La maturità dell’educatore nella maturazione affettiva delle giovani generazioni
Il processo evolutivo di ogni persona è un itinerario di maturazione, nel quale ciascuno si costruisce per trovare se stesso con la sua identità, il suo progetto da vivere, la sua libertà ed il senso della vita. L’educatore psicologicamente “sano”, consapevole cioè del suo ruolo educativo, desidera e si impegna con continuità in un crescente processo di cambiamento e di maturazione per poter star bene con se stesso ed essere l’interlocutore significativo per il giovane, che è in ricerca della sua identità e della sua vocazione[1].
L’educatore “maturo”
Centrale nella vita della donna e dell’uomo è l’affettività, energia indispensabile alla relazione con l’altro. L’affettività è l’insieme di forze consce ed inconsce, che permette la comunicazione e la simpatia verso l’altro. La persona affettivamente bene orientata è quella che si riconosce e viene riconosciuta disponibile al dialogo, alla accoglienza, all’empatia. L’adulto che si pone in un rapporto educativo con i giovani ha il compito di impegnarsi in una personale crescita di maturazione affettiva per essere l’interlocutore positivo per chi sta faticosamente cercando la propria strada e la stima di sé. Quali allora i requisiti indispensabili alla maturazione affettiva?
Una reale e profonda conoscenza di sé (chi sono io? chi è l’altro per me? quali dinamiche mettono in atto nel rapporto con gli altri?); un’accettazione del proprio essere, elaborando una consapevolezza di sé matura con l’impegno continuo al cambiamento positivo; una comunicazione profonda con l’altro che richiede non tanto la capacità di saper parlare quanto di saper ascoltare profondamente l’altro così da entrare nella sua interiorità con atteggiamenti di accoglienza, non-giudizio, serenità, pazienza, interesse per la vita e i sentimenti dell’altro; l’integrazione della sessualità in un progetto di vita guidato dall’amore che si attua attraverso la consapevolezza delle proprie pulsioni sessuali, la riflessione sulla differenza tra repressione e sublimazione, la consapevolezza del rapporto tra sessualità (ovviamente intesa come “eros” e non genitalità) e sublimazioni (proprie), l’importanza di giungere ad una serena e costruttiva accettazione di tale rapporto visto in una dinamica creativa e socializzante (la cui presenza rientra anche nella sfera della spiritualità).
Ciò avverrà solo se nell’itinerario della maturazione affettiva l’educatore ha superato la sfera egocentrica-narcisista ed è entrato in quella oblativa altruista. Ha, cioè, una chiara identità di sé, che, secondo Erikson, consiste nell’avere uno stabile senso di continuità interiore che rimane nel tempo e nelle diverse situazioni di vita. È, in fondo, il percepirsi come individualità, persona, cioè, che rimane se stessa con i propri valori, le proprie idee (anche se poi modificate nel confronto con gli altri), le proprie scelte personali e come socialità, cioè inseriti nel tessuto sociale con un proprio ruolo. Il senso di individualità è una realtà dinamica e in continua evoluzione e crescita come pure il senso di appartenenza.
Risonanze positive
Tracciato l’identikit dell’educatore “sano” psicologicamente, come persona affettivamente matura, è importante scoprire le risonanze positive che intercorrono nella relazione con il giovane. È necessario tener presente che il giovane non è adulto e che per crescere e formarsi necessita di confronto con persona matura.
Ritengo quindi che gli aspetti positivi siano i seguenti:
– l’educatore parte dal giovane così com’è per aiutarlo ad arrivare dove non è ancora, a costruirsi una affettività che gradualmente impara a diventare altero-centrica. Per giungere a questo è necessario essere persone libere e disinteressate, convinti che il giovane ha una sua strada da scoprire e percorrere: l’educatore è guida in questo cammino, non si sostituisce al giovane né pretende che segua i suoi consigli: gli dà fiducia, lo stima per quello che è, consapevole che tali atteggiamenti non intaccano la sua persona. Dal modo di essere e di porsi dell’educatore, il giovane trarrà vantaggio, perché fa esperienza di affettività oblativa e generativa (che offre cioè strumenti, perché il giovane impari a diventare “persona” in modo critico e responsabile), di pazienza intelligente (i tempi dei giovani non sono i tempi degli adulti), non si sentirà “usato”, chiuso, costretto, ma aiutato a crescere, a responsabilizzarsi, ad amare;
– l’educatore intelligente non ha “la sindrome della risposta”, anche perché è consapevole che il giovane non la vuole, ma desidera essere soprattutto capito, ascoltato e poi aiutato a far chiarezza in se stesso.
È d’altronde l’educazione il luogo dove il giovane può maturare la capacità di amare in una sequenza di tappe che dall’iniziale disponibilità di tutti, a simpatizzare evolvono in una linea di apertura verso l’altro, sempre meno dominata dall’impulso e dall’inconscio, sempre meno schiava dell’egoismo egocentrico o del narcisismo che portano l’IO a ripiegarsi su se stesso o a utilizzare l’altro al proprio servizio.
L’adulto affettivamente maturo offre questo tipo di relazione, perché è persona che vive il valore dell’amore, e non solo quello, ma cerca nel faticoso cammino quotidiano di confrontare continuamente la sua realtà vitale con questi e con la Parola in cui crede.
Il giovane, così bisognoso di concretezza, di fatti più che di parole, avrà la possibilità di un confronto, di una verifica, di un momento di crescita con la certezza che l’altro lo comprende, ha fiducia in lui e soprattutto incontra la persona che veramente gli vuole bene, perché vuole il suo bene.
Le risonanze negative dell’educatore immaturo
Se l’educatore è persona immatura con caratteristiche infantili, persona che non ha chiara identità di sé, che non ha maturato atteggiamenti altero-centrici, quindi bisognosa in modo eccessivo di affetto, di attenzione, di essere riconosciuto dall’altro, avrà un influsso negativo sul giovane, perché le immaturità creano conflitto improduttivo, fine a se stesso. In questo caso il centro della relazione non è il giovane, ma l’educatore immaturo. Il giovane non avrà quindi la possibilità di confrontarsi con una persona armonica, che ha maturato nel tessuto vitale della sua personalità i valori, non potrà essere modello efficace ed efficiente, anzi non favorisce la crescita dell’altro e spesso si crea una diseducativa “fissazione affettiva”, da cui non è possibile uscire, non essendoci la persona che già ha superato questa fase dello sviluppo dell’affettività.
Se l’educatore non si conosce in profondità, come potrà guidare e educare il giovane a conoscere ed incanalare le sue energie affettive? Come verrà guidato alla relazionalità con l’altro? Come potrà offrire equilibrio e certezza al giovane che vive una notevole ambivalenza affettiva: amore ed odio verso i genitori, bisogno di autonomia e nello stesso tempo dipendenza dagli stessi, paure ed ansie che gli procurano notevoli cambiamenti di umore, bisogno e desiderio di comunicare con i coetanei e forti conflitti ed incomprensioni? Il giovane che vive una situazione fortemente ambivalente, per crescere, necessita di persone armoniche, capaci cioè di capire profondamente l’altro, permettendo di essere “usate” senza sentirsi sminuire, con gratuità, senza vivere il bisogno di essere riconosciuto per quello che fa. Ciò richiede capacità di considerare l’altro come persona preziosa, unica ed irripetibile, che va guidata a scoprire il proprio progetto, senza sostituirsi alla scelta, maturando atteggiamenti di fiducia e di stima.
Avere fiducia nell’altro non è facile: ciò richiede un notevole superamento del proprio egocentrismo per offrirsi all’altro come interlocutore libero e liberante.
L’educatore è soprattutto colui che ha scelto qualcuno e qualcosa a cui rimanere fedele, che valga più della vita stessa e si offre come modello al giovane nel cammino di maturazione anche vocazionale; nel processo di chiarificazione in cui emergono le reali disponibilità del giovane; nel saper ascoltare e cogliere le proprie risonanze interiori e nel saper dar loro una direzione nell’ambito di una dimensione progettuale; come scelta di crescita, di espansione, di contemplazione, di socializzazione, di realizzazione di sé attraverso il rapporto con Dio, con se stesso, con gli altri.
Note
[1] A questo proposito potrà risultare utile l’approfondimento offerto dai seguenti studi: ALLPORT, Divenire, Giunti, Firenze; ERIKSON, Introspezione e responsabilità, Armando, Roma; FROMM, L’arte di amare, Il Saggiatore, Milano, FRANTASALONIA, Comunicazione interpersonale, LAS Roma; CIAN L., Cammino verso la maturità e l’armonia, LDC, Torino; MAIOLO-VECCHI, L’animatore nel gruppo giovanile, LDC, Torino; COMOGLIO, Abilitare l’animazione, LDC, Torino.