani a dedicare a questo cinque minuti, poi dieci, poi quindici e così via durante la giornata, invitandoli a credere soprattutto a questo: “Dio mi ama, io sono prezioso per Lui. Ha molte cose da dirmi e da affidarmi perché ci tiene a me e si fida di me”.
Da questo rapporto personale dei giovani con Dio che si è andato approfondendo con gli anni ho potuto osservare come è facile poi che le chiamate si facciano sentire e ché tutta la vita si trasformi. Senza questo tempo particolare mi sono accorta che parlare di vocazione ai giovani non sempre è facile, portati come siamo a volte a fare sconti a tentare di ammorbidire le esigenze di Dio, mentre essi amano le sfide radicali, non le mezze misure. Sbagliavo quando, senza accorgermene tante volte, mediavo, con discorsi e spiegazioni, il loro confronto diretto con Dio e la sua Parola; quando, credendo di rendere più recepibile il messaggio che stavo porgendo, facevo accomodamenti, conformandomi alla mentalità di questo secolo, a volte inconsciamente, ottenendo un’adesione che poteva essere solo superficiale.
Quando mi sono accorta di tutto questo mettendomi di fronte a Dio che chiama e vuole chiamare anche attraverso di me, ho cambiato quella che potrei dire la mia “pastorale vocazionale” cercando di insegnare ai miei giovani a pregare, ad incontrarsi personalmente e frequentemente con Dio, dedicando a questo, ripeto, il primo dei due anni di catechesi.
Nella mia esperienza, che certo è piccola e necessita ancora di un lungo cammino, ho visto che si può rispondere, che si può dire sì solo se si conosce chi ci chiama e per andare con Lui, là dove ci vuol portare, bisogna esserne innamorati.
Credo che Dio abbia una cura particolare per questi giovani rendendoli, in questo tempo, più sensibili, più capaci di riconoscere la Sua voce fra le tante voci che riempiono le loro orecchie e il loro cuore. E se questa è l’epoca dei grandi amori, allora possono rispondere a Lui, possono innamorarsi di Dio e del mondo.
Con una freschezza, con un entusiasmo, con una radicalità che, se non mi riempisse di gioia, mi farebbe un po’ invidia! E allora il sì può essere senza riserve, radicale, esigente. Esigente perché questa è una caratteristica di Dio e lo è pure dei giovani.
L’animazione vocazionale in un gruppo di cresimandi, dovrebbe tendere, secondo me, a questo: a creare lo spazio, l’atmosfera perché nasca un amore, perché nell’ascolto amoroso ci si accorge della voce di Dio, per amore soltanto si può dire di sì.
A chi è innamorato tutto sembra facile, tutto sembra possibile. Se i giovani non rispondono, se il discorso sulla vocazione diventa difficile, forse è perché non si dà loro il tempo per innamorarsi di Dio che, se lo lasciamo fare, è capace di affascinare i cuori, oggi come ieri.
Io cerco perciò di aiutare i giovani nell’ascolto della Parola di Dio, li invito a dare sempre più tempo alla preghiera personale che è dialogo con “Colui dal quale sappiamo di essere amati”, li porto ad accorgersi di Lui nelle cose di ogni giorno, a scoprire la sua presenza e i segni che la manifestano, li aiuto a discernere la Volontà di Dio nei loro problemi quotidiani, prima delle scelte piccole o grandi, prima dei sì e dei no che devono dire. Cerco di presentare loro, ad ogni costo, un cristianesimo radicale, senza mitigarne le esigenze ricordando a me e a loro quel che diceva Paolo VI: “Il cristianesimo non è facile, ma è felice”. Questo perché penso che un cristianesimo facile può solo soffocare la voce di Dio. Da un cristianesimo facile non possono venire vocazioni.
Anche rispondere sì a Dio con tutta la propria vita non sempre è facile, ma è sempre felice. Questo non ho paura di dirlo perché ho visto che i giovani non amano i cammini monotoni e piani, senza ostacoli da superare, mentre hanno sete della vera felicità.
Siamo noi adulti che a volte presentiamo loro progetti limitati, senza chiedere troppo per paura di esagerare, di far male. Ma questi non sono i progetti di Dio che sono sempre grandi e chiedono tutto.
Mi sembra perciò di fare animazione vocazionale sostenendo i giovani in una spiritualità del sì e del Grazie, nelle piccole cose, prima, e poi nelle grandi; nella fedeltà alle proprie scelte, anche se costano; nella scoperta dei doni di Dio in sé e negli altri; nell’attenzione a colui che ci ama e ce lo dice, ce lo ripete e non si stanca mai di farlo, in mille modi.
In un clima spirituale che favorisce il rapporto personale con Dio si dà a Dio la possibilità di parlare e all’uomo la capacità di rispondere. Ogni proposta che viene dal di fuori, se non trova un terreno interiore adatto, se non trova un cuore innamorato, può suscitare solo un coinvolgimento superficiale e una risposta emotiva.
Nell’animazione vocazionale vorrei perciò preparare la strada all’azione di Dio, senza fare né di meno, né di più. Dio sa come farsi amare!
Saremo animatori vocazionali se noi saremo innamorati di Dio, se noi non temeremo di dirgli di sì, nelle piccole e grandi cose della vita, se noi sapremo amare senza compromessi, se noi avremo il coraggio di scegliere rifiutando le mezze misure, se noi sapremo metterci in ascolto di Dio, sempre di nuovo, pronti anche a lasciarci sconvolgere i piani e a ricominciare da capo, in novità di vita.
I nostri giovani ci guardano e sono esigenti. La loro generosità e il loro entusiasmo spesso è proporzionale al nostro e la forza del nostro servizio è proporzionale alla nostra preghiera per esso.
Ci conforta il sapere che Dio ha un piano per ciascuno e di questo si interessa in prima persona, anche se poi vuole suggerire anche a noi qualcosa da fare per aiutarlo. Il primo animatore vocazionale è Lui e allora noi possiamo tirare un respiro di sollievo e andare avanti con fiducia, con speranza e con gioia.