N.05
Settembre/Ottobre 1992

L’itinerario ecclesiale di maturazione vocazionale

Lo stretto legame tra esperienza dello Spirito e sviluppo del dinamismo della vita cristiana nell’esistenza personale trova nella comunità cristiana, e nelle sue strutture fondamentali che la definiscono, un luogo privilegiato per la maturazione di una robusta progettualità di vita verso la maturità di fede e una scelta vocazionale specifica come suo naturale traguardo. Lo scopo di questo articolo è quello di richiamare tali elementi e mostrare come insieme possano contribuire a delineare un itinerario di fede su cui puntare le attenzioni e le scelte pastorali in vista di un servizio sempre più qualificato alla persona.

 

 

La vita ecclesiale, nel suo complesso, segno della presenza dello Spirito

Ci rifacciamo all’insieme di Atti 2-3 cogliendo in questi due capitoli una presentazione sintetica della vita ecclesiale e personale nell’ottica dello Spirito. Il frutto della Pentecoste (At 2,1-13), che investe il nucleo della Chiesa primitiva, si sviluppa nei testi successivi delineando un preciso intreccio di esperienza personale e mediazione ecclesiale, articolato attorno alle tre dimensioni costitutive della Chiesa stessa: la Parola, i Sacramenti, la Carità. Cogliamo subito questi tre aspetti riferendoci al testo biblico:

– la potenza della Parola, ripensata alla luce dello Spirito che rende ragione del kerigma apostolico, si riflette nel primo discorso di Pietro alla folla. Le antiche profezie veterotestamentarie vengono rivitalizzate in quanto trovano il loro compimento in Gesù crocifisso-risorto, rendendo così ragione della forza sempre vitale ed efficace della Parola in ogni tempo (At 2,14-41);

– la vita ecclesiale, compaginata attorno alla memoria eucaristica del Risorto, delinea lo stile di una vita arricchita dallo Spirito e la possibilità di una personale e particolare adesione alla comunità in cui l’uguaglianza e la condivisione (e non l’uniformità appiattente) nascono dall’evento sacramentale dello “spezzare il pane” (cfr. il primo sommario: At 2,42-47);

– la potenza dello Spirito fa compiere alcuni segni di attenzione alla persona che non si lasciano racchiudere negli schemi di una semplice filantropia umana, ma rappresentano un motivo di scoperta della dimensione stabile e profonda della vocazione del cristiano nell’ottica dello Spirito: una vita ispirata a quella di Cristo nella dedizione alla causa dell’uomo (la guarigione dello storpio in At 3,1-10), configurando così la specificità cristiana della carità.

L’esperienza dello Spirito proposta in questi capitoli del libro degli Atti traccia così i punti di riferimento dell’itinerario spirituale-ecclesiale e conferisce all’esperienza della prima Chiesa una normatività sempre valida anche per la Chiesa e per i cristiani di oggi. È quanto mai necessario rifarci ad essa per superare un’accentuazione troppo individualistica del cammino di vita spirituale e cogliere il legame costitutivo tra ecclesialità e spiritualità. A questo proposito risultano vere ed efficaci le parole di G. Moioli: “Nella figura del credente-cristiano… non si accuserà l’esigenza di un superamento del riferimento alla chiesa a vantaggio di una ‘interiorità’ o di una ‘profondità’ del soggetto. Paradossalmente, invece, l’interiorità e la profondità della comunione in Cristo si sperimenteranno nel medesimo movimento nel quale si accetta e si vive il rischio di esporsi alla ‘mediazione’ umana della Chiesa, giungendo così a scoprirvi la trasparenza reale del mistero fondamentale, che si sintetizza nella comunione con l’unico Signore morto e risorto”[1].

Si tratta, ora, di riprendere i singoli elementi per comporre un quadro il più possibile unitario.

 

 

L’itinerario, attraverso le esperienze, all’esperienza

Questa idea rappresenta l’ottica di lettura complessiva dei singoli elementi. La teologia spirituale ha ritenuto l’immagine della crescita dell’uomo attraverso le età della sua vita spirituale utilizzando la forma-metafora dell’itinerario. Essa esprime sia l’aspetto evolutivo, sia la capacità dell’uomo spirituale di distendersi, oltre le età cronologiche, per entrare in una sempre maggiore profondità della sua esperienza di Dio. “Anche quelli che ereditano la fede fin dalla loro infanzia – ci ricorda il teologo ortodosso P. Evdokimov – passano, prima o poi, attraverso la sua scoperta consapevole, attraverso una appropriazione del tutto personale e sempre sconvolgente[2]. Tale scoperta consapevole, o “maggiore età” della vita spirituale corrisponde in prospettiva cristiana con la positiva accettazione di sviluppare in pienezza il dono dello Spirito nella forma specifica della vocazione. Tale appropriazione personale si lascia descrivere da K. Rahner attraverso la figura della “maggiore età”: “la maggior età è anzitutto il coraggio e la risolutezza che si mostra nel prendere decisioni che non possono essere legittimate soltanto in base a norme generali e universalmente conosciute[3]. Tale risolutezza viene legata alla libertà del singolo, alla sua capacità di auto-disposizione in modo non arbitrario, ma responsabile nell’accettazione della forma ecclesiale della vita cristiana e della specificità realizzante la propria esistenza.

La configurazione dell’incontro con Dio che plasma la vita dell’uomo si lascia esprimere nella forma dell’esperienza. A questo proposito si tratta di passare dalla ripetizione di “esperienze” alla centralità dell’“esperienza”, alla realtà che le unifica e ne dà consistenza permettendo contemporaneamente il superamento della tentazione soggettivistica connessa a questa ripetizione. L’esperienza si profila, invece, come “appropriazione integrale cristiana dell’oggettività cristiana”[4].

L’attenta verifica delle esperienze ci fa scoprire come l’incontro con Dio avviene attraverso la mediazione dello Spirito e le varie mediazioni umane. Si potrà passare dalle esperienze all’esperienza quando verrà riconosciuta la contingenza delle varie mediazioni e si riuscirà a leggere dietro ad esse la permanente mediazione dello Spirito Santo. In questo senso l’itinerario verso la maggiore età è un processo di appropriazione creativa e non la ripetizione di esperienze atomizzate e sganciate da un elemento unitario. Esperienze gradevoli e appaganti, ma che spesso lasciano solo un’ombra. La robustezza della vita cristiana avviene, dunque, facendo quadrato attorno alle forme fondamentali della Parola, dei Sacramenti e della Carità capaci di rendere ragione sia della singolarità individualità che della ecclesialità-comunitarietà dell’esperienza di Dio.

Accanto all’accoglienza Parola, alla vita sacramentale e all’esercizio della virtù della carità sembrano essere in gioco, allora, tre variabili da considerare attentamente per definire l’itinerario e l’adeguatezza di esso ai tempi e ai modi di crescita della persona. Le tre variabili in gioco sono: la profondità della conoscenza della dimensione oggettiva di questi elementi; la corrispettiva capacità del soggetto di lasciarsi mettere in gioco da essi; il grado di maturazione del vissuto ecclesiale da cui scaturiscono questi tre elementi, in cui si attua l’incontro di essi con il soggetto e a cui il soggetto viene rimandato.

Cerchiamo di applicare queste tre variabili ai tre elementi costitutivi attorno a cui abbiamo articolato l’itinerario ecclesiale.

 

 

La Parola di Dio

L’immagine biblica rievoca una capacità di lettura della parola di Dio che sa andare al cuore di essa e pertanto al cuore degli ascoltatori. Si tratta di comprendere come tutte le promesse di Dio sono divenute realtà in Gesù, il crocifisso-risorto. Tutta la Parola ci parla di lui e conduce alla confessione di lui come Signore della storia e della vita. È la lettura che Pietro svolge davanti agli ascoltatori nel giorno stesso di Pentecoste.

In questo livello le tre variabili considerate trovano il loro dispiegamento. La dimensione oggettiva (il rispetto della Parola di Dio, per quello che è) va rapportata alla curiosità, al desiderio personale di approfondimento (anche in prospettiva culturale) di essa. Un primo elemento di analisi della propria esperienza di assiduità alla Parola si pone proprio attorno alla domanda radicale e disarmante nella sua semplicità: “fino a che punto mi propongo di conoscere la Parola?”.

La seconda variabile (il grado di coinvolgimento soggettivo) entra quasi naturalmente. È quella dimensione che Luca nota con una sobria, ma precisa aggettivazione: il turbamento, la gioia della scoperta… Ci può essere una conoscenza intellettuale robusta, ma una refrattarietà altrettanto grande di fronte alla capacità nativa della Parola di scendere nel profondo della vita per scardinare i luoghi serrati di un facile adagiarsi su posizioni e scelte di vita decise altrove e non nel confronto con la Parola. Ci può essere una tentazione sottile di addomesticare la Parola alla piccineria del nostro cuore. Tale tentazione non ne sminuisce la sua grandezza (prima variabile), ma intaccando questa seconda la rende sterile.

La terza variabile si riassume nella domanda: fino a che punto sono capace di ritrovare e voglio impegnarmi a far ritrovare nella chiesa la stessa freschezza dell’incontro con la Parola. Una vocazione non è mai dire di sì e basta alla Parola, ma subito porta all’interrogativo: come la chiesa vive di questa Parola che mi è venuta incontro, come la mia vita contribuisce a rendere sempre nuovo l’appello della Parola che mi ha raggiunto.

Non si tratta di pensare allora semplicemente a una sovrabbondante nutrizione-elargizione di Parola di Dio, non è sufficiente una lettura esistenziale addomesticante la Parola di Dio, e non è sufficiente pensare che, poiché la Chiesa “necessariamente” annuncia la Parola (nella catechesi e nella predicazione…), tutto automaticamente funzioni e la Chiesa viva della Parola stessa. La profondità di un serio itinerario di educazione alla Parola nasce nell’armonizzare le tre variabili su cui stiamo riflettendo.

 

 

I Sacramenti

Anche riguardo ai sacramenti e all’Eucaristia, in particolare, attorno a cui si articola l’intero organismo sacramentale, le tre variabili nella loro armonica compenetrazione risultano altrettanti validi criteri di progettazione e di discernimento di un itinerario serio di spiritualità ecclesiale e vocazionale. Questo risulta in modo evidente nei due sacramenti che alimentano ordinariamente la vita cristiana: l’Eucaristia e la Penitenza. Quanti fraintendimenti e quante difficoltà nascono da una conoscenza superficiale di essi (prima variabile), o da una loro riduzione ad esigenze esistenziali del singolo in un particolare tempo della sua vita personale (seconda variabile) o ad una superficiale sottolineatura dell’ex opere operato (terza variabile). Tutte le critiche, ormai non troppo recenti, sulla riduzione della pastorale alla sacramentalizzazione spesso hanno sofferto di altrettanti riletture ideologiche o parzializzanti.

La realtà del sacramento dice la continua disposizione della Grazia di Dio ad operare in modo tangibile nella vita dell’uomo, ma incontra l’uomo così come è, anche se nella sua capacità di lasciarsi determinare dalla realtà celebrata. Ogni sacramento è memoria pericolosa perché rivela l’uomo come essere indigente nei riguardi di Dio che a lui si riferisce per ritrovare la sua piena umanità, ma anche espone la Chiesa e i singoli ad adeguarsi continuamente alla realtà celebrata. Un serio itinerario di educazione ai sacramenti nella prospettiva vocazionale deve tenere conto di questo: della concreta situazione dell’uomo che li celebra, della sua capacità di assimilazione e del grado di trasparenza della comunità in cui vengono celebrati.

 

 

La carità

Le esperienze di carità non possono esaurire la carità stessa. È nella sua logica il farsi strada nella vita della persona allargandone i suoi orizzonti. È nella verità dell’uomo il lasciare spazio nella propria vita, per farsi determinare sempre più radicalmente da essa come ci ricorda il recente progetto pastorale “Evangelizzazione e testimonianza della carità. Anche a questo proposito le tre variabili generano altrettanti criteri di un consistente itinerario.

La conoscenza della realtà della carità, la sua irriducibilità (o forse la sua costrizione inevitabile perché semplificante e dunque impoverente) ai parametri della filantropia umana, è il primo di essi. Si tratta di comprendere come la carità tende a colmare il distacco tra l’uomo e l’uomo, superando l’estraneità e creando la vera alterità. L’amore è la legge che ci fa accettare l’altro come persona e non come un generico beneficiario di un servizio da elargire. Solo così è possibile costruire un itinerario alla carità che sia anche vocazionalmente fecondo, perché mette in gioco la nostra fede e la tensione della nostra speranza in un amore per l’uomo concreto, in un amore davvero integrale. La vocazione cristiana, nei vari stati di vita, ha questa pretesa di integralità sia che si apra alla scelta matrimoniale che a quella verginale. La carità è vissuta pienamente quando viene a coincidere non con settori periferici o in momenti circostanziati nel tempo, ma si identifica con la persona.

Entra allora la seconda variabile: la carità cerca un cuore capace di farle spazio. Si tratta di passare dalla logica del dare a quella dell’accogliere, dalla logica dell’offrire cose a quella di dare il bene più prezioso: la possibilità di trovare un senso per l’esistere mio e dell’altro, ed in esso di riscoprire la fede. È l’esperienza di Pietro e Giovanni alla porta Bella: “Non ho né oro né argento”, ma solo la forza inesauribile della mia fede nel Risorto. La seconda variabile dice allora che la carità da atto periferico ed episodico deve diventare atteggiamento, cioè, nella più vera prospettiva cristiana: virtù. Essa allora diventa una rivelazione dell’azione di Dio attraverso l’uomo e plasma in modo indelebile la persona.

Ma anche la carità non è opera di navigatori solitari, essa è la missione della Chiesa e deve guidare alla Chiesa. In questo senso, si ripropone, la terza variabile: la Chiesa si trova al centro di essa. La solidarietà nell’operare il bene deve diventare una stabile componente di un progetto spirituale. La carità allora non può essere solo funzionale all’auto-realizzazione della persona, ma deve essere ricercata come espressione di verità e di vitalità di tutta la comunità cristiana.

 

 

La sintesi è il superamento!

Un’ultima forma dell’itinerario ecclesiale, qui sommariamente delineato, si lascia esprimere nella consapevolezza che la normatività di questi tre elementi (Parola, Sacramenti, Carità) va di pari passo con la coscienza della provvisorietà delle forme storiche di attuazione di essi. Altrimenti non risulterebbe possibile nessuna scelta vocazionale, vista come atto non solo in continuità con il passato e le realizzazioni parziali, ma anche come novità e rischio per la persona. Solamente abbracciando sempre nuovi livelli di coinvolgimento si può giungere alla decisione vocazionale. E solo verificando continuamente la dimensione ulteriore di essi che si apre ogni giorno nella grande scelta vocazionale operata è possibile fare che le “esperienze” siano sempre comunicative dell’“esperienza” fondamentale. 

È la voce dello Spirito, nel paziente discernimento ecclesiale e spirituale, la legge che guida la logica normativa degli Atti degli Apostoli, delle grandi scelte della chiesa e della decisiva maturazione a quel traguardo che è la santità della persona, vocazione sintesi al di là di tutte le vocazioni, vocazione che concreta l’armonico intreccio della Parola, dei Sacramenti, della Carità, conosciuti nelle loro dimensioni sempre più profonde, vissuti esistenzialmente e amati nelle loro forme che la tradizione della Chiesa ha voluto come veicolanti.

 

 

 

 

Note

[1] G. .Moioli, Esperienza cristiana, in: S.D. Fiores – T. Goffi, Nuovo Dizionario di Spiritualità, Paoline, Cinisello Balsamo (mi) 1986, 538.

[2] P. Evdokimov, Le età della vita spirituale, EDB, Bologna 1981 (orig. 1964), 74.

[3] K. Rahner, Il cristianesimo maggiorenne, in: Scienza e fede cristiana, Paoline, Roma 1984, 109.

[4] G. Moioli, op. cit., 540.