Dimensione vocazionale e valori vocazionali nella pastorale familiare
Parlare della dimensione vocazionale e della pastorale familiare significa mettere subito al centro il problema educativo, senza girare attorno. In effetti questa è la sfida che le ultime generazioni pongono alla missione stessa della chiesa. Non si può infatti ignorare che questo sia il problema di fronte a cui c’è un diffuso disagio della famiglia, una sorta di fatalismo storico, che diventa sovente abdicazione. Sembra che i figli quando raggiungono la curva della preadolescenza vengano afferrati da un mondo impietoso che defrauda la famiglia stessa di un preciso diritto. È il fenomeno dell’”esproprio educativo”: connivente la latitanza della politica e della scuola, e consenziente una famiglia debole e sprovveduta.
Pertanto la comunità cristiana deve rimontare la china, ritrovando le motivazioni e le risorse necessarie dentro la sua stessa missione, per restituire speranza e fiducia alla famiglia, come soggetto insostituibile e comunità educante, nativamente chiamata al servizio della vita piena.
Il problema educativo: al centro della pastorale
Né va dimenticato che oggi è verificabile un preciso trapasso storico culturale, entro il quale si configura diversamente il problema educativo. Lasciamo alle spalle un passato caratterizzato da luoghi pedagogici “forti” socialmente significativi, per toccare con mano l’attuale loro debolezza. Erano soggetti “forti” di formazione la famiglia, la scuola, l’oratorio, la parrocchia. La frequenza di quei luoghi segnava in modo indelebile la vita dei ragazzi. Oggi quei luoghi sembrano dissolti, comunque deboli. Soprattutto la famiglia. E tuttavia questi soggetti devono ricuperare una loro valenza educativa che ad essi compete nativamente. La famiglia in particolare, può ridiventare luogo educativo se i coniugi cristiani prendono coscienza di sé come “testimoni” della paternità di Dio, il quale s’accompagna sempre con la fatica di due creature che accettano l’esaltante missione di diventare mediazione del mistero della creazione. Di qui il primato pastorale della famiglia, che non si accontenta, né si illude, di luoghi atti a mettere al riparo i ragazzi e gli adolescenti dai venti incrociati dell’indifferenza e del nichilismo; ma si propone la formazione di persone con la chiara auto coscienza di una vocazione-missione che nessuna cultura può vanificare. Educare è possibile; ma con la famiglia al centro.
La vocazionalità nella pastorale familiare
Una domanda: come educare alla vocazione e alle vocazioni nella pastorale familiare? Il singolare e il plurale sono d’obbligo. La crisi di vocazioni, per ricuperare un’espressione un po’ inflazionata, s’inalvea nella crisi di vocazione. Che è quanto dire nella debole coscienza vocazionale della vita. Pertanto una pastorale che voglia restituire alle “vocazioni” la possibilità di nuova germinazione, non può non riaffondare il vomere nel solco del terreno: là dove si forma una mentalità, un complesso di valori o di miti che possono rendere accoglibili i semi di nuove chiamate o possono soffocarli appena affiorano timidamente dal cuore degli adolescenti.
Per questo la pastorale della famiglia non può eludere alcuni “contenuti” che fanno appello ad altrettante “attenzioni pedagogiche” della comunità cristiana.
In particolare quattro.
1. Nell’adolescenza e nella giovinezza
Il primo momento di una pastorale familiare, in dimensione vocazionale, s’identifica con la stagione dell’amore adolescenziale e giovanile. Si tratta di restituire a tale esperienza universale la sua verità originaria: che è la stessa vocazionalità dell’amore coniugale come risposta ad una chiamata. Si sa. Ci sono molti ammiccamenti di fronte a questo appuntamento giovanile, dentro una cultura pansessualistica. Non è facile restituire a Dio la paternità di quell’intuizione che fa incontrare due creature, e domanda loro una risposta responsabile per la costruzione dello stesso progetto. Una delle sfide della pastorale familiare, in sintonia con la pastorale giovanile, è quella di fare scoprire dentro una cultura dell’amore “eros”, l’autentica visione dell’amore “agape”. Di qui il ricupero di una visione di fede di fronte alla vita e all’amore, come riflesso delle stesse fattezze dell’amore divino: quali la totalità, la fedeltà, la fecondità. Solo un amore illuminato dalla fede e fortificato dalla grazia, può affrancare dall’eros per dire insieme “sì” al dono di Dio, che fa incontrare le sue creature per condividere la stessa vocazione e missione.
2. Dalla parte della vita
Il secondo appello vocazionale della pastorale familiare è l’urgenza di restituire la “vita” alla famiglia. Si tratta di mettere la vita al primo posto, riscattandola dal ruolo che la vede seconda a tutto: al lavoro, al lucro, alla casa, alle ferie, al calcolato rifiuto del sacrificio.
Oggi sembra che la vita sia stata defraudata, delle sue ragioni più essenziali di esistenza. “Perché vivere?”. Non si sa più bene. Per questo i giovani, aggrediti dal vento gelido del nichilismo, per un vivere senza sapere “perché e per chi”, sono tentati esasperatamente dai miraggi dell’effimero, ostracizzando i timidi appelli che vengono dal mistero dell’esistenza. Per questo i giovani coniugi tengono la vita sotto controllo, e ne hanno paura. Se un figlio deve venire, tutto va programmato, perché disturbi il meno possibile.
Il secolarismo ha buttato via le ragioni della vita: “Perché si nasce, perché si vive, perché si muore?”.
Una pastorale della famiglia non può non fare i conti con queste certezze infrante, che stanno alla base della paura, del sospetto nei confronti dei figli. In positivo, una pastorale della famiglia, suggerisce una visione di fede, capace di accoglienza e non di rifiuto; capace di stupore di fronte al dono e non di paura; capace di riscoprire la vocazione ad una paternità e maternità e non di estraneità; capace di testimonianza perché ogni figlio, desiderato come il dono più grande, possa aprirsi fiduciosamente al disegno realizzante di Dio.
3. Un ministero educativo centrale
Riscoprire, oltre la famiglia vocazione, il “ministero coniugale” come servizio alla “vita piena”. Se ne parla esplicitamente nella “Familiaris consortio” (38). La famiglia non è soltanto la culla della vita, ma “scuola di vita”. Anche il ministero coniugale fa parte, come quello sacerdotale, della stessa immagine di chiesa tutta ministeriale ed è un servizio permanente, pubblico, radicato nel sacramento. Di qui una pastorale in cui la famiglia diventa animatrice di molti percorsi che una comunità cristiana intende mettere in atto per un efficace progetto educativo. È decisamente inadeguato un impianto pastorale attorno ai grandi capitoli della catechesi, della preghiera, dei sacramenti, della testimonianza della carità, delle vocazioni, con la sola buona volontà del prete e di alcuni animatori, senza la partecipazione protagonistica della famiglia. La ministerialità educativa della comunità cristiana cresce in simbiosi con la ministerialità educativa della famiglia.
4. La Cresima e il “suo” itinerario di fede
Ed infine il sacramento della “cresima” come reciproca offerta di testimonianza nella disponibilità a Cristo e al suo progetto. La confermazione è appuntamento tipicamente vocazionale, in cui sono chiamati in causa i preadolescenti, la famiglia e la comunità. È questo il significato più forte da restituire al sacramento della fede adulta. Non è la festa di addio alla comunità, come spesso accade. Addio, per lo più latitanti, per non dire d’accordo, i genitori. La cresima è la festa di un “sì” consapevole al dono dello Spirito, per costruire da adulti la comunità cristiana; è il giorno del “terzo sì” in cui i ragazzi sono coinvolti in prima persona; ma con i genitori. Questi hanno detto il “primo sì” alla vita dei figli; hanno pure detto il “secondo sì” alla fede nel giorno del battesimo. Ora sono i figli a dichiarare il loro sì; ma con i genitori.
Il contenuto di questo “terzo sì” è duplice: da una parte i preadolescenti esprimono la loro disponibilità a testimoniare la fede in Cristo risorto, a diventarne gli apostoli coraggiosi e contro-corrente; e dall’altra dicono la loro disponibilità a tradurre quella fede secondo il progetto che Dio va disegnando nel loro futuro.
Di qui allora un cammino di pre e di post-cresima molto attento, non solo al ragazzo, ma ai contesti vitali in cui è chiamato a giocare il suo futuro: in particolare la famiglia, in cui i genitori ravvivano la grazia della loro testimonianza per incoraggiare la testimonianza dei figli.
Pastorale familiare: quali valori vocazionali?
Già il decreto O.T. assegna un’importanza decisiva alla famiglia come mediazione educativa delle vocazioni nell’ambito della comunità cristiana: “Il massimo contributo (all’incremento di vocazioni) viene offerto dalle famiglie le quali, se animate da spirito di fede, di carità e di pietà, costituiscono come il primo seminario (primum seminarium)” (O.T.2). Fede, carità e pietà: le parole sono essenziali, ma estremamente pregnanti. Il clima cui fa appello il Concilio è tale da garantire quella fondamentale libertà degli adolescenti di fronte alle scelte. Tutto oggi tende a coartare la libertà entro un orizzonte di pseudo-valori o di valori effimeri, affermati come i più importanti da perseguire. Anzi il circuito sembra non lasciare via d’uscita: dai bisogni artificiali al loro soddisfacimento obbligato. La famiglia, tessendo un clima di fede all’insegna della semplicità e della concretezza, restituisce realismo alla vita dei figli e, con il realismo, le possibilità di progettarsi giorno dopo giorno in libertà.
Anzi una famiglia autenticamente cristiana costituisce il contesto ecologico più idoneo per ogni possibile chiamata, la quale può essere percepita solo dove Dio è di casa, e non viene emarginato dalle molte idolatrie che impregnano una visione puramente orizzontale dell’esistenza. Senza dimenticare che per i figli risulta importante non ciò che è vero, ma ciò che per gli adulti è ritenuto importante ogni giorno. Di qui allora una pastorale familiare che si coniuga con la pedagogia dei valori quotidiani, senza i quali non si possono disegnare le coordinate portanti del futuro. Come la preghiera familiare, là dove si cresce nella consapevolezza che la vita è un talento ricevuto in dono e Dio non è solo un principio astratto, ma una presenza viva ed il destino di ogni persona veramente riuscita. Come lo spirito di fede, alimentato dalla parola di Dio che fa notizia in casa, quale criterio di ogni scelta onesta. Come la dimensione della gratuità e del servizio non riducibili a buone azioni occasionali e gratificanti, ma vissute nella consapevolezza che ogni gesto solidale con il prossimo è incontro con il Signore. Come l’esperienza della fedeltà che si misura immancabilmente con la ruvidezza della croce, portata sovente con estrema dignità e pudore. Come la disponibilità al dialogo che abilita ad un atteggiamento critico e libero di fronte alle ambiguità che viziano i messaggi quotidiani.
Solo un clima sano di fede vissuta restituisce sacralità all’esistenza di ciascuno, da interpretare alla luce di un primato non facilmente riconosciuto e rispettato dopo il tornado del secolarismo: quello della volontà di Dio. Quando una famiglia la sa ricercare, la saprà riconoscere ed accogliere, anche sulla vita dei figli.