La proposta degli Esercizi Spirituali agli adolescenti e giovani per l’orientamento vocazionale
Nel mondo giovanile vi è un momento particolarmente denso educativamente e pastoralmente parlando che merita maggior attenzione: quello gli Esercizi Spirituali (ES).
È un momento forte del cammino di ricerca e di approfondimento religioso dell’adolescente e del giovane da proporre e riproporre anche come momento iniziale e non solo per “iniziati”.
È una costatazione che nasce da un’esigenza: senza interiorità e sotto la pressione del clima che ci circonda, troppi giovani possono correre il rischio di vivere la loro esistenza cristiana e la loro spiritualità in termini esteriori o, peggio, facendo convivere nella propria vita logiche e atteggiamenti che di evangelico hanno poco.
All’esigenza di interiorità arriva anche chi si lascia provocare dai fatti: giovani e gruppi stanno riscoprendo spazi di silenzio, di riflessione, di confronto disponibile con le dimensioni più radicali dell’esistenza cristiana.
Se ciò può essere di consolazione bisogna però fare attenzione. Esistono gruppi giovanili, comunità di preghiera, che hanno inventato un “deserto”, una interiorità senza troppe pretese. Hanno isolato un ambiente dal resto degli spazi comuni di convivenza, steso una moquette per terra, qualche cuscino, una illuminazione vagamente esoterica. Due radici contorte completano il look: chiamano “deserto” il luogo dove si ritrovano a pregare e a meditare dimenticando forse che il deserto è segno di uno stile di esistenza in cui festa e servizio, amore alla vita e responsabilità vocazionale sono vissute in profonda “interiorità” e che il deserto è il luogo in cui si impara a “tessere” la vita quotidiana.
Per una proposta
Se in ogni attività pastorale occorre avere alcuni punti fissi sui quali tessere la struttura, gli obiettivi e metodi dell’agire, questo vale anche per un corso di ES per adolescenti e giovani.
“Per chi?” “Per che cosa?” sono premesse indispensabili per stendere a tavolino ciò che sarà vissuto durante gli ES.
Offro alcuni spunti, senza la pretesa dell’esaustività, che vengono dall’esperienza di ES vissuti con giovani di parrocchie diverse e dal guardarsi attorno in questo panorama affascinante e inquieto di molti giovani in cerca di “deserto” e di un itinerario vocazionale disseminato già da molti “sì” e dove l’orma di Dio è chiaramente visibile, provocante e chiama a totale radicalità.
Destinatari
Non vorrei dare l’impressione che i partecipanti agli ES siano sempre giovani selezionati o particolarmente allenati al discorso e all’impegno religioso. Spesso sono giovani come tanti, ciascuno con una propria fisionomia, con reazioni, attenzioni, capacità d’ascolto, entusiasmi o stanchezze, impegno e approfondimenti più diversi. Dal punto di vista religioso sono, come si suol dire, “bravi”, ma, dal punto di vista che ci interessa, superficiali e con lacune sia conoscitive sia di “pratica” Lo ripeto, gli ES non sono solo per gli “iniziati” ma possono essere un meraviglioso trampolino di lancio anche per coloro che muovono i primi passi sul sentiero della spiritualità e della ricerca vocazionale.
Chiarezza e libertà
Occorre creare un clima di serenità, di attesa per quanto insieme si andrà a vivere e al tempo stesso essere chiari. Viene chi vuol venire. Non si viene perché partecipa l’amico o il vicino e neppure per far piacere al “don” o per evitare “rappresaglie” o ricatti morali. Deve essere una decisione autonoma e proprio per questo responsabile.
Gli ES non sono una vacanza spensierata ed evasiva, un momento di relax, un’opportunità per stare con gli amici o con il gruppo fuori dal solito ambiente. Sono invece l’incontro profondo e sincero con se stesso, alla luce della Parola di Dio che giudica e sollecita.
Ognuno è protagonista del proprio rapporto con il Signore. L’uno alla ricerca dell’Altro con la disponibilità all’incontro, al cambiamento. L’animatore ha “solo” il difficile compito di favorire questo incontro, di indicare qualche direzione di marcia, ma a ciascuno tocca camminare. Occorre prendere le distanze dalla logica della vita quotidiana: l’invito a lasciare a casa radioline, mangianastri, libri e altro, di mettere in borsa la Bibbia, un quaderno per le riflessioni personali e la disponibilità a fare quanto verrà richiesto (fedeltà al silenzio, condivisione, puntualità…) è doveroso.
Fare gli ES è assumere uno stile di vita dalla parte del “deserto”; assumere ritmi diversi dal quotidiano vivere. Significa il coraggio di mettere Dio al primo posto; distruggere con decisione gli idoli che ci siamo fabbricati, ricostruire, nella nostra personalità, atteggiamenti che vanno facilmente smarriti nel ritmo affannoso delle nostre giornate. Penso alla difficile capacità di ritornare essenziali; alla pazienza e all’attesa, nella convinzione che le cose che contano non sono mai assicurate con la logica del “tutto” e “subito”. Penso alla capacità di stupore di cui sono dotati gli uomini grandi, disposti ad ammirare con profondo senso religioso, quello che la gente distratta neppure avverte, abituata ai toni forti e ai tratti grossolani. Dio sta nella casa della semplicità, nello stupore, nella paziente ricerca e nella trepida attesa. Possiamo distruggere gli idoli solo se siamo capaci di rinunciare alle molte cose che non contano. Fare gli ES è in un certo senso mettersi nei panni di chi attraverso il deserto, come di chi si attrezza per una difficile scalata in montagna e vivere questi atteggiamenti come normali ragioni di sopravvivenza. Se qualcuno si porta le comodità e le abitudini della vita in città, diventa un peso per tutti. “Stare al gioco” degli ES è condizione pregiudiziale.
Temi
Cercare di risolvere in un corso di ES le attese del giovane presente è peccare di presunzione. L’importante è far toccare con mano che il Vangelo è la buona notizia proprio per lui, per le sue aspettative, per tutto quello che di positivo e di negativo si porta dentro.
Nelle attese dei giovani c’è un’esigenza profonda: quella di portare le proprie problematiche di vita davanti al Signore per ricevere da Lui una risposta illuminante. Ma vale pure il rovescio: verificare cioè fino a che punto quella che noi chiamiamo fede, preghiera, sacramenti, ha a che fare con l’esperienza di vita quotidiana. Ha senso parlare di famiglia, di amore, di costruzione di sé, se intuisco che il Vangelo ha una parola risolutrice; come pure ha senso riflettere sui sacramenti, sulla preghiera, se si inseriscono vitalmente nella mia esistenza.
Al di là dei temi proposti, dei cammini spirituali più vari, credo che gli ES raggiungano lo scopo se riescono a far vivere una delle esperienze più difficili oggi: vincere la paura del restare soli, in silenzio davanti a Dio.
Abbiamo tutti una gran paura della solitudine e cerchiamo affannosamente gli altri. Ci sostengono; ci servono da prezioso punto d’appoggio. Spesso è una compagnia strana: rumorosa e distraente. Gli ES costringono a guardare in faccia la nostra finitudine, a cercare due polsi robusti a cui ancorare le nostre braccia alzate nell’invocazione. Ma questo fa soffrire, scopriamo di non bastare a noi stessi, ci accorgiamo che infondo, nessuno dei nostri amici ci basta per sopravvivere alla nostra fame di vita e di felicità. Abbiamo paura di sprofondare nell’abisso dell’“oltre”, dove i conti non tornano più.
È una lotta. Occorre scoprire di quanto “deserto” abbiamo bisogno per costruire il nostro progetto, per scoprire la nostra vocazione. È l’esperienza di Gesù costretto a scegliere la qualità della sua vocazione per la causa del Padre proprio nel deserto; di Mosé e di Elia che sempre nel deserto ritrovano la loro vocazione e la passione infuocata per la stessa causa.
Gli ES sono il tempo della prova: un momento irrinunciabile di ogni vita nello spirito.
Per continuare
Proporre gli ES agli adolescenti e ai giovani è proporre un tempo forte all’interno di un processo dinamico. Non possono rimanere, queste esperienze di vita comunitaria, come un bel momento, un isolotto all’interno della vita di una comunità, di un oratorio o di tutta una pastorale diocesana. Non può tranquillizzare il fatto che esiste qualcuno che si interessa esplicitamente di questi momenti “pedagogici” della fede. Queste esperienze devono essere un momento forte di un’intera impostazione pastorale. Mi riferisco più concretamente alle parrocchie, agli oratori, alle associazioni giovanili. Realtà queste che presuppongo impostate sull’evangelizzazione. Cioè che essa, esplicitamente o meno, sia il primo valore di fatto e che le altre attività siano a questo subordinate.
Ciò comporta una continua verifica affinché tali strutture diventino sempre più capaci di testimoniare i valori evangelici.
Il battesimo, lo sappiamo impegna a potenziare tutte le dimensioni umane della persona e a rendere visibile la fede in una trasmissione reale. Nessun cristiano che lavora in una struttura evangelizzatrice, può chiudersi a questa realtà a meno che la sua fede sia un fatto puramente culturale e senza vita. A qualcosa di più serio e complesso che non il semplice parlare di Dio, quasi riducendolo a una categoria religiosa e alla celebrazione di alcune eucaristie.
Occorrono équipes di pastorale capaci di catalizzare altri coinvolgendoli nell’impegno cristiano. Esse, formate da sacerdoti, religiosi e laici, debbono elaborare un progetto “pedagogico” della fede nella propria realtà (parrocchia, oratorio, centro…) in modo da rispettare il ritmo della storia personale delle persone e dei gruppi che in essa vivono. Dal canto suo la comunità cristiana deve sentirsi impegnata nel lavoro vocazionale nei confronti delle giovani generazioni.
Gli ES o i momenti espliciti, quali un’eucaristia, un atto penitenziale… sono manifestazioni di una realtà interna che si cerca di costruire e danno sapore alla vita comunitaria. Sono momenti che saranno condotti solo da alcune persone, ma tutti, più o meno direttamente, si devono sentire responsabili. Per i cristiani adulti è il tempo della preghiera intensa per la conversione e illuminazione dei cristiani più giovani che stanno vivendo un momento importante della loro vita; è un tempo per vivere la dimensione comunitaria ed ecclesiale della fede.
Non basta accontentarsi che gli adulti diano il permesso perché i ragazzi partecipino, aspettandosi magari che ritornino “santi”. Fatta l’esperienza, adolescenti e giovani debbono trovare momenti di continuità. Prospettata una realtà che merita la pena di impegnare la vita, occorre garantire il nutrimento necessario per continuare il cammino.