N.05
Settembre/Ottobre 1992

La direzione spirituale come itinerario vocazionale

Un’immagine cara ai Padri della Chiesa descrive la SS.ma Trinità all’opera per la creazione dell’uomo, distinguendo i diversi ruoli delle Tre Persone Divine in un modo suggestivo ed insieme profondo. Così è il Padre, l’Autore della Vita che crea l’uomo, guardando al Modello del Figlio e plasmandolo dalla polvere della terra per opera delle Sue prodigiose “mani” che simboleggiano l’azione dello Spirito Santo. Lo Spirito è quel Digitus Paternæ Dexteræ di cui la Liturgia ci parla e che Michelangelo ha immortalato nell’atto di creare l’uomo sulla volta della Cappella Sistina.

 

 

Per opera dello Spirito Santo

Ed il fatto che sia lo Spirito Santo Colui che comunica all’uomo, prima la vita naturale, dotandolo di un’anima spirituale, e quindi, col Battesimo, la vita soprannaturale, donandogli la grazia della partecipazione alla Vita stessa di Dio, dice tutto su quella che è l’intima essenza e la profonda vocazione di ogni uomo nel disegno divino. Come sintetizza bene Paolo all’inizio della sua Prima Lettera ai Corinti, tutta la vocazione dell’uomo nel piano di Dio consiste nel passare dallo stato di puro “uomo psichico” a quello di “uomo spirituale”.  E uomo spirituale vuol dire divenire un uomo capace di relazionarsi a Dio e agli altri come dono d’amore, ciascuno nella propria personalissima ed irripetibile maniera.

Lo Spirito Santo, infatti, nella Vita della SS.ma Trinità è Colui che “procede dal Padre e dal Figlio”, è quella Persona che procede da quella sovrabbondanza di Amore che sgorga dal reciproco Dono del Padre e del Figlio. Il Padre infatti ha il suo specifico nella Vita Trinitaria nel fatto di generare il Figlio donando se stesso a Lui. Il Figlio ha il suo specifico nella Vita Trinitaria nel fatto di donare Se stesso al Padre. Il Padre ed il Figlio, dunque “sono” per il loro reciproco dono. Ma – come per primo ha indicato con chiarezza S. Massimo il Confessore, inaugurando una feconda tradizione sulla teologia dello Spirito Santo, almeno in questo comune tanto all’Oriente che all’Occidente – questo dono essendo fra due Pienezze di vita divina non chiude le prime due Persone in un circolo, come può accadere, invece, fra esseri umani che hanno bisogno del “complementare” per completarsi. Quando due Pienezze si incontrano sovrabbondano in una Terza Pienezza che è appunto la Persona dello Spirito Santo.

Per questo, usando ancora un linguaggio immaginifico, ma pieno di significato, quando la Trinità ha “deciso” da tutta l’eternità di “creare” il mondo, ovvero di far esistere un universo di cose e di persone distinto da Dio, questo può essere solo per un atto di sovrabbondante e gratuito amore. Dunque può essere solo “per opera dello Spirito Santo”. Ed ancora quando il “Consiglio Trinitario”, ha deciso da tutta l’eternità di non lasciare quel mondo di persone e di cose che avrebbe creato abbandonato al suo destino, ma di intervenire per restaurare e mantenere viva in esso la sua primigenia bellezza di idea nata nel “cuore” stesso di Dio, ebbene tutto ciò può essere solo per un atto di sovrabbondante e gratuito amore di Dio. Dunque tutto ciò può essere solo “per opera dello Spirito Santo”. Ed infine, quando la Trinità decide addirittura di attirare per sempre a Sé questo mondo, facendo progressivamente partecipe l’uomo – ed il mondo attraverso l’uomo – di quell’incorruttibilità d’amore e di bellezza che è la vita stessa di Dio, ebbene tutto ciò, di nuovo, può essere solo per un atto di sovrabbondante e gratuito amore di Dio. Dunque tutto ciò può essere solo “per opera dello Spirito Santo”. È Lui, è solo Lui che “fa vivere e santifica l’universo” come la Liturgia, nel suo momento più sacro, ci ricorda ad ogni Eucaristia.

 

 

Direzione spirituale e vocazioni

Così, è importante avere inserito il discorso sulla direzione spirituale nella pastorale vocazionale in questo che è il suo proprio contesto teologico. E questo non per evidenziarne l’importanza in maniera roboante, ma per far giustamente tremare i polsi di chi viene investito di tale responsabilità nella Chiesa, sapendo a quale abisso di Mistero sta per affacciarsi. Nell’interrogativo di un giovane, di una giovane che si chiedono cosa fare della loro vita alla luce di quell’Amore di Dio da cui, anche se in forma incipiente, hanno colto di dipendere, è come se fossimo posti dinanzi al rendersi manifesto del punto di contatto fra il divino e l’umano nel cuore di un uomo. È come se per un attimo la finestra dell’anima si fosse aperta – per la persona stessa, prima di tutto – sul Mistero che la abita ed in questo aprirsi ad una Luce che vuole entrare, abbia per un attimo riflettuto all’interno quella Luce stessa in un atto di perfetta carità. Un atto di carità, di amore “gratuito e fedele”, che rimanda ad una Pienezza di luce e d’amore che comincia ormai ad attirare irresistibilmente la persona verso di Sé, sconvolgendone piani, criteri, attese… La scoperta della propria vocazione infatti consiste nella scoperta della maniera personalissima, individuale, di come ciascuno di noi è chiamato a vivere il mistero dell’unica carità divina, facendo della propria vita un dono di Dio per gli altri. La scoperta del mistero della carità diviene così l’inizio – un inizio sempre nuovo, perché il dono d’amore, per definizione, non ha limiti – dell’età adulta nella vita spirituale. Cominciarsi ad interrogare sulla propria vocazione vuol dire aver colto, per la prima volta un barlume della propria verità, da sempre nascosta nella mente di Dio e fino ad allora sepolta nel profondo del cuore della singola persona.

“La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!” (1 Cor 13,9-13).

In una parola, nella direzione spirituale, siamo chiamati, dalla persona che si affida a noi aprendoci il cuore, ad essere testimoni con lei dell’opera dello Spirito Santo in un’anima. Quest’opera consiste essenzialmente nell’illuminare e nell’aiutare la persona a diventare ciò che è nel suo intimo più profondo. In quella profondità del proprio io personale che gli uomini chiamano spirito e che solo lo Spirito di Dio conosce essendo due volte opera sua: nell’istante della creazione di quell’essere umano e nell’istante della sua rigenerazione nella vita nuova di Cristo.

“Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato” (1 Cor 2,9-12).

Lo spirito dell’uomo dunque è la profondità della psiche umana, creata direttamente da Dio e che vive una relazione naturale con Dio che neanche il peccato può cancellare. Lo spirito dell’uomo è infatti quella parte dell’uomo che specifica tutta la persona, psicologia e corporeità. È una parte della persona è vero. Eppure essa vive una sua vita autonoma che comunica al resto della persona perché questa vita le è donata direttamente da Dio. L’uomo non ha il potere di distruggerla, perché non ha il potere di contrastare l’azione di Dio. Eppure l’uomo col peccato può oscurare questa sua più profonda identità, sottraendosi alla sua evidenza e quindi “imprigionando la verità nell’iniquità”, come afferma con tanta forza S. Paolo nella Lettera ai Romani (cfr. 1,18).

 

 

Lo Spirito rivela la mia vocazione

L’azione salvifica dello Spirito Santo nella “seconda creazione” è perciò, innanzitutto un’azione redentrice, un’azione di liberazione della verità dell’uomo e della verità di Dio che il peccato ha oscurato. La scoperta della propria vocazione, la scoperta di quell’immagine di Sé che Dio ha impresso con la creazione nel cuore dell’uomo è dunque momento salvifico per eccellenza, come la parabola della dracma perduta ci ricorda (cfr. Lc 15,8-10). Come su una moneta è impressa l’immagine dell’imperatore, così nel cuore dell’uomo è impressa l’immagine del suo Signore: ed occorre “dare a Cesare quel che è di Cesare, ma a Dio ciò che è di Dio”, ci ricorda Gesù (Mt 22,21).

Usando un’immagine tolta dalla parabola della dracma perduta, l’azione illuminatrice dello Spirito corrisponde dunque alla “lucerna” accesa dalla donna per cominciare la ricerca. Una luce per mezzo della quale ciascuno può cominciare a “spazzare” il fondo della sua casa finché non ritrova il suo tesoro più prezioso. La direzione spirituale per un discernimento appropriato fa parte integrante di questa illuminazione. Anzi, ne costituisce un momento eccezionalmente privilegiato, come segno e come realtà.

Come segno, innanzitutto, perché lo spirito dell’uomo esprime per la sua stessa natura una relazione vitale, ontologica dell’uomo con Dio che gli ha dato e gli conserva nel tempo l’esistenza. La direzione spirituale, come struttura dialogica che tocca l’intimo più sacro e nascosto della persona, diviene così un segno particolarmente significante di quel dialogo intimo con lo Spirito di Dio per la riscoperta della propria e più profonda verità, momento essenziale di ogni cammino di conversione.

Ma la direzione spirituale è parte integrante dell’azione illuminatrice dello Spirito Santo non solo come segno di essa, ma anche come realtà di questa azione. Lo Spirito Santo, infatti, usando una famosa immagine di S. Agostino, è l’“atmosfera” che si respira nella Chiesa. La fede del popolo di Dio che si avvicina alla parola del padre spirituale, come alla parola umana che più da vicino incarna la parola personalissima di salvezza che Dio da tutta l’eternità ha pronunciato per quella data persona, ha dunque una solida base teologica.

Effettivamente Dio da tutta l’eternità ha predestinato ciascun uomo ad essere in maniera unica ed irripetibile ad immagine del Figlio suo. Il Padre ha poi mandato il Figlio perché ogni uomo ritrovi in lui quel “Modello Unico” che possa costituire per tutti e per ciascuno quella via verso la verità e la vita che sono Cristo stesso. Quest’opera si realizza infine concretamente per ciascuno mediante l’azione interiore dello Spirito Santo, in e attraverso la Chiesa.

“Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio. Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati” (Rm 8,26-30).

Il Padre spirituale diviene così in qualche modo l’anello privilegiato di quest’azione salvifica di Dio per quella persona, un’azione che affonda le sue radici nell’eternità. Non per nulla la parabola della dracma perduta è posta in mezzo alle altre due parabole della misericordia. Nella prima, si descrive l’andare di Dio alla ricerca dell’uomo che si era perduto, come la pecorella della parabola. Nella terza si descrive il ritorno sofferto e gioioso insieme dell’uomo verso Dio dopo “essere rientrato in se stesso”. Quel ritrovare la verità di se stesso e di Dio, descritto nella parabola della dracma è così il trait-d’union necessario fra i due momenti della salvezza. Ritrovare se stessi alla luce di Dio è il culmine dell’azione salvifica iniziale di ricerca dell’uomo da parte di Dio e premessa indispensabile per il cammino di conversione dell’uomo verso Dio. Un cammino che porta a compimento la salvezza stessa.

 

 

Direzione spirituale, dimensione essenziale…

Per tutto ciò, la direzione spirituale con finalità vocazionale è ben di più che una sorta di pastorale “specializzata” che riguarda solo alcuni soggetti, quelli chiamati a vocazioni di speciale consacrazione. Essa, deve essere una dimensione essenziale dell’azione pastorale della Chiesa e del sacerdote in particolare. La via alla salvezza non è comunitaria ma personale all’interno di una comunità. E nessuno può percorrerla finché non l’ha trovata e non è stato aiutato in questa ricerca.

Nella terminologia un po’ vetusta che pure è solo di qualche decennio fa, si parlava dell’azione pastorale sacerdotale come “cura di anime”, per sottolineare come la cura della singola persona nella relazione con Dio fosse il centro dell’azione sacerdotale. Oggi si corre il rischio che, sotto la pressione di esigenze pastorali sempre più complesse ed impegnative e per la contemporanea crisi della pratica del sacramento della confessione, la cura della singola persona divenga un “lusso” per pochi. Sempre di più il ruolo del sacerdote si riduce artificiosamente a quello esclusivo di animatore della comunità, scambiando così il mezzo col fine. Dio non salva le comunità, ma le persone nella comunità. Finché la creatività della carità pastorale non inventerà altre forme di recupero dell’indispensabile contatto personale, sarà difficile quel salto di qualità nella pratica cristiana – quella del sacramento della penitenza compresa – di cui oggi tanto si parla come esigenza indilazionabile. D’altra parte, è impossibile che queste nuove forme si inventino finché non sarà maturata diffusamente nella comunità presbiterale la coscienza che di tutti i ruoli pastorali quello della cura personale è il più tipicamente sacerdotale ed il suo pieno recupero il più urgente e serio di tutti i problemi pastorali sul tappeto.

Così, tanta insistenza in questi ultimi anni sulla direzione spirituale come dimensione irrinunciabile della pastorale giovanile, quella vocazionale innanzitutto, oltre che i benefici effetti sulle vocazioni che già si cominciano ad intravedere come piccolo segno di speranza, può contribuire non poco a far recuperare al presbitero una dimensione essenziale della sua stessa vocazione. Solo salvando altri il sacerdote salva se stesso: perché non dovrebbe esser così anche della pienezza della propria vocazione sacerdotale?