N.03
Maggio/Giugno 1992

La musica e il canto  a servizio della pastorale vocazionale

 

 

1. L’esperienza dei Salmi

 

1.1.  Israele canta

I 150 Salmi che fanno parte del libro della Bibbia sono la testimonianza dell’esperienza di preghiera di un popolo che per vocazione è stato chiamato alla comunione di Alleanza con Dio.

Gran parte dei Salmi sono attribuiti a Davide (circa 73). Questi venivano certamente cantati. Tant’è vero che esistevano dei maestri di coro, un corpo di cantori e sicuramente un accompagnamento strumentale. Circa i tipi di strumenti usati gli stessi Salmi ce ne danno notizia: la cetra, la lira, il cembalo, il corno, la tromba, i timpani e i tamburi, l’arpa, il flauto…

Sotto il regno di Davide ci fu una buona organizzazione del culto, e in esso il canto ebbe un ruolo fondamentale.

Il monte Sion diventerà il centro spirituale della vita del popolo eletto, il luogo per eccellenza dove si offrono a Dio sacrifici di lode. Tant’è vero che nel tempo dell’esilio il popolo avvertirà un certo disagio nel praticare il proprio culto lontano da Sion: “Sui fiumi di Babilonia là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, canzoni di gioia i nostri oppressori. Cantateci i canti di Sion! Come cantare i canti del Signore in terra straniera?”(Sl 137, 1-4).

Dopo il ritorno dall’esilio Israele esprimerà finalmente la sua gioia poiché potrà di nuovo cantare i canti in Sion: “Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia” (Sl 126, 1-2).

I Salmi esprimono i vari momenti del cammino storico del popolo d’Israele. La vocazione di Israele ad essere popolo scelto e amato da Dio si snoda attraverso vicende umane e storiche fatte di fedeltà e di infedeltà, di pace e di guerra, di gioia e dolore, di salute e di malattia… Tutte queste situazioni entrano a far parte dell’esperienza religiosa di questo popolo.

 

1.2. Perché cantare?

I Salmi sono preghiera cantata! A livello antropologico il canto è un elemento integrante di ogni cultura, così anche per il popolo di Israele.

Per Israele il canto, inteso come preghiera e culto dovuto a Dio, è espressione della propria identità religiosa, è elemento unificante in quanto fa di tutte le voci una sola voce che viene innalzata a Dio. Il momento celebrativo ha la sua massima espressione nel canto. Il canto è al servizio della preghiera e del culto, ed è espressione di gioia: “Loderò il nome di Dio con il canto” (S169, 31); “Cantate inni al Signore, o suoi fedeli” (Sl 30,5); “Venite applaudiamo al Signore… a lui acclamiamo con canti di gioia” (Sl 95, 1-2); “Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia” (Sl 98,4); “Voglio cantare al Signore finché ho vita, cantare al mio Dio finché esisto. A lui sia gradito il mio canto; la mia gioia è nel Signore” (Sl 104, 33-34); “Cantate a lui con canti di gioia” (Sl 105, 2); “Canti la mia bocca la lode del Signore e ogni vivente benedica il suo nome” (Sl 145, 21); “Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarlo come a lui conviene” (Sl 147,1).

I motivi che spingono Israele a cantare sono: i prodigi che Dio ha compiuto a favore del suo popolo: “Cantate al Signore un canto nuovo perché ha compiuto prodigi” (Sl 98, 1); la fedeltà e la giustizia di Dio: “Amore e giustizia voglio cantare, voglio cantare inni a te Signore” (Sl 101, 1); la bontà e la verità di Dio: “Ti loderò tra i popoli, Signore, a te canterò inni tra le genti perché la tua bontà è grande fino ai cieli e la tua verità fino alle nubi” (Sl 108, 3-5).

 

1.3. Come cantare?

Più di una volta nei Salmi troviamo l’invito non solo a cantare, ma a cantare bene. Poiché il canto è l’espressione suprema della lode a Dio occorre farlo nel miglior modo possibile, con competenza, o come oggi si direbbe, con “professionalità”.

“Cantate inni a Dio, cantate inni, cantate inni al nostro re, cantate inni… cantate inni con arte” (Sl 47,7-8).

Oltre al “cantare bene” si sottolinea anche il “suonare bene”: “Suonate la cetra con arte e acclamate” (Sl 33,3).

 

1.4. Il canto nuovo

In alcuni Salmi troviamo l’invito a cantare un “canto nuovo”: “Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il suo nome” (Sl 96, 1-2); “Mio Dio, ti canterò un canto nuovo, suonerò per te sull’arpa a dieci corde” (Sl 144, 9); “Cantate al Signore un canto nuovo… Lodino il suo nome con danze, con timpani e cetre gli cantino inni” (Sl 149, 1-3).

Qual’è il significato di questo “canto nuovo”?

Israele canta le opere che Dio continuamente compie a suo favore. Da questo continuo e sempre nuovo intervento di Dio nella storia nasce il canto nuovo di Israele. Ogni volta che Dio interviene compie sempre gesti nuovi, opere nuove che ispirano il canto nuovo.

Il canto di Israele è sempre nuovo perché nuovo è l’intervento di Dio a favore del popolo che si è scelto e con cui ha voluto allacciare un rapporto di Comunione e di Alleanza.

Cantare un canto nuovo vuol dire fare poesia. Prodigi nuovi richiedono parole nuove: “Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto prodigi” (Sl 98, 1). Il canto di Israele si snoda tra il passato e l’avvenire: canta le opere che Dio ha compiute nel passato, i prodigi che opera nel presente e quelli che opererà nel futuro. Per cui tutta la storia di Israele non è altro che un canto di lode alla fedeltà di Dio. Anzi, è Dio stesso il Canto di Israele: “Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza” (Es 15,2); “Il Signore è canto di lode per tutti i suoi fedeli” (Sl 148, 14).

Il “canto nuovo” ha inoltre una seconda accezione. La novità non è legata solo al contenuto del testo cantato, ma anche a chi lo canta e al modo in cui lo canta: è quell’emozione provata nella meditazione che spinge a ripetere a se stessi ciò che l’intelligenza ha già afferrato, ma che il cuore non si stanca di riascoltare. Sempre nuovo non è solo il canto, ma anche il bisogno di cantare.

 

1.5. Il canto come annuncio e testimonianza

L’esperienza della fedeltà di Dio fatta da Israele è talmente forte e intensa da spingere Israele stesso a gridare a tutti i popoli che il Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe è un Dio-Amore. Il canto di Israele vuole superare i confini nazionali per farsi canto universale: “Cantate inni al Signore che abita in Sion, narrate ai popoli le sue opere”(Sl 9, 12); “Ti loderò tra i popoli, a te canterò inni tra le genti” (Sl 57, 10); “Ti loderanno, Signore, tutti i re della terra” (Sl 138, 4).

In questo senso il canto di Israele diventa annuncio, testimonianza e profezia. Cantare agli altri popoli le meraviglie del Signore significa voler far partecipi gli altri dell’amore fedele di Dio, condividere la gioia della comunione con Dio.

 

 

 

2. Sguardo retrospettivo

 

2.1. Importanza del canto nell’itinerario vocazionale di Israele

Nell’esperienza vocazionale del popolo d’Israele il canto ha avuto un ruolo e un’importanza fondamentali.

Nel suo rapporto di alleanza con Dio, Israele si auto-comprende come un popolo che canta, che innalza inni di lode al suo Dio.

Israele prega cantando; il canto è parte integrante del culto, delle azioni liturgiche. Il canto di Israele nasce dalla gioia dell’incontro con Dio, dalla meraviglia e dallo stupore della gratuità di questo incontro, in cui Dio si manifesta come suo interlocutore, come pastore, come roccia, come luce e forza… La gratitudine che Israele prova di fronte a questi eventi è espressa attraverso la forma della poesia del canto: “Gioisca il mio cuore nella tua salvezza e canti al Signore che mi ha beneficato” (Sl 13, 6); “Canterò senza fine le grazie del Signore” (Sl 89, 1).

Tutta la vita di Israele viene concepita e vissuta come un canto di lode: “Voglio cantare al Signore finché ho vita, cantare al mio Dio finché esisto; a lui sia gradito il mio canto; la mia gioia è nel Signore” (Sl 104, 33-34); “Loderò il Signore per tutta la mia vita, finché vivo canterò inni al mio Dio” (Sl 146,2).

Il rapporto tra il popolo di Israele e Dio è paragonato al rapporto esistente tra lo sposo e la sposa. Un rapporto fatto di fedeltà e infedeltà, con una costante: nonostante le infedeltà della sua sposa (Israele), Dio (lo sposo) rimane sempre fedele. Ed è proprio questa fedeltà che viene cantata da Israele. La fedeltà perenne di Dio per Israele è motivo di canto: “È bello dar lode al Signore e cantare il tuo nome, o Altissimo, annunziare al mattino il tuo amore, la fedeltà lungo la notte, sull’arpa a dieci corde e sulla lira, con canti sulla cetra” (S1 92, 1-4).

L’esperienza della bontà di. Dio che Israele vive sulla propria pelle non può essere proprietà esclusiva di un popolo, ma deve essere annunciata e cantata a tutti i popoli della terra: “Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti” (Sl 66). Così il canto di Israele diventa anche comunicazione, annuncio e testimonianza.

L’itinerario vocazionale di Israele si snoda così tra Chiamata-Esperienza di Dio-Testimonianza. In questo itinerario il canto ha un ruolo fondamentale, in quanto raccoglie tutta l’esperienza religiosa di un popolo che ha vissuto il cammino faticoso ma affascinante della gratuità dell’amore di Dio.

 

 

 

3. Cristo, il canto nuovo di Dio per l’uomo

 

Il segno più evidente della fedeltà di Dio verso l’uomo è presente nella persona e opera di Cristo Gesù. È lui il canto nuovo di Dio, la nuova musica che Dio ha voluto intonare per l’uomo.

Cristo è il “LA” di Dio, la nota che dà il tono al canto dell’intera creazione. In Lui tutto il creato innalza a Dio il suo canto di lode, in una grande sinfonia di voci e di suoni.

Per il cristiano, cantare la fedeltà di Dio significa cantare Cristo. Il canto cristiano non può non cantare Cristo, mistero della nuova alleanza di Dio con l’uomo e segno della comunione che diventa solidarietà con l’uomo e sorgente di vita nuova, grazie soprattutto a quell’evento che ha sconvolto la storia dell’umanità: la Risurrezione. Il canto cristiano nasce proprio da questo evento straordinario: Cristo con la sua risurrezione ha sconfitto la morte e ha offerto ad ogni uomo la possibilità di una vita che non avrà mai fine, la comunione eterna con lui.

Il frutto di questo evento è la gioia, che trova la sua migliore espressione nel canto, il quale diventa la risposta più piena e totale alla fedeltà di Dio in Cristo Gesù. Il canto nuovo, allora, è l’espressione più significativa di quell’umanità rinnovata che ha accolto la vita nuova.

Camminare nella vita nuova significa cantare ogni giorno il canto nuovo, cantare Cristo-novità; ogni giorno, infatti, possiamo cantare la novità che scopriamo in Lui.

La figura biblica più esemplare, modello di chi accoglie Cristo, nuovo canto di Dio, è Maria. Il suo “Sì” pronto e incondizionato fa sì che Cristo entri nella storia umana diventando nuovo canto e nuova musica di Dio per l’uomo. E il Magnificat è la risposta gioiosa di Maria che si fa canto, in un atteggiamento di profonda gratitudine, che nasce dallo stupore e dalla meraviglia di quanto Dio ha compiuto in lei a favore di tutta l’umanità.

Se Cristo è il canto di Dio e la nota dominante del canto della nuova creazione, e se noi siamo il “corpo di Cristo”, occorre essere in sintonia con Lui, accordare il nostro canto con il “LA” che è Lui: il risultato sarà una grande unità e armonia.

La stessa “vita eterna”, premio promesso a chi accoglie la novità del vangelo, sarà un eterno canto di lode a Cristo-novità, così come ci viene descritto dall’autore dell’Apocalisse con un linguaggio e una descrizione scenica molto suggestivi: “I quattro Viventi e i quattro Seniori si prostrarono davanti all’Agnello, tenendo ciascuno un’arpa e coppe d’oro piene di profumi… e cantavano un canto nuovo, dicendo: Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, poiché fosti immolato e acquistasti per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione…” (Ap 5, 8-9).

“L’Agnello stava sul monte Sion… mi pareva di udire come il suono di arpisti che arpeggiavano sulle loro arpe. Cantavano davanti al trono… come un cantico nuovo” (Ap 14, 2-3). L’autore dell’Apocalisse continua: “Vidi inoltre come un mare di cristallo, mescolato a fuoco, su cui stavano, con arpe divine, quelli che avevano riportato vittoria sulla bestia e la sua immagine e il numero del suo nome. Cantavano il cantico di Mosé… e il cantico dell’Agnello, dicendo: Grandi e mirabili sono le tue opere o Signore Dio onnipotente. Giuste e veraci le tue vie o Re delle nazioni!… Tu solo sei santo. Tutte le nazioni verranno e davanti a te si prostreranno quando avrai manifestato i tuoi giudizi” (Ap 15, 2-4).

 

3.1. I suonatori di flauto

Un giorno Gesù si rivolse alla folla con queste parole: “A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione, a chi sono simili? Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri:

Vi abbiamo suonato il flauto e non avete danzato:

vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!

È venuto infatti Giovanni il Battista che non mangia pane e non beve vino, e dite: Ha un demonio. È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli” (Lc 7,31-35).

Anche se l’intento delle parole di Gesù era un altro, non possiamo non cogliere in esse un insegnamento utile per il nostro discorso.

Se paragoniamo Cristo ai suonatori di flauto e gli altri della piazza a noi, uomini di questa generazione, comprendiamo subito il nostro atteggiamento di fronte alla novità che è Cristo. Cristo è il canto e la musica di Dio per l’uomo, ma l’uomo lo accoglie? Solo l’uomo,che accoglie Cristo può cantare il canto nuovo. Chi è indifferente nei confronti della vita nuova e non è capace di svuotarsi di sé, della propria autosufficienza e del proprio orgoglio non permetterà al canto nuovo di rendere nuova la propria vita. Non c’è miglior commento a questa similitudine delle parole del poeta indiano Tagore:

“Il mio canto ha deposto ogni artificio. Non sfoggia splendide vesti né ornamenti fastosi: non farebbero che separarci l’un dall’altra e il loro clamore coprirebbe quello dei sussurri. La mia vanità di poeta alla tua vista muore di vergogna. O sommo poeta, mi sono seduto ai tuoi piedi. Voglio rendere semplice e schietta tutta la mia vita, come un flauto di canna che tu possa riempire di musica”.

 

3.2. La funzione pedagogica del canto

Nelle prime comunità cristiane il canto ha certamente costituito un mezzo importante per la formazione spirituale dei credenti, soprattutto nell’ambito della preghiera e della catechesi. L’apostolo Paolo lo testimonia nella sue lettere: “Lasciatevi riempire di Spirito, intrattenendovi tra voi con salmi, inni e canti ispirati, cantando e salmeggiando nel vostro cuore al Signore” (Ef 5,18-19); “La Parola del Cristo abiti in voi con tutta la sua ricchezza; istruitevi e consigliatevi reciprocamente con ogni sapienza; con salmi, inni e cantici ispirati cantate a Dio nei vostri cuori con gratitudine, e qualunque cosa possiate dire o fare, agite sempre nel nome del Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di lui” (Col 3, 16-17).

Il canto, così, diventa veicolo importante di preghiera e di annuncio del Vangelo, una importante forma di comunicazione della fede a servizio della comunità ecclesiale, e oltre a costituire un “modo di essere” del cristiano, è anche uno strumento di evangelizzazione.

Ogni cristiano è chiamato a diventare con la sua vita canto di Dio per gli uomini. Il canto è una dimensione importante della vocazione cristiana. In Cristo Dio chiama ogni uomo alla gioia, a cantare le sue meraviglie, la sua fedeltà. E la risposta più vera a questo invito è di accogliere e incarnare nella nostra vita il canto d’amore di Dio per l’uomo di oggi.

 

 

 

4. Far cantare i giovani

 

4.1. I giovani e la musica

L’età contemporanea è caratterizzata da un consumo sempre crescente di musica. I grandi mezzi di comunicazione ne hanno favorito la diffusione, facendola penetrare in tutti gli ambienti. La fascia giovanile è quella che consuma maggiormente musica.

Il grande “boom” delle discoteche, cui abbiamo assistito in questi ultimi anni, ne è un esempio lampante. La musica, per una larga maggioranza di giovani, produce quel fenomeno che prende il nome di “divismo”, creando spesso atteggiamenti di dipendenza. È una moda, che presenta di volta in volta sulla scena i suoi “personaggi”, i suoi “modelli” da commercializzare.

La mentalità consumistica, tipica della società attuale, influenza così anche l’ambito della musica. Possiamo dire che, in genere, i giovani hanno con la musica un rapporto di tipo “passivo”, “dipendente”.

È necessario, oggi, che i giovani recuperino un rapporto critico nei confronti della musica che viene loro proposta, e che passino dall’esperienza della “dipendenza” all’esperienza della “creatività”.

Per essere oggettivi, occorre dire che accanto a questa fascia di giovani ce n’è anche un’altra che attraverso la musica è arrivata alla scoperta di valori importanti, passando da un esperienza di “vuoto di senso” ad un’esperienza di “pienezza di senso”, ritrovando “l’impossibile necessario”: Dio.

Il mondo giovanile, allora, mostra due facce nel suo rapportarsi con la musica: da un lato è passivo, dipendente, dall’altro è attivo e critico.

 

4.2. Musica e canto cristiano come itinerario di crescita

È possibile oggi far sì che i giovani scoprano la fede attraverso la musica? È possibile oggi che i giovani facciano esperienza di Dio attraverso il canto? È possibile nella misura in cui i giovani scoprono nella musica e nel canto alcune dimensioni importanti.

a) La musica come esperienza di Dio in Cristo Gesù. – Il canto nasce dalla meraviglia di fronte ad una realtà che invade la vita e riveste di una luce e di un colore nuovi. Nasce dalla gioia e dallo stupore di aver fatto una scoperta importante, quella cioè di essere profondamente amati e voluti da Dio. Finché i giovani non fanno questa esperienza non potranno mai cantare il canto nuovo.

È l’esperienza della gratuità dell’amore di Dio che spinge i giovani a cantare. Fare esperienza di Dio significa vivere concretamente quello che Lui ci propone nella sua Parola. Da questa Parola incarnata e vissuta nella vita nasce la gioia e il canto nuovo.

Questo avviene anche a livello umano. Quando uno scopre qualcosa di importante e di straordinario manifesta la gioia di questa sua scoperta. Senza l’esperienza della vita nuova non c’è il canto nuovo.

C’è un brano di S. Agostino che commenta bene questo pensiero:

“Cantate al Signore un canto nuovo… L’uomo nuovo conosce il canto nuovo. Il cantare è segno di letizia… anche espressione d’amore. Colui che sa amare la vita nuova, sa cantare anche il canto nuovo…Ecco, tu dici, io canto. Tu canti, certo, lo sento che canti. Ma bada che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce. Cantate con la voce, cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa… Siate voi stessi quella lode che si deve dire, e sarete la sua lode, se vivrete bene”.

b) La musica come esperienza di creatività. – Il desiderio di creatività è profondamente radicato nel cuore dell’uomo. Questo nel corso della storia ha prodotto le arti come la pittura, la scultura, la poesia e la… Quando crea, l’uomo sperimenta un senso di pienezza, di superamento, di sé, di autotrascendenza. Questa è un’esperienza che rende l’uomo felice, provocando in lui una gioia immensa. Quando un’artista crea, fa l’esperienza del “nuovo”, cioè di una realtà mai sperimentata prima. Ciò lo gratifica umanamente e spiritualmente. Ogni creazione per l’artista diventa così un momento di crescita verso il nuovo.

Anche la musica può diventare esperienza di crescita, in questa dimensione. La musica cristiana nasce dall’ascolto: se uno non è capace di ascoltare, non è neppure capace di creare. La creatività dell’uomo è partecipazione della creatività di Dio. Nella misura in cui i giovani sapranno valorizzare l’ascolto della Parola, saranno anche creativi, e potranno farsi canto e musica di Dio per il mondo di oggi.

c) La musica come esperienza di comunicazione. – L’esperienza dell’amore di Dio provoca l’esodo da se stessi per diventare annunciatori della novità sperimentata in prima persona. S. Paolo dice che “l’amore di Cristo ci spinge” a diventare annunciatori della novità sperimentale in prima persona. S. Paolo dice che “l’amore di Cristo ci spinge” a diventare suoi testimoni. In questa luce, il canto può diventare esperienza di comunicazione, di annuncio forte della propria esperienza di Dio.

I giovani devono arrivare a fare questa esperienza. È nella comunicazione intesa come comunione che avviene la crescita, perché nel reciproco dono di sé ci si arricchisce dei doni dell’altro. E il dono più grande che i giovani possono scambiarsi, oltre all’amicizia, è la novità dell’amore di Dio, rivelata in Cristo Gesù. È lui la ricchezza più grande che un uomo possa avere, il canto di gioia e di speranza della nuova umanità. Nei suoi discorsi rivolti ai giovani, il Papa ha spesso sottolineato l’importanza del loro apporto per la Nuova Evangelizzazione dell’Europa.

A noi tocca raccogliere questa provocante sfida!