N.03
Maggio/Giugno 1992

La preparazione al matrimonio un itinerario vocazionale

La preparazione al matrimonio è per la grande maggioranza degli adulti ancora nel nostro paese preziosa occasione per risvegliare la fede, per riconoscere il mistero di Dio e il senso cristiano della vita. È occasione per riscoprire che la vita è una chiamata di Dio alla esistenza per amore e chiamata all’amore. “Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell’essere, Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione. L’Amore è pertanto la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano[1].

La preparazione al matrimonio è occasione originale e irripetibile per riconoscere nella propria esperienza il senso della chiamata ultima di ogni uomo e donna, che nelle Confessioni Sant’Agostino ha espresso così: “Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te.

La preparazione al matrimonio può divenire in tal senso una ricca esperienza d’itinerario vocazionale ad alcune condizioni.

Evidentemente non basta la semplice esperienza umana dell’innamoramento. Non serve neppure, può essere anzi equivoco ripetere espressioni fatte, ad esempio che “il matrimonio è vocazione”. Questa è una delle affermazioni forse più inflazionate nel linguaggio che i giovani incontrano nelle nostre parrocchie. Resta un’affermazione valida solo se messa in circolazione con misura e nel suo preciso significato.

La vocazione è infatti un evento soprannaturale e di grazia. Dice una chiamata che viene da Dio e conduce alla compiuta realizzazione di sé in Cristo e nel Padre. Il battesimo è il primo dei segni di questa chiamata. Essa è inoltre un fatto ecclesiale. Giunge all’uomo mediante la parola della fede della Chiesa, si manifesta e si alimenta nei sacramenti della Chiesa ed è per edificare la Chiesa, quale comunità di salvezza. In nessun modo si dovrà pertanto lasciare intendere che la vocazione al matrimonio sia lo stesso che la sua naturale inclinazione.

 

 

Il battesimo e la vocazione universale alla santità

A parte il discorso sull’itinerario metodologico e didattico più appropriato alle differenti persone e situazioni, i giovani, negli incontri di preparazione al matrimonio, vengono aiutati a riscoprire il senso e la vocazione del battesimo dal quale sono segnati. Il sussidio dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia sulla “Preparazione dei fidanzati al matrimonio e alla famiglia del 1989, invita a ricordare ai fidanzati che “la loro preparazione al matrimonio è cominciata da lontano. La vocazione al matrimonio ha la sua radice nella vocazione del battesimo” (II, 3). È la vocazione battesimale, quale universale chiamata alla santità, quella che dà alla vita umana il senso compiuto della “chiamata all’amore” e dunque rivela e plasma in maniera originale l’esistenza di ciascuno. Il sacramento del matrimonio specifica il loro battesimo e, in qualche misura, lo porta a compimento. I due diverranno nel matrimonio “una sola carne” in quanto opera della Spirito. I doni dello Spirito specifici del matrimonio sono appunto ordinati ai compiti e alla missione della coppia, la “nuova creatura” opera di Dio e del suo Spirito, sebbene nel giuoco delle circostanze apparentemente occasionali e della libera volontà delle persone.

In questa riscoperta della preparazione remota già da Dio iniziata con il battesimo, è importante aiutare i giovani a riconoscere, a partire dalla comune esperienza dell’amore, il “significato sponsale” proprio del corpo umano. Nella sua corporeità, maschile o femminile, e nella profondità dell’essere personale dove la sessualità giunge a caratterizzare distintamente la personalità maschile e la personalità femminile, l’essere umano si riconosce nativamente chiamato alla esistenza per donarsi nella gratuità dell’amore. La corporeità maschile e la corporeità femminile è “linguaggio” che dischiude il senso stesso dell’esistere; ogni essere umano è intrinsecamente un essere sociale, chiamato alla vita per essere-con e per essere-per, in rapporto di amore disinteressato e di solidarietà. Mascolinità e femminilità sono dunque sintomo e segno provvidenziale della povertà della creatura umana, che per completarsi chiede la carità dell’amore, e anche della sua ricchezza, la inesausta capacità di amare. Proprio nella struttura dell’essere uomo e dell’essere donna ciascuno può riconoscere un segno naturale di apertura alla soprannaturale vocazione ad uscire da sé per realizzarsi in Dio che è l’Amore.

È l’amore di Dio, infatti, che nella condizione degli sposi farà dei due un “richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla croce”, mentre altri chiama alla consacrazione celibataria e sponsale a Lui direttamente, senza altra mediazione che non sia la Chiesa.

 

 

Dimensione ecclesiale e missionaria

La preparazione al matrimonio è itinerario vocazionale anche in senso ecclesiale e missionario e tale deve manifestarsi nella sua organizzazione e animazione. I cosiddetti “corsi” o itinerari di preparazione al matrimonio devono svolgersi infatti ad opera e nell’ambito della comunità ecclesiale. Non devono vedere l’impegno esclusivo del parroco o quello estemporaneo di qualche “conferenziere”, ma l’impegno di un gruppo organico e di una comunità, in cui anche le religiose e specialmente le famiglie e coppie cristiane mettono in giuoco i loro doni di grazia e di esperienza per formare i futuri sposi. Il sussidio nazionale citato impegna ad individuare, nella Chiesa locale, e a chiamare esplicitamente coniugi e laici idonei, per formarli in questo ministero con adeguata preparazione spirituale e catechistica. I fidanzati avranno coscienza che il matrimonio è in vista di edificare la Chiesa se si sentiranno accolti e se avranno testimonianza diretta da parte di altri sposi, che rivelano essere la famiglia una “chiesa domestica”, aperta alla testimonianza e all’apostolato per edificare la Chiesa Madre e Maestra.

 

 

Matrimonio, spiritualità e radicalità evangelica

Tale itinerario può diventare – e per molti diviene – tirocinio di specifica spiritualità del fidanzamento, che prepara i due a dare risposta alla vocazione battesimale e coniugale nei termini della radicalità evangelica. Nel fare dei due “una sola carne”, il matrimonio li chiama a scoprire e a vivere anzitutto la responsabilità non solo della propria individuale santificazione, ma anche della santificazione dell’altro, seguendo il percorso delle beatitudini e delle regole evangeliche della povertà, della castità e della obbedienza. Perciò l’itinerario che prepara al matrimonio comprende anche i momenti della preghiera e della testimonianza reciproca, nella coppia e tra coppie cristiane.

Le stesse esperienze di esercizi spirituali e del silenzio si dimostrano felicemente apprezzate lungo questo cammino. Concorrono a convincere che la radicalità evangelica non è per coppie e famiglie eccezionali, ma per la normalità della vita della coppia e della famiglia, cui stia a cuore il successo del matrimonio secondo il disegno di Dio. E soprattutto preparano la coppia a riconoscere i propri doni, in quanto “sposi nel Signore”, e a dare la loro specifica risposta: quella di “cooperare con fortezza d’animo con l’Amore del Creatore e Salvatore, che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce l’umana famiglia”[2].

 

 

Inclinazione o vocazione al matrimonio?

La vocazione al matrimonio è dunque cosa diversa dalla naturale inclinazione dell’uomo e della donna al matrimonio, anche se ne è risvegliata.

La vocazione al matrimonio assume la inclinazione al matrimonio e partecipa delle sue trepidazioni e palpitazioni, ma appartiene ad un livello di grazia superiore, come la vita battesimale supera la vita mortale. E non può essere annunciata con efficacia, né sprigiona tutta la sua forza salvifica, se “si fanno sconti” alla verità rivelata del vangelo sulla famiglia, magari per riuscire più accattivanti o convincenti. Il matrimonio è dono soprannaturale di grazia anche se è la scelta libera di due volontà personali; è per un genere di vita che non rifiuta i paradossi della radicalità evangelica e della donazione reciproca, fedele e definitiva. Non trae le sue norme e regole semplicemente dalle dimensioni naturali e secolari del vivere.

Riconoscere e chiedere il matrimonio come vocazione e sacramento significa dunque riconoscere e volere la propria via, personale ed ecclesiale, per la santità cristiana. Senza con questo ignorare le molte coppie che accedono alla celebrazione sacramentale, privi o appena dotati di una consapevolezza di fede appannata, essendo battezzati ma non praticanti o perfino non credenti. È argomento troppo delicato e complesso per essere qui sviluppato. Basti solo farne cenno, rinviando al magistero di Giovanni Paolo II nella esortazione apostolica “Familiaris consortio (n. 68). Se hanno retta intenzione nel volere il sacramento del matrimonio, come la Chiesa lo intende, fecondo, fedele e indissolubile, anch’essi, essendo già inseriti nell’alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa, hanno diritto di accedervi come ad un vero e proprio cammino di salvezza.

 

 

 

 

 

Note

[1] Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 11.

[2] Gaudium et spes, n. 50.