I segni di una sana vita spirituale per la maturazione vocazionale
Nella Chiesa, chiamata a vivere e a rendere trasparente nella storia il mistero pasquale di Cristo, ogni credente partecipa, attraverso il battesimo, alla missione regale, sul peccato e l’avvento del Regno e prendendo parte, mediante le proprie sofferenze, alla passione di Cristo, in modo che essa diventi strumento efficace di salvezza per l’intero genere umano.
L’unica chiamata battesimale
Il senso profondo del nostro battesimo consiste nella partecipazione al mistero della morte e della resurrezione di Cristo: mistero che fonda l’intera esistenza cristiana, tanto nella sua dimensione individuale che comunitaria. Ne deriva pertanto che la vita cristiana deve svilupparsi secondo un ritmo battesimale; deve cioè fare propria la legge del morire e del risorgere con Cristo, e accogliendo la vita nuova che apre l’uomo al dono di sé a Dio ed ai fratelli.
Non esiste una sana maturazione cristiana prescindendo da queste premesse; solo una vita battesimale fa del cristiano un uomo riconciliato e aperto all’azione dello Spirito e chiamato a partecipare alla vita eterna; la vocazione cristiana assume così i connotati di una esistenza donata; è vita “nascosta con Cristo in Dio”. Compito del credente è abbandonarsi all’azione dello Spirito, lasciando che la sua vita fluisca dalla partecipazione alla vita in Cristo.
Naturalmente la costitutiva dimensione cristocentrica e pasquale del battesimo non deve portare a sottovalutare la sua essenziale dimensione ecclesiale. Per ogni credente il legame con la comunità cristiana di cui entra a far parte, non è un fatto accidentale; è parte integrante della sua vocazione, perché attraverso di essa si realizza la partecipazione alla stessa vita di Cristo, l’inserimento nei suoi misteri.
I giovani di fronte alla vocazione
L’esortazione apostolica postsinodale di Giovanni Paolo II “Pastores dabo vobis” affaccia alcune preoccupazioni sull’autentica maturazione cristiana e vocazionale dei giovani oggi. Al n. 8 del documento si dice:
“Anche nell’ambito della comunità ecclesiale il mondo dei giovani costituisce, non poche volte, un problema. In realtà, se nei giovani, ancor più che negli adulti, sono presenti una forte tendenza alla soggettivazione della fede cristiana e una appartenenza solo parziale e condizionata alla vita e alla missione della chiesa, nella comunità ecclesiale fatica, per una serie di ragioni, a decollare una pastorale giovanile aggiornata e coraggiosa: i giovani rischiano di essere lasciati a se stessi, in balia della loro fragilità psicologica, insoddisfatti e critici verso un mondo di adulti che, non vivendo in modo coerente e maturo la fede, non si presentano loro come modelli credibili. Si fa allora evidente la difficoltà di proporre ai giovani un’esperienza integrale e coinvolgente di vita cristiana ed ecclesiale e di educarli ad essa. Così la prospettiva della vocazione al sacerdozio rimane lontana dagli interessi concreti e vivi dei giovani”.
A questo punto una volta di più va ribadito a chiare lettere che la vita cristiana per essere tale deve essere concepita chiaramente come “vita in Cristo”, che ha la sua sorgente nella celebrazione dei misteri mediante i quali l’uomo viene assimilato a Cristo e si dispiega nella sequela di lui nei diversi contesti della vita.
Il grande principio paolino della partecipazione-imitazione trova il suo naturale sviluppo nell’azione liturgica. In essa e attraverso di essa, infatti, l’uomo diventa partecipe della vita divina ed è perciò sollecitato a fare propri gli atteggiamenti e i comportamenti di Cristo, il suo stile di esistenza nel mondo.
Comunità e maturazione vocazionale
L’assimilazione esistenziale del mistero cristiano, che comporta il raggiungimento di un vero e proprio stato di connaturalità, espresso nelle scelte di vita, non può d’altra parte avvenire in un istante, ma avviene attraverso un cammino progressivo.
La conoscenza dell’evento cristiano non si ridurrà mai ad una sterile conoscenza intellettuale. È piuttosto un’esperienza, che implica l’inserimento vitale in una comunità di persone capaci di trasmettere, con la loro testimonianza, il senso profondo della verità di Dio. È assimilazione esistenziale del Vangelo attraverso un processo educativo, nel quale conta la qualità dei rapporti che si instaurano con chi ha il compito di educare; conta il clima complessivo che si respira nella comunità; conta soprattutto l’esperienza che si fa del mistero nel contesto di una celebrazione che ha il suo innesto nella vita e che rende trasparente il bisogno di convertire a quell’esperienza di vita.
Si comprende l’importanza di recuperare la centralità dell’azione liturgico-sacramentale, mediante la quale tale mistero viene rinnovato, perché l’uomo, immergendosi in esso ed assimilandosi ad esso, trovi la forza di vivere come Cristo ci ha insegnato.
La liturgia diviene così la sorgente stessa della vita morale, il luogo dal quale il credente deve partire e al quale deve costantemente rifarsi per assimilare ontologicamente la vita di Cristo e renderla trasparente nelle proprie scelte fondamentali.
Tutto ciò si realizza o almeno dovrebbe, nel vivo della comunità cristiana, che accompagna passo passo in questo cammino introducendolo nella partecipazione alla sua stessa vita e trasformandosi con lui in comunità segnata dal dinamismo dello Spirito; l’esistenza cristiana assume in tale modo i connotati di una costante risposta all’azione gratuita del Signore. Soprattutto il dono dello Spirito rende il cristiano partecipe della stessa missione di Cristo, cioè annunciatore del Vangelo e testimone del Regno.
La consapevolezza, acquisita nella fede, dell’identità di figlio di Dio lo abilita a proclamare la Parola del Signore, partecipando della stessa missione profetica di Cristo nel mondo. Tutto l’itinerario vocazionale, che ha come obbiettivo l’assimilazione a Cristo, è itinerario ecclesiale, nel senso che non solo esso avviene nella chiesa, ma implica soprattutto il pieno coinvolgimento di essa come comunità che celebra se stessa nell’eucaristia, assumendo e insieme proclamando la propria identità.
I veri segni di una sana vita spirituale
Quanto sopra descritto credo sia l’imprescindibile dimensione spirituale di fondo, della quale ci si deve assicurare prima di ogni discernimento vocazionale più specifico. Non si deve dimenticare che il primo protagonista della vocazione è Dio che dalla bibbia viene indicato come “colui che chiama” (Rm 9,11). È un atto di elezione della libera e sovrana volontà divina. La vocazione è una realtà vitale che si precisa progressivamente nell’intimità di un dialogo tra il Signore che non cessa di chiamare, e il credente che non cessa di rispondere, nella misura in cui egli personalizza il proprio incontro con Dio e matura la coscienza della necessità dei fratelli. Questo dialogo ha inizio nel tempo e termina nell’eternità (LG 48).
È naturale che una progressiva conoscenza di sé, mira anche ad una sana padronanza della propria persona. Un programma di formazione vocazionale veramente efficace deve mettere a disposizione degli individui la possibilità dell’integrazione tra maturità umana (equilibrio, autonomia, fedeltà ecc.) e maturazione vocazionale. I contenuti obiettivi della vita cristiana battesimale, prima indicati, vanno assimilati e interiorizzati da una umanità serena ed equilibrata.
Senza questa integrazione tra l’umano e lo spirituale, gli ideali cristiani proposti anziché favorire la crescita possono diventare fonte di frustrazione. La dicotomia fra l’umano e lo spirituale è estranea alla natura dell’uomo ed è attribuibile solo a quei programmi di formazione che procedono a compartimenti stagni.
Il testo di Mc 3,14 “ne costituì dodici che stessero con lui”, un passo evangelico a cui frequentemente ricorre l’esortazione apostolica post-sinodale “Pastores dabo Vobis”, mi pare molto illuminante per la nostra tematica. Gesù, con la sua chiamata crea l’identità di un gruppo; con la sua parola fa esistere queste persone come una realtà nuova.
L’uomo, trasformato in discepolo, perde i suoi caratteri proverbiali di solitudine, di incapacità di rapporto, di sospetto verso il Signore, di diffidenza nella consegna. L’uomo abbandona anche la paura innata di rinunciare alla propria autonomia e scopre un modo nuovo di vivere la propria libertà, le proprie ricchezze.
Sentirsi chiamati, scelti, è un’esperienza che dà un nome nuovo all’esistenza, facendola uscire dall’insignificanza, dal grigiore del non senso. Sapere che quello che siamo interessa a Qualcuno: è valorizzato nel senso più pieno, perché viene ammesso ad una reciprocità e coinvolto in un progetto valido.
Il discepolo supera l’atteggiamento a volte deluso di molte vite che si sentono sprecate perché non interessano a nessuno, e proclama che Gesù, il Vangelo è speranza di pienezza. Naturalmente tutto questo non è il risultato di soli sforzi umani, pur se indispensabili, ma è il genuino frutto di una chiamata, sulla quale si innesta una autentica vita spirituale.