N.05
Settembre/Ottobre 1991

Nuova evangelizzazione e pastorale delle vocazioni in Europa

Nuovi orizzonti si stanno aprendo per l’Europa. Tant’è vero che si sta ormai parlando e, di fatto, profilando la “nuova Europa”. Interessanti e gravidi di futuro sono gli stessi fenomeni che s’intravedono ad occhio nudo: un’Europa che respira a due polmoni, quello occidentale e quello orientale, un enorme crogiolo di culture e di razze; uno dei mercati più ricchi e dinamici del mondo…

In questo passaggio di secolo e di millennio il nostro continente sembra così quasi naturalmente destinato a rilevare un ruolo di centrale importanza.

In particolare, un’Europa siffatta altrettanto naturalmente sembra destinata a diventare un terreno privilegiato per la cultura cristiana.

Faccio mio, a proposito, il seguente interrogativo: “Questa cultura, che ha creato e costruito nel corso dei secoli la civiltà europea, potrà ancora animare la nuova civiltà che i correnti e crescenti processi di integrazione economica e sociale, culturale e politica stanno producendo?”[1].

Un altro interrogativo, in sintonia con il servizio alla pastorale delle vocazioni della Rivista, è d’obbligo: quale pastorale vocazionale, quali “nuove vocazioni”, ovvero quali “nuovi evangelizzatori”, per l’annuncio cristiano, quindi per la “nuova evangelizzazione” dell’Europa?

Preso atto che la vecchia Europa presenta per lo più una “cultura non vocazionale” e che una perdurante crisi delle vocazioni consacrate attraversa tutte le nazioni Europee, mi sembra che la proposta profetica di Giovanni Paolo II della “nuova evangelizzazione” – che postula, come già detto, “nuovi evangelizzatori” stia avviando e mettendo in atto un movimento pastorale che risponda anche ai suddetti interrogativi.

 

 

 

Il significato di nuova evangelizzazione

Ritengo che sia opportuno una precisazione e un approfondimento del termine “nuova evangelizzazione” per evitare il rischio dell’inflazione o di significati generici e vaghi secondo cui il termine viene usato.

A tal fine, come viene offerto nelle pagine che seguono, occorre un approfondimento teologico e pastorale, in particolare alla luce del ricco e stimolante magistero di Giovanni Paolo II.

Un primo avvio all’approfondimento della accezione di “nuova evangelizzazione” è dato anche dagli stessi “Orientamenti” della Conferenza Episcopale Italiana “Evangelizzazione e Testimonianza della Carità” (cfr. n. 25).

Propongo in merito la seguente sintesi, offerta da S.E. Mons. Tettamanzi all’ultima Assemblea CEI:

“Ne segnalo un triplice significato:

– quello cronologico ‘nuova… perché viene dopo quella prima grande e fondamentale opera di evangelizzazione da cui è nata e si è forgiata, lungo il corso dei secoli, la nostra esperienza di Chiesa e, in particolare, la cultura cristiana dell’Europa e del nostro paese’; 

– quello socio-culturale: ‘perché deve farei conti, nelle nostre società occidentali, col fenomeno persuasivo del secolarismo’;

– quello pastorale: ‘ma, soprattutto, perché deve diventare nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione’ (Giovanni Paolo II, Discorso all’Assemblea dei Vescovi del CELAM, 9 marzo 1983).

Si dà, più radicalmente, un significato teologico per il quale la novità è una persona vivente, è Cristo Gesù, sorgente della novità in senso cristiano (“Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove”: 2Cor 5,17), più precisamente di una duplice e unitaria novità, che si situa a livello “interpretativo” della realtà (“Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo”: 1Cor 2,16b) (e la fides come annuncio e accoglienza della Parola fatta carne e della sua “lieta notizia”) e a livello “operativo” sulla realtà (cfr. la lex fidei di cui parla l’Apostolo, la fides quae per caritatem operatur). Ora tale “novità” è per sua intrinseca e indelebile natura qualcosa di “permanente” (è infatti essenziale, strutturale) e proprio per questo risulta sempre “attuale” ; anzi si presenta come “profetica” perché è carica di una novità non mai adeguatamente compresa e vissuta: in questo senso costituisce un ideale proposto all’uomo ma non mai da lui pienamente raggiunto. È, quella cristiana, una novità specificamente escatologica”[2].

 

 

 

“Nuova evangelizzazione”e pastorale delle vocazioni

Ci riconfermiamo anzitutto nella consapevolezza che, ferma restando l’iniziativa di Dio per ogni chiamata, per “pastorale delle vocazioni” s’intende essenzialmente – sulla base della teologia della vocazione battesimale e della ecclesiologia di comunione quale emerge dal Vaticano II – la “mediazione della Chiesa” per le vocazioni.

“La Chiesa, che è ‘vocazione’ per nativa costituzione, è anche generatrice di vocazioni. Ciò riguarda senza dubbio la Chiesa universale, ma in modo speciale si attribuisce alla Chiesa particolare. Verso tutte le vocazioni, una in particolare verso quelle di speciale consacrazione, essa esercita una vera funzione mediatrice, grazie alla sua natura sacramentale…, al suo mistero di comunione… e alla sua missione.”[3].

Un avvenimento recente a livello Europeo – l’Incontro dei Responsabili dei Centri Nazionali Vocazioni d’Europa, svoltosi a Parigi nel giugno corso – oltre a fare il punto sulla situazione, ha approfondito il significato e le motivazioni della pastorale vocazionale alla luce delle mutate situazioni socioculturali e della “nuova evangelizzazione”.

Tale Incontro, oltre a favorire la conoscenza dei vari cammini nazionali in atto come documentano ampiamente le pagine che seguono, ha permesso anche di fare il punto su alcuni temi teologico – pastorali.

Mi preme qui riproporre almeno un tema ecclesiologico, che in tale incontro è stato approfondito, e che getta luce su un aspetto della pastorale vocazionale unitaria problematico nelle nostre chiese particolari italiane: la necessità nella Chiesa del carisma di tutte le vocazioni e la priorità dell’annuncio della vocazione sacerdotale per l’evangelizzazione delle Chiese locali.

Dato per scontata e acquisita la definizione di “Chiesa locale” e prendendo avvio dalla vocazione della Chiesa nella sua dimensione locale, perché una Chiesa locale sia fedele alla sua vocazione ha bisogno di tutte le vocazioni particolari e anzitutto del prete diocesano.

La ragione più profonda dell’insistenza sulla vocazione del prete diocesano è da ricercare sulla stessa linea della riflessione missionaria su l’“implantatio” delle Chiese locali in territorio di missione.

“…II rischio che corrono le Chiese locali di antica fondazione che generano con fatica vocazioni sacerdotali” – è stato sottolineato in tale incontro – “è quello di uno sradicamento di ciò che d’irrinunciabile per la fede cristiana è stato piantato e coltivato con tanta cura lungo i secoli dalla Chiesa. La ‘coppia’ vescovo-presbiterio locale resta quindi essenziale per l’implantatio e il servizio di evangelizzazione alla chiesa particolare”.

Ciò ovviamente necessita di non dimenticare mai che c’è un solo “Sacerdote”. Il Cristo, un solo e unico mediatore, “ed è lui che costituì alcuni Apostoli, altri profeti, altri evangelisti, altri pastori e dottori, organizzando così i santi per compiere l’opera del ministero per l’edificazione del Corpo di Cristo” (Ef. 4,12).

Per cui è possibile sintetizzare il messaggio centrale di tale Incontro Europeo, attorno a questo nucleo in cui da sempre l’azione della Chiesa trova il suo motivo di fondo insostituibile: “è Cristo il centro vitale della nuova evangelizzazione e della pastorale vocazionale”[4].

 

 

 

 

 

Note

[1] Cfr. Documento preparatorio (4) per la XLI Settimana Sociale, I cattolici Italiani e la nuova giovinezza dell’Europa, Roma 2-5 aprile 1991.

[2] Cfr. Dionigi Tettamanzi, Proposte per l’attuazione degli Orientamenti pastorali Evangelizzazione e testimonianza della carità, XXXIV Assemblea CEI, Roma 6-10 maggio 1991.

[3] CEI, Piano pastorale per le Vocazioni nella chiesa Italiana, n. 5. 

[4] P.G. Cabra, Situazione della vita religiosa in Europa e implicazioni per le vocazioni, in ‘Vocazioni’, n. 6, p. 51.