N.05
Settembre/Ottobre 1992

La vita spirituale di una comunità monastica: proposta per un itinerario vocazionale

Numerosi sono i giovani che, singolarmente o in gruppo, oggi affluiscono ai monasteri per momenti di ascolto e di partecipazione alla preghiera liturgica. Al vederli si ha l’impressione di torrenti in piena che, nella stagione del disgelo, scendono precipitosi dalle montagne nelle valli fino a lambire le soglie delle silenti abitazioni. I giovani sono, infatti, pieni di vitalità e questa si manifesta solitamente nella loro incontenibile e rumorosa irrequietezza.

Bastano però pochi minuti perché, con l’apparire di una figura monacale dietro la grata o con l’ingresso processionale della comunità monastica nel coro, subito vengano afferrati dall’atmosfera del sacro e del silenzio. Si legge sui loro visi – anche su quelli già segnati da una precoce stanchezza di vivere – un senso di stupore e quasi di timore, nel trovarsi di fronte a una realtà insospettata da cui promana un misterioso fascino.

 

 

Che senso ha la vostra vita?

Le domande che pongono dopo aver ascoltata la Parola e avere pregato, si possono sostanzialmente riassumere in queste: “Com’è la vostra vita? Che senso ha? Siete davvero contente?”.

È evidente che dietro a tali interrogativi, apparentemente dettati dalla curiosità, sta una loro inquieta ricerca dell’essenziale, ricerca a cui non bastano risposte sbrigative, date limitandosi all’esposizione dell’orario giornaliero e ad alcune peculiarità formali che distinguono i monaci e le monache dagli altri religiosi. In tal caso i giovani ne riporterebbero poco più che un’impressione da visita turistica e il monastero rischierebbe di apparire ai loro occhi una specie di museo in cui si conserva un antico e più o meno originale stile di vita.

Per evitare che così avvenga, è anzitutto importante aiutarli a porsi davanti al mistero della scelta di Dio su ognuno di noi e quindi davanti alla risposta di fede che sta all’origine di ogni vocazione cristiana. Tale risposta dovrebbe sempre e comunque essere radicale e concretizzarsi nel dono totale di sé a Dio per i fratelli.

 

 

Una vita nascosta con Cristo in Dio

Il volto di una autentica comunità monastica benedettina ha i tratti essenziali della Chiesa orante e contemplativa. È un segno escatologico. Ciò non significa che essa sia estranea alla storia e alle sollecitudini di tutta la Chiesa per l’evangelizzazione e la carità operativa. Il ministero principale della preghiera si completa con quello del lavoro e – come dice la Regola di san Benedetto – con ogni premurosa attenzione ai reali bisogni dell’uomo (cfr. c. 53) mediante l’ospitalità e altri aspetti di partecipazione alla vita ecclesiale e sociale nel modo consono alla vita claustrale.

Ciò che caratterizza la comunità monastica è ovviamente la ricerca di Dio riconosciuto quale Padre e sommo bene a cui tutto deve essere in pratica riferito e subordinato.

Poiché l’esistenza monastica è essenzialmente una esistenza pasquale, nascosta con Cristo in Dio per i fratelli, sono assolutamente incompatibili con essa la ricerca di sé, l’autoaffermazione e tutti quei comportamenti individualistici e idolatrici che la mentalità del mondo dichiara legittimi e favorisce a tutti i livelli in nome di una falsa concezione della persona e della sua libertà.

Ai giovani che provengono dalla rumorosa “babele” delle idee, delle opinioni e dei comportamenti della società del nostro tempo, l’ambiente monastico offre anzitutto il valore del silenzio e della solitudine quale condizione favorevole all’ascolto della Parola di vita, alla preghiera e alla comunione con Dio e con i fratelli. L’ascolto comporta sempre un profondo spirito di umiltà e di fede per farsi discepoli e per lasciarsi guidare sulla via dell’obbedienza riconosciuta quale autentica via di libertà e di santificazione, proprio per il fatto che è partecipazione al mistero pasquale di Cristo. Costitutivo della vocazione monastica benedettina non è infatti solo una personale spiccata inclinazione al raccoglimento e alla preghiera, ma anche e soprattutto la disposizione interiore, profonda e costante, a morire a se stessi per vivere in Cristo. Conformandosi al Cristo nell’umiltà e nell’obbedienza, il monaco cresce in quella carità che si concretezza ogni giorno, ogni momento in una esistenza liberata dalla schiavitù delle passioni e tutta al servizio della gloria di Dio e della salvezza dei fratelli. È questo lo scopo che giustifica ogni aspetto dell’ascesi monastica: la separazione dal mondo, la radicale povertà, le veglie e i digiuni, l’impegno costante in una profonda conversione del cuore per passare dalla dispersione alla unificazione e alla esichia, ossia, secondo gli antichi Padri, a quella pace interiore che è il frutto di un cuore purificato e pienamente riconciliato con Dio, con se stesso e con gli altri; il frutto di un cuore libero e docile alle mozioni dello Spirito Santo, unicamente governato dalla legge dell’Amore.

 

 

Icona della Divina Koinonia

Quando la risposta delle esigenze della vocazione è generosa e fedele, questo volto interiore, che lo Spirito va plasmando in ogni membro della comunità monastica, traspare dall’insieme della comunità stessa in ogni momento della giornata: in coro, nelle ore di celebrazione dell’Opus Dei, come pure nel ritmo sereno del lavoro e nelle riunioni fraterne per la formazione o per il sollievo ricreativo.

La comunità benedettina, costituita quale scuola del servizio divino, ha coscienza di dover essere anzitutto una realizzazione del mistero comunionale che è la Chiesa; di dover essere una comunità di culto e un luogo di accoglienza dove al Cristo è sempre riconosciuto il posto centrale: in essa Egli è Colui che accoglie ed è accolto, Colui che serve ed è servito.

Fondata sul Cristo, in Lui stabilita e costituita quale suo corpo mistico, la comunità nel suo insieme e in ogni suo membro è protesa a vivere la relazione filiale con Dio Padre nell’Amore – nello Spirito Santo – in modo da divenire una icona della divina koinonia. E proprio all’interno di questa realtà comunionale acquista il suo pieno valore ogni persona e il ruolo che le compete; ruolo che è sempre e per tutti di servizio, da quello dell’abate – o abbadessa – a quello di chi sta ancora facendo il cammino di formazione in noviziato.

In un’epoca in cui sembra che la famiglia umana vada sempre più perdendo la sua consistenza, mentre la società porta all’esasperazione le scelte personalistiche e le tensioni all’antagonismo dettate dall’ambizione e dall’egoismo, la comunità monastica, perseguendo i valori e gli ideali autenticamente cristiani, cerca di offrire ancora un convincente modello di vita in comunione, di fraterna collaborazione nel reciproco rispetto e nel vicendevole aiuto.

In essa i diritti e i doveri – che nel mondo sono fonte di tanti conflitti – coincidono nel riconoscimento dell’unico intento da perseguire: la pace. Questa, insieme al “gaudio dello Spirito Santo”, è il frutto di quella carità che san Benedetto – fedele alla Parola del Vangelo – pone veramente come legge fondamentale della vita cenobitica, vita in cui il valore della persona è incrementato dall’apporto di ogni altro membro che costituisce la comunità. In tal modo persona e comunità si servono reciprocamente, ed entrambi si danno e si ricevono come dono, in Cristo.

Il cristocentrismo della Regola benedettina costituisce la sorgente da cui procede la forza di coesione della comunità. Nella misura in cui, per fede, i monaci instaurano con il loro abate una relazione filiale simile a quella del Cristo con il Padre, sanno anche amare e accogliere i fratelli al di là di ogni possibile discriminazione. La stabilità nel monastero rende anzi più concreta ed esigente questa fraternità soprannaturale. Più concreta ed esigente, perché l’esistenza quotidiana impone un continuo superamento dei propri istinti di autoaffermazione per preferire gli altri a se stessi, dimostrando così di “nulla anteporre all’amore di Cristo”. Ogni membro della comunità, trovandosi inoltre allo scoperto sotto lo sguardo di tutti, è nella condizione favorevole per verificare continuamente l’autenticità della sua ricerca di Dio e della sua oblatività nel rapporto fraterno.

 

 

Le fonti della spiritualità monastica

Per alimentare questa spiritualità cristocentrica, robusta ed essenziale, sostanziata di umiltà e di servizio, di obbedienza che è risposta di amore all’Amore, la comunità monastica beve incessantemente al pozzo della Scrittura e della Liturgia, fa tesoro della sacra tradizione – i Padri in particolare – e del magistero ecclesiale, contemperando l’antico e il nuovo in una sintesi originale che esprime la perenne attualità del Vangelo e della Regola e la loro forza trasformante e santificante.

Anche l’austero e insieme sereno impegno del lavoro, come si è già accennato, entra quale elemento indispensabile della spiritualità monastica benedettina. Si tratta di un lavoro serio che accomuna la comunità monastica a tutti gli uomini che hanno i più seri problemi di sussistenza da affrontare quotidianamente. Può essere significativo il fatto che in un’epoca in cui la gente è così ingorda di tempo libero da usare per lo svago, vi siano persone e comunità che invece ritengono vera libertà e diletto il potersi dedicare a tempo pieno – senza vacanze! – alla lode di Dio – Opus Dei, “lectio divina” – e al servizio dei fratelli – Opus manuum – anch’esso reso come a Dio stesso.

 

 

Fascino di vergine bellezza e di gratuità

Spesso i giovani del nostro tempo e della nostra società rivelano una grande insicurezza e inconsistenza; ne consegue una loro istintiva ripulsa a ogni forma di ascesi e di impegno che comporti rinunzia e sacrificio. Lo stile di vita monastica costituisce, di per sé, una vera sfida allo stile del mondo a cui si fa risolutamente estraneo con la scelta di una radicale povertà che comporta il reale distacco da se stessi e dalle cose, la rinunzia a ogni superfluità e a ogni forma di consumismo e di efficientismo. Una vita all’insegna della gratuità, dell’umiltà, della povertà, dell’obbedienza e della più grande carità può essere per i giovani una tacita provocazione che li conduce a riflettere.

L’incontro con una comunità di persone che, pure con tutti i limiti umani, sono costantemente tese al massimo sforzo nel dono totale di sé, non li può lasciare indifferenti. Accade, infatti, non di rado, che qualcuno scopra in sé una simile esigenza di autenticità e di radicalità e cominci un cammino di ricerca e di verifica vocazionale che lo porta infine ad acconsentire alla chiamata di Dio.

Nell’animo dei giovani, persino di quelli che hanno già fatto le più devastanti esperienze, rimane sempre una potenziale consonanza con il vero, il buono e il bello. Essi sanno perciò cogliere il fascino che promana da una comunità monastica fedele al suo carisma; fascino di vergine bellezza, di gratuità, di armonia ed essenzialità. Talvolta – secondo la loro stessa testimonianza – il monastero è visto e sentito come una sorgente segreta, quasi come un fonte battesimale immergendosi nel quale si può ritrovare l’innocenza e quindi fare della propria vita un nuovo cantico d’amore. L’incontro con il Cristo attraverso chi anticipa qui in terra le caste nozze del regno dei cieli fa inoltre costatare che l’amore vero ed eternamente fedele non è una utopia, ma una splendida e indefettibile realtà.

“Come potete essere così contente?”. E questa una domanda pure molto ricorrente sulla bocca dei giovani. Vorrebbero conoscerne il segreto. La risposta non può essere uno “slogans”, come ad esempio: “Dio ci basta!”. Se la nostra vita è o non è unificata, i giovani lo percepiscono non tanto dalle parole quanto dal nostro semplice modo di essere, di pregare, di guardare con amore le stesse realtà umane tenendo sempre la sguardo fisso a quelle divine.

Proprio nell’essere segno escatologico, la comunità monastica offre anche una visione serena della vita presente così spesso segnata dal dolore. Infatti la serenità, la pace benedettina non sono una semplice quiete e preservazione dalle prove. Queste non mancano neanche ai contemplativi, anzi “sovrabbondano” per loro sotto tutti gli aspetti; ma sono vissute come partecipazione al mistero pasquale di Cristo, come croce che già contiene la gioia della risurrezione e della gloria.

Per questo la vita spirituale di una comunità monastica è come una grande finestra aperta su un orizzonte aurorale che annunzia un futuro ancora pieno di speranza. E verso quell’orizzonte la comunità si fa silenziosamente compagna di viaggio per tutti i fratelli smarriti di cuore.

Uscendo dal monastero dopo la partecipazione alla preghiera liturgica e alla “lectio divina”, una adolescente diceva in confidenza a una sua insegnante: “Comincio a credere che Dio c’è e che la cosa più bella che ci può capitare è di innamorarci di Lui!”.