Famiglia e educazione affettivo-vocazionale dei figli
L’argomento è di ampie dimensioni[1]. Lo svolgerò riferendomi in generale all’intero arco di tempo trascorso dai figli in famiglia, senza entrare nel dettaglio delle varie fasce di età.
L’adattamento all’infanzia, alla fanciullezza, all’adolescenza e alla giovinezza verrà fatto pertanto dagli stessi genitori. Ai quali peraltro confesso la mia predilezione e il mio interesse per l’adolescenza e la giovinezza che ritengo spazi esistenziali caratteristici, se non unici, per le scelte di vita. Scelte di vita, quali che siano, verginali o coniugali. Scelte di vita che comunque richiedono una solida base di maturazione umana ed affettiva. Maturazione che coinvolge i genitori in maniera prioritaria.
E la famiglia?
Che la famiglia sia responsabile della educazione dei figli è un dato acquisito. Alcuni pedagogisti arrivano ad affermare addirittura: “L’educazione fonda la famiglia”. Paradossalmente parlando, infatti, per nascere sarebbe sufficiente “tecnicamente” un’inseminazione; per crescere invece, una volta nati, è indispensabile un clima educativo umano reso possibile da persone in relazione, siano esse i genitori naturali, adottivi, spirituali. E che questa relazione sia il più possibile corretta e non nevrotica, naturalmente…
Che la famiglia sia responsabile della maturazione affettiva dei figli è ugualmente un dato di fatto, anche se sovente si tende a far coincidere l’educazione affettiva con alcune raccomandazioni e con alcuni sermoni con i quali bombardare i figli alle soglie dell’adolescenza. La maturazione affettiva, così come ogni maturazione, non avviene con attacchi improvvisi, a sorpresa, ma attraverso la costanza e la tenerezza del proprio amarsi di coniugi e del proprio amare i figli, modificando i modi a seconda dell’età… Se è vero che la famiglia è il laboratorio artigianale dell’amore è vera anche questa dimensione quotidiana dell’imparare reciprocamente la lezione perenne dell’amore.
Che la famiglia poi sia anche responsabile della maturazione vocazionale dei figli è, per troppi genitori, ancora un enigma oppure un fatto scabroso, un tabù. Taluni di loro arricciano il naso quando sentono profumo di Dio, altri gli oppongono dichiaratamente barriera come fossero in presenza di un sequestratore, altri ancora lo pregano per le vocazioni, ma a patto che Egli lasci in pace i loro figli. Quale pace al di fuori della volontà di Dio?
Le buone intenzioni e gli equivoci
Si suol dire che di “buone intenzioni” sia lastricata la strada per l’inferno. Soprattutto per quanto riguarda l’amore. Pare che ci si fidi delle “buone intenzioni”. Lo affermò anche Erich Fromm: “Nessuno crede che vi sia qualcosa da imparare in materia d’amore”.
Ed è proprio questo il primo equivoco: che bastino le buone intenzioni. E questo non è vero. Le buone intenzioni non bastano. Servono anche le buone conoscenze. La persona umana, infatti, è dotata anche di intelligenza, oltre che di cuore. E perché la mente umana si muova in maniera solerte e senza inciampare sulla strada della conoscenza serve proprio sgomberare la strada dagli equivoci. Che paradossalmente stanno proprio nella testa e nel cuore. Si racconta che una scimmia, intenzionata a salvare un paese dall’annegamento, lo estrasse dall’acqua in cui viveva…
Di buone conoscenze sull’essere umano, di studi seri sul modo di riconoscere i propri stati emotivi e razionali interiori e sul come gestirli, di chiavi di lettura del meccanismo della crescita umana attraverso la soddisfazione dei bisogni esistenziali ce ne sono tante e suggestive. Sarebbe un peccato ignorarle.
Un altro equivoco riguarda il concetto di maturazione o di educazione. La maturazione non va paragonata ad un traguardo da raggiungere (anche se da un certo punto di vista lo è), ma a un modo di camminare. Il problema non è “dove arrivare”, ma “come camminare”, non è “come raggiungere” ma “come essere”. Essere in relazione? Chi viaggia in treno sa quanto sia sterile l’ansia di arrivare e quanto sia invece proficua l’arte del viaggiare.
Punto fondamentale e conseguenze
“Modo di viaggiare” dicevo. L’attenzione quindi è concentrata sul come. Come la famiglia può favorire la maturazione affettiva e vocazionale dei figli? A partire da una profonda interiorizzazione di una legge dell’esistenza: cresce ciò che è vivente, è vivente ciò che ha rapporti, cresce quindi ciò che ha rapporti. La domanda diventa allora: quale è la modalità di rapporto ottimale favorente la crescita? Nel settore della comunicazione si dice che “il mezzo è il messaggio”. Ma dove il “mezzo” è la “persona”, il problema si sposta sul “come” la persona si rapporta con un’altra persona. In sintesi: quali “messaggi” educativi, affettivi, vocazionali i genitori trasmettono per il semplice fatto di rapportarsi con i figli?
I genitori creano un clima di crescita umana con il semplice loro esistere, con la presenza fisica, con il confronto reciproco di pensieri, sentimenti, aneliti dell’anima. In troppe famiglie invece si gioca al risparmio, non si entra in contatto con i figli, ci si limita a indottrinare e a rimproverare o a minacciare. Non ci si confronta, si battibecca; non si “convive”, si “combatte”; non si accetta come valore irrepetibile il mistero dell’altro, ma ci si stizzisce di non saperlo decifrare. E i rapporti familiari assomigliano di più ad una settimana enigmistica che non ad un gioco d’amore.
Ma cosa vuol dire “rapportarsi” in maniera che i messaggi educativi passino in maniera corretta? Rapportarsi vuol dire innanzitutto passare il più in fretta possibile, se non lo si è ancora fatto, dall’atteggiamento del giudizio sull’altro a quello dell’accoglienza. Un genitore tendenzialmente “giudicante” diventerà facilmente pretenzioso, ricattatorio, pesante. Un clima del genere non favorirà la crescita. Il che non significa non avere proprie opinioni o proprie diagnosi, o non intervenire per correggere e stimolare, ma semplicemente significa non ritenere le medesime come veicolo privilegiato educativo.
Il veicolo privilegiato educativo è l’accogliere comunque l’altro così come è, senza volontà di cambiarlo. Questa apparentemente banale conoscenza corretta riflette una grande verità, una grande legge della esistenza umana: essere ed essere dono coincidono. Un fiore, un profumo, un tramonto, un sorriso sono e sono “contemporaneamente” dono.
Il che, tradotto in chiave pedagogica, diventa “essere dono fa essere” ed anche “accettare l’altro come dono fa essere”… anche perché lo fa stare bene. I genitori consapevoli di questo sono anche in grado di ammettere che tale fondamentale atteggiamento di accoglienza (forse unito a stupore per il dono…) genera quelle che io ritengo le virtù educative per eccellenza sia per la sfera affettiva, sia per la sfera vocazionale. Che sono:
Il rispetto: il genitore “rispettoso” è quello che sa vedere “sé” rispecchiato nel figlio (l’etimo latino di rispetto è proprio “respicio”). Questa constatazione lo porta a considerare e a valutare i pensieri, i sentimenti e i comportamenti dei figli simili ai propri. E quanto ognuno ci tenga a farsi rispettare è evidente. Sarebbe da vanitosi giudicare lo specchio, da maleducati sputarvi sopra, da illusi ritagliare il vetro secondo le proprie misure…
L’empatia: il genitore empatico è quello che mettendosi nei panni dei figli, immedesimandosi nei loro bisogni, li comprende. Sentirsi capiti, compresi crea contatto, fa stare bene. Essere nel cuore di ognuno è il bisogno di ciascuno…
L’attenzione: soprattutto al qui ed ora. Il genitore attento al qui ed ora può anche essere “sognatore” riguardo al futuro dei figli, ma sognatore a patto che una volta sveglio sia presente e ne custodisca la vita. L’essere attenti al presente neutralizza il ricorso ai “risentimenti”, a quel sadico rivangare tanto caro a tutti e tanto deleterio. I risentimenti sono sentimenti “rifatti”. La parola “rancore” deriva da “rancido”. Non serve spiegazione.
La fiducia: sia riferita al figlio come punto di riferimento del proprio essere genitori-educatori, sia riferita alla sorgente della Vita. Per il fatto di esistere il figlio è positivo, è amato, è curato da Dio. Per il fatto stesso di essere collocato, e per sempre, nello spazio misterioso della vita cosmica, egli ha senso. Il genitore convinto di ciò vedrà scaturire dalle fenditure dell’anima il grazie riconoscente e l’orazione di aiuto…
La pazienza: che è una fiducia perseverante nel tempo. È virtù speciale, quasi cartina al tornasole della autenticità della fiducia. Il genitore paziente saprà anche essere tollerante. La parabola del figliol prodigo insegna che il padre “attende” paziente… Anche se non va dimenticato che la parola “pazienza” è imparentata con “patire”…
Congruità e tenerezza per la maturazione dell’affettività
Ed ora due parola sulle caratteristiche principali delle virtù educative affettive e vocazionali.
Affermava Lao-Tse che la “via del fare è l’essere”. La via educativa più praticabile è quella dell’essere: una sorta di simbiosi di dire e fare coniugati nel proprio modo d’essere. I genitori capaci di essere loro stessi (e di farsi notare discretamente) in atteggiamento di crescita e di formazione permanente come esseri umani e come coniugi creano un clima adatto per la maturazione affettiva dei figli.
Questo atteggiamento comporta dinamismo, elasticità, fantasia nel modificare i comportamenti in presenza di situazioni che cambiano, di anni che passano, di esperienze che aumentano. Bisognerebbe che i coniugi fossero capaci di innamorarsi ogni giorno, reciprocamente… ed innamorarsi anche del matrimonio.
Mi piace pensare alla tenerezza come alla virtù coniugale pedagogica per eccellenza. La tenerezza dell’abitare insieme sotto la tenda del proprio amarsi… nel grande giardino creato da Dio; tenerezza che non contrasta con la fermezza, ma che si coniuga con essa in un abbraccio educativo stimolante. Abbracciare il proprio destinovocazione di coniugi sposati “nel Signore” è via educativa affettiva essenziale. Il tutto nella sobrietà e con quell’alone di mistero che non guasta…
Fede e perseveranza per una maturazione vocazionale
Innanzitutto fede nel Dio della propria storia d’amore. Fede nel valore pedagogico del proprio semplice essere “sposati nel Signore”. Ma anche volontà di collocare-questa fede nell’ampio spazio del Regno di Dio, capacità di vivere questa storia coniugale al ritmo della storia della salvezza, capacità di vedere orizzonti lontani sfuggendo al pericolo della miopia, di considerare soltanto il proprio figlio, il proprio guscio, il proprio orticello, la propria ideologia del Regno, la propria ansia.
I genitori intenzionati a creare un clima favorevole alla crescita sanno che la vertigine esistenziale, la oscillazione dovuta allo stordimento derivano dal non essere radicati in Cristo che di questo Regno è stato l’iniziatore, dall’essere cioè tralci staccati, foglie al vento…
I genitori cristiani sanno che nell’attesa della sua venuta, la virtù vocazionale per eccellenza diventa allora la perseveranza, la tenacia, la fedeltà cocciuta alla esigenza del Regno. E sanno anche quanto serva di preghiera per tutto questo. Qualche genitore potrebbe sentirsi schiacciato dal peso di questa responsabilità. “II mio giogo è soave, il mio carico è leggero”. Per non sentire il peso occorre avere la furbizia di non caricarselo sulle spalle, bensì metterlo nel cuore. Occorre un cambiamento, cioè. Afferma la saggezza orientale: “Nulla è cambiato, il mio atteggiamento è cambiato, tutto è cambiato”.
Note
[1] Data la ristrettezza di un articolo rimando volentieri, per un ampliamento della riflessione, alle seguenti opere: Dal Molin N., Itinerario all’amore, E.P..; Fromm E., L’arte di amare, Il Saggiatore; Montuschi, Vita affettiva e percorsi dell’intelligenza, La Scuola; Erikson H., Infanzia e società, Armando; Macario L., Genitori: i rischi dell’educazione, SEI; Avanti G., Ragazzo Ragazza, E.P.; Avanti G., Famiglia e vocazioni, Rogate; Avanti G., Davanti allo specchio: ma io chi sono? E.P.; Salomè J., Vivere la tenerezza, Borla; Winnicott D., Sviluppo affettivo e ambiente, Armando; Gatti G., Genitori, Vangelo vivo per i figli, Ancora; Palamenghi S., Il Vangelo secondo gli sposi (2 voll.), Dehoniane.