Pastorale vocazionale oggi: la risposta ad alcuni interrogativi
Nell’incontro con le varie realtà ecclesiali italiane mi si chiede di tanto in tanto di fare il punto sulla situazione delle vocazioni e della “pastorale delle vocazioni”. Riassumo qui gli interrogativi che per lo più mi vengono proposti ed alcune note per una possibile risposta.
Inizio con il ricordare che il punto di riferimento e d’ispirazione della pastorale delle vocazioni della chiesa italiana, in quest’ultimo decennio, è stato il “Documento Conclusivo” emerso dal II Congresso Internazionale per le Vocazioni promosso dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica nel 1981.
Il Piano Pastorale per le Vocazioni, “Vocazioni nella Chiesa Italiana”, espresso dalla Conferenza Episcopale nel 1985, è il frutto maturo di tale avvenimento della Chiesa universale nonché del cammino postconciliare pazientemente tracciato dalla pastorale vocazionale nella esperienza stessa della Chiesa Italiana.
Oggi, mentre punto di riferimento e di confronto è anche il nuovo e recente Documento della S. Sede “Sviluppo della pastorale delle vocazioni nelle chiese particolari” – che rappresenta una verifica del cammino compiuto fino ad oggi nel campo della pastorale vocazionale – è possibile un bilancio della pastorale vocazionale nella chiesa italiana.
Qual è la situazione delle “vocazioni” nella chiesa italiana?
La situazione vocazionale può essere tracciata sia ponendo attenzione ai dati statistici, sull’incremento o meno delle vocazioni di speciale consacrazione, sia sul cammino fatto dalla pastorale delle vocazioni.
Pur facendo indirettamente riferimento alle tendenze statistiche, preferisco anzitutto privilegiare una lettura critica della situazione quindi delle acquisizioni della pastorale delle vocazioni nella Chiesa italiana lungo quest’ultimo decennio.
– È acquisita una chiara e sana teologia della vocazione e delle vocazioni, in sintonia con l’ecclesiologia del Vaticano II, che fonda e sostiene la pastorale delle vocazioni.
– Si registra una lenta seppur graduale crescita d’interesse per la pastorale vocazionale nella comunità cristiana.
– Si nota anche lo sforzo per rendere effettivamente “vocazionali” tutte le pastorali, ma si è ancora lontani da una catechesi, liturgia, servizio della carità in chiave vocazionale.
– Si sta riscoprendo la comunità parrocchiale come luogo privilegiato per l’annuncio, la proposta e l’accompagnamento vocazionale. L’annuncio vocazionale nella comunità parrocchiale appare tuttavia al momento ancora un fatto troppo sporadico. È dunque sempre più urgente riportare la dimensione vocazionale nel suo “habitat naturale”: la comunità parrocchiale nel suo insieme, gli itinerari di fede in essa presenti (gruppi, movimenti, associazioni).
– Si rileva un certo impegno nelle diocesi, ma senza continuità e senza precisi itinerari, anche per il mancato potenziamento adeguato di persone e mezzi del servizio del Centro Diocesano Vocazioni.
– La proposta vocazionale alla gioventù si va facendo sempre più coraggiosa, mentre la pastorale delle vocazioni si va integrando progressivamente nella pastorale ordinaria.
– La pastorale giovanile fa fatica ad evidenziare ed a far propria l’essenziale dimensione vocazionale ed a convincersi che diventa completa ed efficace quando pone i giovani in condizione di rispondere alla propria vocazione.
– È in ripresa la direzione spirituale, come mezzo di proposta e discernimento vocazionale.
– Si è intensificata la preparazione dei responsabili, a vario titolo e livelli, della pastorale vocazionale: direttori dei CDV, animatori/trici vocazionali consacrati, laici animatori vocazionali parrocchiali, direttori spirituali ecc.
– In diversi sacerdoti e in numerose comunità permangono – malgrado il lavoro di coscientizzazione fatto in questi anni – atteggiamenti di stanchezza, indifferenza, delusione e scoraggiamento pastorale.
Siamo ancora in una fase di “emergenza-vocazioni”?
Se si analizzano con attenzione i dati statistici, nelle loro varie sfaccettature, devo ancora una volta constatare e affermare che siamo in fase di emergenza, per non dire che la situazione è di una certa gravità.
I lievi incrementi, registrati qua o là in questi anni, possono infatti indurre in inganno se non vengono letti in una visione d’insieme e in un reale contesto ecclesiale.
Si tratta infatti di incrementi di qualche unità, tra l’altro altalenanti di anno in anno nell’una e nell’altra diocesi o istituto religioso, senza segnare nell’arco dell’ultimo quinquennio una crescita significativa.
Se i dati si scorporano per classi di età si registra tra l’altro un calo crescente nei seminari minori tra gli alunni delle scuole medie inferiori: non si può dimenticare che – pur non dando i seminari minori relativi agli alunni delle scuole medie inferiori i frutti sperati, in proporzione al lavoro educativo altamente qualificato ivi profuso – questo servizio educativo fino ad oggi ha tuttavia fornito la maggioranza dei seminaristi delle scuole medie superiori.
Alle scuole superiori dei seminari minori stanno è pur vero approdando – ma non in numero tale da supplire i vuoti delle medie inferiori – alcuni adolescenti o giovanissimi che pervengono direttamente da cammini educativo-vocazionali proposti nella comunità cristiana, dove, per la verità, è in incremento l’impegno di animazione vocazionale: si pensi ai “gruppi vocazionali” o “comunità vocazionali”, con denominazioni varie fiorite in questi anni nelle nostre diocesi, o presso gli istituti religiosi, con chiara finalità di essere luoghi di proposta e orientamento vocazionali, in vista dell’ingresso, a discernimento avvenuto, sia nei seminari minori sia nei seminari maggiori.
Per quanto riguarda gli studenti di filosofia e teologia nei seminari maggiori si può parlare di una certa “tenuta” rispetto a dieci anni fa, ma non tale da segnare di per sé una reale ripresa o un inversione di tendenza generalizzata.
Esistono infatti diocesi, anche di media grandezza, ed istituti religiosi che contano sulle dita di una mano i loro studenti di filosofia e teologia, con una grande fatica quindi a decollare.
Sono convinto tuttavia che un lavoro ben impostato di pastorale vocazionale, secondo gli orientamenti e l’esperienza maturata in quest’ultimo decennio dalla chiesa italiana, nello spazio del prossimo quinquennio potrebbe offrire risultati più confortanti.
La programmazione del lavoro pastorale dovrà comunque fare sempre più i conti nei prossimi anni con un’altra variabile: i vuoti crescenti causati dai decessi. Il servizio vocazionale in particolare dovrà invece fare i conti con la cultura contemporanea, che non è certo vocazionale, per i riflessi che ha sulla maturazione delle giovani generazioni.
La cultura contemporanea come “cultura non vocazionale”: quali riflessi sulla ricerca vocazionale delle giovani generazioni?
L’analisi è, come comprensibile, complessa: per un serio approfondimento rinvio ovviamente agli studi e ricerche esistenti in merito.
Personalmente, anche a partire dalla mia esperienza di parroco e quindi di contatto quotidiano con le giovani generazioni, mi sto rendendo sempre più conto che il consumismo sta davvero fiaccando tutti e, in particolare, i più giovani.
Non è una novità dire che valori quali gratuità, totalità, radicalità – che sono sinonimo sul piano educativo di povertà, castità, obbedienza – le giovani generazioni non li respirano quasi più con una certa naturalezza nella vita quotidiana.
La comunità cristiana – variamente articolata in famiglie, parrocchie, gruppi, ecc. – ha proprio qui il suo compito, che non è certo di supplenza anche se la fatica è immane ma il servizio esaltante.
Si tratta di offrire alle giovani generazioni, non tanto proposte generiche, ma dei veri e propri itinerari educativi alla fede e alla vocazione, che educhino il giovane a coltivare nella preghiera il senso dell’Assoluto, a motivare sulla parola di Dio le proprie scelte, a rigenerarsi costantemente nel sacramento del perdono e dell’Eucaristia, nonché a verificare con impegni concreti a servizio della comunità ecclesiale e sociale la propria capacità di dedizione e, in particolare, la propria fedeltà nella ferialità.
Questa sintesi educativa, tra l’altro, mi sembra che sia continuamente riproposta ai giovani dal magistero di Giovanni Paolo II. In uno dei suoi ultimi messaggi per la Giornata delle Vocazioni il S. Padre ha tracciato addirittura per i giovani una proposta-sintesi di un itinerario educativo-vocazionale così articolato, itinerario della Parola: “Apritevi alla preghiera e alla parola che nutre la fede”; itinerario sacramentale: “Imparate a realizzare una sintesi costruttiva tra fede e vita”; itinerario di servizio: “Addestratevi all’esercizio della carità; collaborate alle iniziative di servizio, specie in favore degli ultimi”; itinerario di testimonianza: “Siate testimoni di Cristo di fronte ai vostri coetanei”.
E, sul versante della ricerca o domanda giovanile, mi sembra che ci sia una certa disponibilità di fronte a una tale seria proposta educativa ecclesiale.
Certo non si tratta di una domanda o risposta di massa – anche perché è davvero molto articolata la realtà giovanile contemporanea – ma là dove s’impostano itinerari educativo-vocazionali seri, seppur molto lentamente, maturano personalità giovanili capaci di fare propri quelli che possiamo chiamare “valori vocazionali” – che si concretizzano nell’adesione a una proposta di vita secondo i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza – valori che fanno anche da detonatore o lievito alla nostra cultura contemporanea che ho chiamato non vocazionale.
I laici sembrano ancora poco coinvolti nella pastorale delle vocazioni: c’è spazio per loro?
Dal convegno, promosso recentemente dal Centro Nazionale Vocazioni sulla responsabilità degli adulti nella pastorale vocazionale, è emerso ancora una volta con chiarezza che l’educazione alla fede delle nuove generazioni postula sempre più la responsabilità convergente dei laici, in quanto adulti: adulti in età, quindi in esperienza di vita, e adulti nella fede.
Considerato poi che l’educazione alla fede non può essere scissa dall’educazione vocazionale, la testimonianza, quindi la responsabilità dell’adulto, è di primaria importanza nella pastorale vocazionale.
Per questo, nei lavori del convegno, sono stati identificati itinerari e modalità concrete con le quali nella comunità cristiana il laico adulto si fa responsabile dell’annuncio, proposta e orientamento vocazionale delle giovani generazioni. Per quanto riguarda strade percorribili e già percorse sono state ribadite la valorizzazione della preghiera e della liturgia, itinerari propri della comunità cristiana, come luoghi preziosi, una miniera ricchissima e inesauribile di richiami e di educazione vocazionale. Occorre, naturalmente, esplicitare con sapienza tale dimensione.
Sempre a proposito di strade aperte, sono stati indicati altri luoghi o altre occasioni di educazione e responsabilizzazione vocazionale degli adulti: la catechesi degli adulti, l’educazione degli operatori pastorali (catechisti, animatori liturgici, gruppi caritativi o di volontariato, consigli pastorali, commissioni, associazioni di vario genere ecc.): va tenuta alta la tonalità vocazionale favorendo anzitutto in questi educatori alla fede una maturazione vocazionale più esplicita che dia senso e ispiri il particolare servizio di ciascuno.
In una certa direzione c’è forse qualcosa da inventare o almeno da potenziare in modo nuovo. Sembra particolarmente utile valorizzare il “gruppo-famiglie”, che promuove al suo interno una effettiva crescita nella spiritualità coniugale e può diventare efficacemente propositivo nella promozione di tutte le vocazioni.
Un altro punto di riferimento e di promozione dell’educazione vocazionale degli adulti è stato identificato nella figura del laico animatore vocazionale: meglio ancora se si tratta di un gruppo o di un gruppetto vocazionale.
Sembra di poter dire che una simile figura si impone oggi nella topografia di una parrocchia viva. Non si richiede che siano persone esclusivamente dedicate all’animazione vocazionale; possono anzi svolgere altri ruoli nella comunità (come catechisti, animatori giovanili, responsabili del gruppo-famiglie, ecc.). Ciò che si domanda loro è di coltivare una sensibilità vocazionale particolarmente viva e di farsi promotori nei confronti degli altri operatori pastorali, a partire dallo stesso parroco.
Se, in definitiva poi una parola riassuntiva il Convegno l’ha detta, questa va ricercata sulla “condizione spirituale” degli adulti di questa generazione, appartenenti a questa società e presenti nelle nostre comunità parrocchiali.
Una “condizione spirituale” che trova possibilità di formazione negli itinerari di maturazione vocazionale degli adulti che la comunità cristiana offre loro, e che è la condizione essenziale per la maturazione nei laici adulti di una coscienza e responsabilità vocazionale.
Una possibile causa del calo vocazionale potrebbe essere il fatto che i laici hanno scoperto altre vie di impegno ecclesiale e di protagonismo all’interno della chiesa?
Qualcuno sostiene la tesi opposta: ovvero che i laici siano ancora troppo poco protagonisti e che siano ancora coinvolti troppo poco nella chiesa, da cui deriva anche il venir meno di reali possibilità per maturare una vocazione definitiva.
Personalmente vedo il problema in questi termini. La ministerialità laicale bene intesa – che si fonda e riattinge continuamente alla sua sorgente naturale, la vocazione battesimale – mi sembra che abbia ampie possibilità di esprimersi e realizzarsi nella chiesa di oggi.
Il servizio ministeriale è anzi, a mio avviso, una grande scuola educativo-vocazionale, soprattutto se sostenuto da un profondo senso di fede e da un autentico senso ecclesiale.
Voglio dire che dall’esperienza di ministerialità ecclesiale ad una vita come dono – caratteristica delle vocazioni di speciale consacrazione – il passo è breve. La domanda che mi è stata posta – circa i laici che hanno scoperto altre vie d’impegno ecclesiale – mi sembra però che intenda fare riferimento ai laici che vivono un cammino di fede e quindi sono impegnati nelle varie aggregazioni ecclesiali quali i movimenti, le associazioni o i gruppi ecclesiali o a coloro che sono impegnati nelle varie forme di volontariato.
Personalmente ritengo le varie aggregazioni ecclesiali un dono dello Spirito per la chiesa dei nostri giorni e dei veri e propri itinerari di fede, anche per la maturazione di vocazioni consacrate. Ma ad alcune condizioni che non possono essere eluse.
Anzitutto tali aggregazioni – oltre a favorire una maturazione nella fede – devono coltivare un profondo senso della chiesa, quindi non assolutizzare se stesse e, di fatto, non porsi come cammini di fede paralleli alla chiesa locale e specificamente alle comunità parrocchiali.
In quanto tali, oltre che offrire uno specifico servizio alla nuova evangelizzazione, possono rivelarsi un campo particolarmente fertile per la manifestazione di vocazioni consacrate.
Vorrei aggiungere in merito anche una riflessione sulle varie forme di volontariato, che vedono impegnati non pochi laici e, in particolare i giovani. A me sembra che assolutizzare il volontariato come vocazione, spesso se ne parla e viene proposto come tale, sia rischioso e sul piano della teologia della vocazione e sul piano educativo. Mentre ritengo il volontariato un dono dello spirito e un autentico segno dei tempi, lungi da ogni strumentalizzazione, ritengo anche che pedagogicamente possa essere inteso e proposto come un vero e proprio itinerario di formazione e di maturazione in vista della vocazione definitiva della persona: in questo modo il volontariato stesso ne guadagnerebbe in qualità e prospettiva educativa.
Le vocazioni nascono maggiormente in parrocchia o nei movimenti?
Non esistono, almeno per quello che io ne sappia, precise e specifiche rivelazioni statistiche in merito. Io stesso tuttavia, incontrandomi con diversi seminari maggiori italiani o con gli educatori dei seminari anche religiosi, mi sono premurato di rilevare “a vista” tale dato.
La mia impressione è – al di là di certe “ondate” locali legate a persone o a particolari situazioni – che prevalgono altamente coloro che provengono dal seminario minore o hanno maturato la loro vocazione nelle comunità parrocchiali.
C’è tuttavia, in proposito da considerare un aspetto educativo importante: la maturazione vocazionale, nella maggioranza dei casi, non è espressione di un cammino individualistico ma per lo più di un cammino di fede comunitario in un “gruppo” espressione del cammino ordinario della comunità parrocchiale. Se mi è permesso aggiungere una nota, da quanto ho qua e là raccolto nel dialogo con gli educatori dei seminari, la personalità umana e di fede del giovane che arriva in seminario da un cammino di fede ben integrato con la vita della comunità parrocchiale è ordinariamente più completa e più aperta al servizio formativo, che spetta al seminario, di coloro che provengono da una specifica aggregazione ecclesiale. In ogni modo è importante che il prete che uscirà dall’iter formativo del seminario, al di là del contesto ecclesiale ove ha maturato la propria vocazione, si senta e sia realmente presbitero della chiesa e per la chiesa, in obbedienza al Vescovo, e non dell’una o dell’altra aggregazione ecclesiale.
Qualcuno sostiene che i seminari minori sono ormai superati. È vero?
Forse bisogna distinguere, all’interno del seminario minore, il ciclo delle scuole medie inferiori da quello delle scuole medie superiori.
Sì, c’è chi sostiene che i ragazzi delle medie inferiori hanno bisogno, per la specifica età, di vivere in famiglia e nella comunità parrocchiale la loro ricerca vocazionale.
In ogni modo il problema di fondo, che supera ogni disquisizione teorica in merito alla validità della proposta educativa del seminario minore, è il graduale venir meno in questi anni, per concause varie che è difficile qui esaminare approfonditamente, degli alunni soprattutto delle scuole medie inferiori nei seminari minori.
Personalmente, se mi si chiede un parere in merito, ritengo che il piano educativo del seminario anche delle medie inferiori – là dove è garantito un numero congruo di ragazzi per un’adeguata vita comunitaria e la disponibilità di un’adeguata équipe educativa – offre oggi una formazione umana, sociale, di fede e vocazionale del ragazzo più ricca e completa di quella che ordinariamente vivono tanti ragazzi anche in buone famiglie cristiane.
Bisogna conoscere dal di dentro il cammino educativo che i seminari minori hanno maturato nell’ultimo decennio e bisogna dare atto a coloro che ne sono gli artefici, l’équipe educativa, della sapiente, completa e lungimirante proposta educativa offerta ai ragazzi oggi anche attraverso la loro personale silenziosa dedizione quotidiana.
Ho incontrato in questi anni nei seminari minori dei ragazzi e degli adolescenti gioiosi e maturi spiritualmente. Sarebbe un vero peccato che tale esperienza ecclesiale, che ha una viva tradizione secolare nella chiesa, venisse meno per una prevenzione sia delle famiglie sia dei vari educatori della comunità cristiana, e per una non sufficiente conoscenza della proposta educativa offerta oggi dai seminari minori.
Dai seminari e dalle case di formazione religiose, che aiuto può venire alla pastorale vocazionale?
Tutti sappiamo come la cultura dei nostri giorni offre una miriade di messaggi e di modelli che spesso disorientano le giovani generazioni.
I giovani da parte loro cercano e sono affascinati quando incontrano modelli di vita sani e convincenti.
I seminaristi, o i giovani religiosi, in quanto giovani impegnati a orientare con serietà la propria esistenza, diventano così la migliore proposta vocazionale per i loro coetanei, in quanto testimoni reali di una scelta di vita coerente e coraggiosa.
Molti giovani non hanno però occasione d’incontrarsi con dei giovani seminaristi e li pensano come una specie rara e in estinzione.
Quando si offre loro l’opportunità di una conoscenza diretta ne restano affascinati e ne nasce quasi sempre un dialogo profondo e convincente che spesso, oltre interpellarli vocazionalmente, segna almeno l’inizio di un serio cammino di fede.
Ho avuto modo di constatarlo di persona nell’incontro che da qualche anno si realizza tra i seminaristi, anche delle scuole medie, con i ragazzi e i giovani della mia parrocchia in occasione della “settimana vocazionale parrocchiale”: iniziativa che è entrata da qualche anno nella tradizione della mia parrocchia e, grazie a Dio, da quanto mi risulta sempre più nella esperienza di molte parrocchie italiane, realizzando un vero e proprio annuncio vocazionale a tutta la comunità.
Un altro momento forte d’incontro vocazionale, tra gli studenti di teologia che si stanno preparando alla consacrazione religiosa e i giovani, è la “settimana vocazionale parrocchiale”, “missione parrocchiale” animata per lo più da seminaristi o giovani religiosi.
Anche la mia parrocchia ha vissuto nell’ottobre scorso questo provvidenziale momento, animato dai padri Francescani della Porziuncola di Assisi, e soprattutto i giovani – ma non solo loro – sono stati toccati dalla grazia proprio attraverso l’impatto della testimonianza e diverse dalle esperienze di vita dei giovani studenti francescani.
È ovvio che si tratta di momenti eccezionali che devono trovare una adeguata preparazione e soprattutto continuità pastorale nella ferialità della vita di una comunità parrocchiale.
Là dove esiste il seminario diocesano o la presenza di una casa di formazione religiosa ritengo in ogni modo che è provvidenziale poter stabilire, nei modi che si conviene e ispirandosi anche alle esperienze in atto, un “dialogo spirituale” soprattutto con i giovani che vivono un cammino di fede nelle parrocchie: se ne avvarrà, a mio avviso, sia una maturazione più completa dei giovani seminaristi che degli stessi giovani in ricerca!