Unità d’intenti e varietà di metodi
Con l’incisività che gli è propria e andando al cuore di un annoso problema, il Santo Padre ha recentemente riespressa una sua convinzione: “La pastorale delle vocazioni è anche pastorale della famiglia”. Si possono capovolgere i termini dell’affermazione senza cambiarne il significato e senza sminuirne il vigore; tra famiglia e vocazione esiste un legame profondo che l’azione pastorale non potrà mai contraddire ma dovrà favorire e promuovere con attività appropriate.
Resta il problema pratico di come attuare una feconda osmosi tra le due attività ecclesiali che rispondono ai nomi di pastorale vocazionale e pastorale familiare, talora – più che in contrasto tra loro – operanti senza raccordo, in una autonomia e esclusività degne di miglior causa. Anche se non bastano, certo serviranno alcune idee di fondo, alcuni criteri che illuminano e orientano l’agire pastorale della Chiesa. A questo scopo sono destinate le rapide annotazioni di queste pagine, propedeutiche all’intero “discorso” sviluppato nella rivista.
Pastorale organica e unitaria, azione concorde
Conviene richiamare anzitutto un principio di grande rilievo teorico e pratico che informa tutta l’esistenza di una comunità ecclesiale: non vi sono molte missioni, ma esiste una sola missione che compete alla Chiesa. L’unità di missione appare semplice e immediata nella sua affermazione ma di fatto, viene disattesa non poche volte. Ciò avviene quando chi opera nell’ambito pastorale insegue propri progetti o lascia prevalere motivazioni e modalità che non hanno nulla di evangelico. Secondo il Vangelo, infatti, la missione affidata da Cristo alla sua Chiesa è quella di ricondurre al Padre, con un cammino di fedele risposta, tutte le persone umane che il Signore stesso chiama a essere partecipi del suo amore e della sua vita. Nella vocazione alla vita eterna trova ragione d’essere e di sviluppo l’intera azione pastorale della Chiesa: “Questa è la vita eterna, che conoscano te, o Padre, e colui che tu hai mandato” (Gv 6,40).
L’unica missione si colora – per così dire – di varie dimensioni o aspetti diversi che si propongono di raggiungere obiettivi parziali, di sicuro valore perché ordinati a convergere verso l’unico obiettivo finale. Osservano con sapiente realismo i nostri Pastori: “La vita della nostra Chiesa è arricchita oggi, per dono del Signore, da molteplici realtà che operano con efficacia nel campo della evangelizzazione. Ogni sforzo resterebbe però vano se non convergesse nell’impegno di edificare insieme la Chiesa e di cooperare all’unica sua missione. La pastorale diocesana deve essere dunque organica e unitaria e tendere a un’azione concorde”[1].
Le conseguenze che derivano da una simile premessa riguardano, certo, le varie persone che operano nella Chiesa; i vari carismi di cui sono portatrici e testimoni le abilitano a compiti specifici ma, nello stesso tempo, le conducono a una unità profonda d’intenti e di opere che scaturisce dalla medesima sorgente, lo Spirito Santo. Riguardano poi, con non minore impatto, le varie forme in cui si presenta l’agire pastorale della Chiesa. Tali forme sono aumentate di numero, occorre riconoscerlo, con un certo gusto della specializzazione e della frammentazione tipiche dell’odierna società, al punto che riesce persino faticoso numerarle. Tra di esse, comunque, trovano un posto preferenziale non da oggi, e con valide ragioni, la pastorale familiare e la pastorale vocazionale.
In che cosa consista la loro specificità e differenza non è difficile il dirlo; dove invece vada ricercata l’unità chiede che si esplicitino le ragioni di fondo oltre ai modi concreti di realizzarla (che qui non interessano in via immediata).
Generosità di famiglie, generosità di “vocati”
Nell’omelia di Giovanni Paolo II, pellegrino in Brasile, durante la celebrazione eucaristica di giovedì 17 ottobre 1991, sono indicati alcuni passaggi che qui volentieri riprendiamo, a motivo della autorevolezza di colui che li ha presentati ma anche per la preziosa lucidità delle prospettive.
“Non c’è nessuno che non si renda conto, cari fratelli e sorelle, che il futuro della Chiesa è nelle famiglie cristiane opportunamente preparate ad assumere il ruolo di protagoniste della comunità umana. Torno qui a riaffermare, in primo luogo, che dove esiste una pastorale chiara ed efficace della famiglia, allo stesso modo risulta naturale accogliere con gioia la vita, sarà più facile udire la voce di Dio e più generosa la risposta di chi ascolta” (Discorso 15/5/91).
Se i genitori saranno generosi nell’accogliere un nuovo figlio che Dio invierà loro, sarà più facile che siano generosi anche i figli quando decideranno di offrire la loro vita a Dio, nel servizio apostolico. “La famiglia che adempie con generosa fedeltà i suoi compiti ed è consapevole della sua quotidiana partecipazione al mistero della Croce gloriosa di Cristo, diventa il primo e il migliore seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio” (Familiaris consortio, n. 53).
Una prima serie di motivazioni a favore della unitarietà tra pastorale familiare e vocazionale è data, dunque, dal rapporto che passa tra famiglia e vocazione cristiana (con il corollario delle varie vocazioni). Se la pastorale vocazionale tende a rendere capaci di accoglienza le persone di fronte a Dio che chiama a vivere con sé e per sé, la pastorale familiare promuove le famiglie verso la più radicale accoglienza da parte di tutti i suoi membri del Dio della vita. Non senza coraggio, il Papa stabilisce una proporzione di somiglianza e di mutuo influsso tra la generosità dei genitori e quella dei figli di fronte al mistero di Dio che chiama alla vita: “Che abbiano la vita, una vita vera e completa” (Gv 10,10). Ogni consacrazione al Signore, nelle forme di speciale donazione, è un vivere la vita in pienezza. In questa prospettiva, dice ancora il Papa, risalta una meravigliosa unità tra il compito delle famiglie e la maturazione di ogni vocazione.
“Bisogna valorizzare le motivazioni cristiane che sono alla base delle grandi scelte della gioventù. La vita umana raggiunge la sua pienezza quando si fa dono di sé: un dono, che può esprimersi nel matrimonio, nella verginità consacrata, nell’impegno per il prossimo come ideale e nella scelta del sacerdozio ministeriale. I genitori renderanno un vero servizio alla vita dei figli, se li aiuteranno a fare della propria esistenza un dono rispettando le scelte da loro maturate e incoraggiando con gioia ogni vocazione, compresa quella religiosa o sacerdotale. La famiglia svolgerà così un ruolo fondamentale nella fioritura, nella crescita e nella maturazione finale della vocazione sacerdotale. Di conseguenza, la pastorale delle vocazioni è anche pastorale della famiglia. E le comunità parrocchiali dovrebbero partecipare attivamente nel seguire la formazione dei candidati al sacerdozio”.
Non è possibile approfondire ulteriormente questo quadro mirabile di connessioni e di reciproca fecondità. Resta solo, per ora, la profonda convinzione che pastorale familiare e pastorale vocazionale sono chiamate ambedue a “edificare” la persona umana dando un apporto che riguarda non tanto aspetti esteriori quanto piuttosto la struttura costitutiva della persona stessa. L’uomo, infatti, è chiamato a crescere e a dare ragione della sua nativa e sublime vocazione alla comunione con Dio[2], ossia a fare di sé un dono. Qui la famiglia si fa essa stessa vocazione e ogni vocazione trova nelle famiglie “il primo e migliore seminario”.
Note
[1] CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 29.
[2] Cfr. Gaudium et Spes, n. 19.