N.05
Settembre/Ottobre 1992

La persona umana soggetto di vita spirituale

Nel suo libro: “Il mio credo”, Hermann Hesse dice di aver osservato e ascoltato in treno due giovani europei. Di loro scrive: “Essi rivelano poco o nulla di anima, ma sembrano costruiti di volontà organizzata, d’intelligenza, d’intenzioni, di progetti. Hanno perduto la loro anima nel mondo del denaro, della macchina, della sfiducia”[1].

In effetti bisogna ammettere che la situazione si è deteriorata ulteriormente. L’attuale società dei consumi tende a fare di molti giovani l’oggetto “mirato” delle proprie strategie di vendita. L’onnipotenza economica delle multinazionali sul gran mercato del viver sociale e la prepotenza dei mass-media nella imposizione (da persuasione occulta!) di modelli di comportamento funzionali a tale mercato si coniugano dentro un sinergismo sempre più influente.

Il risultato? Lo trovo in quel che mi scrive da Oxford un’educatrice che sta perfezionandosi in inglese presso quella università: “Qui sono moltissimi i giovani. Studiano, ma soprattutto comperano. Per loro è diventato un rito”.

Chiaramente la persona di questi giovani è manovrata. Non è “soggetto” della propria vita, ma “oggetto” e destinataria degli obiettivi e programmazioni tutti volti a produrre sempre più ricchezza in un terzo del mondo, sacrificando allo scopo, tre quarti dell’umanità.

Sia nella società del “più avere” come in quella della fame, la persona del giovane è dunque ben lungi dall’essere coltivata soprattutto nella propria “anima”, dall’essere aiutata a diventare soggetto di spiritualità.

 

 

 

Destare dal sonno del materialismo

“Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14). Perché Cristo possa illuminare la persona del giovane fino a promuoverlo “soggetto” della propria, vita spirituale, bisogna anzitutto aiutarlo a destarsi dal sonno di morte.

Ve lo trattengono gl’idoli di questa società praticamente pagana e così ingolfata in un materialismo e pragmatismo pesante da non poter neppure partecipare (tanto meno gustare) gli orizzonti e le mete di un cammino spirituale, di una vita nello Spirito e secondo lo Spirito.

“L’uomo, immerso nel troppo avere, è come gli animali che periscono” (cfr. Sl 49,13.21), dice con forza il salmista. “L’uomo, che vive istintivamente (quasi a mo’ di animale) non comprende le cose di Dio”, afferma S. Paolo (cfr. 1 Cor 2,14).

Il giovane, schiavo del suo modo di vestire (conta l’abbigliamento anticonformista, ma firmato!), della sua sete di bere, di mangiucchiare, di leccare gelati a tutte le ore, il giovane teledipendente e iperprotetto da genitori possessivi o scaraventato nel vuoto degli affetti da genitori tutti presi dagli affari e dalle crisi di coppia, il giovane che “gioca” all’amore col partner di turno non è soggetto della propria vita, tanto meno di una vita spirituale.

Come svegliare dal sonno il giovane dall’enorme vanità del mondo in cui dorme un sonno di morte?

Si tratta di far risuonare in lui: nel profondo del suo cuore, certe forti provocazioni della PAROLA, soprattutto evangelica. “Che cosa giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde se stesso?”.

Martin Buber racconta di un tale che, colpito dalla forza pensosa di un credente, gli domandò come mai Dio che sa tutto chiede ad Adamo: “Dove sei?”. Ecco la risposta: “In ogni tempo Dio interpella ogni uomo: Dove sei, dove stai andando nel tuo mondo?”[2].

Una vita spirituale è anzitutto la presa di coscienza d’un itinerario, di un cammino da percorrere con Dio e per Dio, iniziando fin d’ora un tipo di esistenza che troverà la sua pienezza nella vita che dura.

La persona, soggetto della propria vita spirituale, prende coscienza di quel che dice S. Paolo “Chi semina nella carne (attenzione al termine “sarx” che significa materialità e propensione egoistica dell’essere umano) mieterà corruzione; chi semina nello Spirito mieterà vita eterna”.

 

 

 

La persona del giovane per una vita spirituale

Chiaramente bisogna anzitutto che, da individuo inglobato nella “massa” umana dalla predicazione onnipresente dei mass-media, il giovane sia aiutato a diventare persona: qualcuno che, conoscendo e amando se stesso, si apre a un “tu”, a vari “tu” e soprattutto a quel Dio che, fin dall’eterno, per Primo lo conobbe, lo amò e lo venne tessendo come un prodigio in grembo a sua madre (cfr. 1 Gv 4,20; Sl 138).

È qui che prende inizio una vera vita, una vita che si dice spirituale perché non è appiattita, schiavizzata e perduta dentro la vanità e l’esteriorità del mondo.

Lanza del Vasto proponeva degli esercizi molto semplici e concreti, dopo aver appurato che “l’atteggiamento dominante, in questo mondo, è l’ignoranza di sé, cioè delle cose dell’anima, la dimenticanza, la distrazione, l’indifferenza costante riguardo alle cose dell’anima”[3]. Suggeriva di prendersi, nella giornata, qualche minuto di silenzio. E consigliava: “Deponete quel che avete fra mano. Respirate a pieni polmoni. Ritirate i vostri sensi all’interno. Abbiate il coraggio di restare sospesi davanti al buio e al vuoto interiore. Anche se non succede niente, avete rotto la catena: quella della precipitazione. Ripetete a voi stessi: Mi richiamo, mi riafferro. Ditelo a voi stessi, ma soprattutto fatelo”[4].

La vita spirituale è sostanzialmente conversione dall’esterno all’interno, dalla dispersione al raccoglimento dei sensi e delle proprie energie emozionali e intellettive, dal chiasso al silenzio generatore di parole vere, dal molteplice all’uno, al centro di sé, al cuore inteso in senso biblico come la radice della persona e il suo libero potere di amare e di decidere, nell’Amore Trinitario che lo inabita.

Senza interiorità non c’è spiritualità. O meglio, può essercene la contraffazione, il vano agitarsi nella molteplicità di atteggiamenti approssimativamente buoni, di gesti e abitudini religiose, di attività filantropiche e temporaneamente gratificanti.

Ed è molto pericoloso quando da questo “humus” di superficialità spirituale sembrano venire vocazioni. Credo che una vita nello Spirito e secondo lo Spirito, una vita configurata a Cristo per diventare “vento” di profezia, “sale” e “luce” nella storia di “oggi” debba prendere le mosse e persistere poi sempre (come atteggiamento prioritario) nella conversione al proprio cuore: tempio, appunto, dello Spirito Santo!

 

 

 

 

 

Note

[1] Hesse Hermann, Il mio credo, Milano 1988, p. 32.

[2] Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Qiqajon, Bose 1990, p. 18. 

[3] Lanza del Vasto, Lezioni di vita, LEF, Firenze 1980, p. 35. 

[4] Ibidem p. 34.