N.01
Gennaio/Febbraio 1993

Dio ha tanto amato il mondo…

Spesso mi sento rivolgere dalla gente, soprattutto nei momenti di sofferenza, la domanda: Dio mi ama veramente? Sono le situazioni più difficili della vita umana, che si ritrovano nella rivelazione biblica, in cui la risposta di fede diventa più credibile se accompagnata dalla carità solidale. Più raramente forse, ma non certo con minore coinvolgimento vitale, ho ascoltato una seconda domanda, colma di stupore e di gioia: perché Dio ama l’uomo?

Il testo biblico più efficace per suscitare tale interrogativo è quello del Vangelo di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo…” (Gv 3,16).

La risposta è articolata e la vogliamo proporre tenendo presente tutta la prospettiva del quarto Vangelo e coinvolgendo in qualche modo l’intera rivelazione biblica. Al termine saremo pronti a capire meglio il discorso sulla totalità dell’amore di Dio verso l’uomo e l’esigenza che ne consegue di un forte impegno vocazionale.

 

 

L’amore esperienza dell’uomo

L’uomo, come lo presenta la parola di Dio, non è solo: “non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2,18). Per sua costituzione l’uomo è un essere unitario in rapporto. Questa definizione esprime la categoria biblica dell’uomo “immagine di Dio”. Anche se non è frequente, questa espressione antropologica attraversa i due Testamenti, fino a giungere all’immagine ideale di Dio, il Signore Gesù, Uomo-Dio. La categoria “uomo immagine di Dio” dice tre rapporti propri all’uomo: quello privilegiato con Dio, quello con gli altri uomini, e infine il rapporto con il cosmo.

Ci fermiamo sul secondo rapporto, quello inter-umano. Nella sua accezione positiva, tale relazione esprime la donazione dell’uomo per l’uomo: è l’amore. È un’esperienza che ogni uomo realizza nella propria vita, sotto forme diverse come la paternità o la maternità, l’affetto filiale, la fraternità, ecc.

Questo amore oblativo per sua natura esige una reciprocità: la risposta con uguale positività. Per esempio, la madre che ama esige naturalmente la risposta di amore del figlio, lo sposo della sposa, il fratello del fratello, ecc.

Questo può non avvenire, perché l’uomo è libero e può usare male la sua libertà rifiutando l’amore. È il peccato, che sovverte l’armonia originaria (cfr. Gn 2-3), che, pur non arrestando l’amore (il padre continua ad amare il “figliol prodigo”, come lo sposo continua ad amare la sposa infedele), spezza in qualche modo il rapporto. Nella storia umana, cioè, l’amore può non essere comunione, perché non corrisposto. Così il Vangelo di Giovanni presenta la vicenda di Cristo: “i suoi non lo accolsero” (Gv 1,11). 

È facile perciò il passaggio al rapporto privilegiato, quello fra l’uomo e Dio. Anche in questo caso l’uomo può rifiutare l’amore di Dio, che tuttavia si ripresenta sempre come un Dio per l’uomo, per la sua salvezza, malgrado le infedeltà. La sommità, di questa presentazione di Dio nell’Antico Testamento è offerta dalla metafora sponsale: Dio è lo sposo che ama di amore totalitario e senza termine la sposa (Israele), anche quando questa è infedele.

 

 

Dio e comunione

Gesù Cristo porta al vertice la rivelazione dell’amore donato e corrisposto, manifestando la Realtà di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo.Il Dio cristiano, Uno-Trino, la Santissima Trinità, realizza pienamente l’idea di comunione: “io sono nel Padre e il Padre è in me” afferma Gesù (Gv 14,11); e rivolto al Padre lo prega di unire i suoi discepoli, “come tu, Padre, sei in me e io in te” (Gv 17,21). La realtà di Dio, in cui le tre Persone divine sono una per l’altra, con l’altra e nell’altra, viene con efficacia presentata da Sant’Agostino: l’Amante (il padre che si dona), l’Amato (il figlio che riceve e risponde), l’Amore (lo Spirito Santo, dono increato, vincolo di amore). Dio è comunione eterna e necessaria.

A questo punto possiamo dare una prima risposta alla domanda: perché Dio ama l’uomo? Dio comunione eterna e necessaria, per libero e gratuito amore comunica a una creatura, perciò in modo limitato ma senza termine, ciò che costituisce la sua stessa essenza e vita: la comunione. Ciò avviene forse anche quando l’uomo è infedele, cioè Dio comunica il suo amore anche all’uomo peccatore? La risposta è positiva: “Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8).

Questo versetto di san Paolo sembra, a prima vista, identificarsi con il testo di Giovanni oggetto della nostra riflessione. La prospettiva di Giovanni non è però questa: c’è ancora un passo da compiere, molto importante e spesso disatteso.

 

 

Il Padre ama in modo totalitario Cristo Gesù

Perché la passione e la croce di Cristo? Nella risposta bisogna evitare una prospettiva, che non è biblica e tantomeno del Vangelo di Giovanni: quella cioè del Dio vendicativo, che vuole la croce di Cristo come ricompensa al suo onore offeso dal peccato dell’uomo.

Il Vangelo di Giovanni, anzitutto, presenta la croce di Gesù come un mistero unitario con la sua risurrezione: questo evento unico che culmina nella risurrezione di Gesù, costituisce la gloria: è ciò che Gesù domanda al Padre: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te” (Gv 17,1).

La gloria consiste nell’esaltazione di Gesù, che nella sua passione e risurrezione esprime in modo totalitario l’amore di Dio verso l’uomo. Certo la passione di Gesù si realizza in un mondo di peccato, in cui gli uomini sono responsabili e colpevoli. Ma è importante capire che il male non vince il bene; anzi diventa strumento mediante il quale l’amore appare in tutta la sua luce. Perciò nel disegno di Dio anche la morte di Gesù appare come espressione di amore, anzitutto del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre, prima di essere gesto di amore per l’uomo. Così si deve intendere l’espressione di Gesù: “il mondo sappia che tu li hai amati, come hai amato me” (Gv 17,23.24). Il Padre ama per primo il Figlio, anche nel momento della passione. Allo stesso modo Gesù si avvia alla sua morte con la coscienza: “che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato” (Gv 14,31).

In conclusione, la totalità dell’amore del Padre, prima di riversarsi sull’uomo, ha come destinazione il suo Figlio, il Signore Gesù, in tutto l’arco dell’incarnazione.

 

 

Dio padre ama l’uomo in Cristo e nello Spirito Santo

Alla luce dell’interpretazione precedente può sembrare attenuata la forza del testo di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo…”.

È il contrario: l’amore del Padre verso l’uomo nella prospettiva giovannea acquista in ricchezza e intensità. È infatti un amore che si rafforza proprio per la presenza di Cristo Signore. Gesù ne è come la trasparenza che lo rende ancora più totalitario e intenso. Così si manifesta in Gesù l’amore di Dio: “avendo amati i suoi, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). È un amore che va fino in fondo, sino al compimento.

Anche quando l’uomo oppone il rifiuto, è peccatore. Allora Gesù diventa il primo “paraclito”, il difensore presso il Padre, che guarda l’uomo proprio attraverso il suo Figlio benedetto (cfr. 1 Gv 2,1). Appunto per questa presenza e per l’animazione dello Spirito Santo, l’altro paraclito (cfr. Gv 14,16), l’uomo può chiamare Dio con il dolcissimo appellativo di “Abbà, Padre” (Rm 8,15).

Siamo ora pronti a dare una risposta complementare alla domanda: Perché Dio ama l’uomo? Perché Egli vede l’uomo attraverso il Figlio suo, Gesù Cristo, Uomo-Dio, che ama di amore privilegiato e corrisposto.

Questa visione potrebbe completarsi con l’aggiunta dei santi di cui è costellata tutta la storia umana, soprattutto in primo luogo con la presenza dolcissima della Vergine Maria, Regina di tutti i santi, Madre di Gesù e della Chiesa. Così l’uomo, ogni uomo, è visto dal Padre della misericordia come inserito in questa immensa storia di amore totalitariamente donato e in vario modo corrisposto.

 

 

La risposta dell’uomo a Dio, totalità di amore

Non è nostro compito trattare in modo articolato questo aspetto, che consegue necessariamente alla riflessione precedente. La vocazione cristiana è una chiamata esigente di Dio, come totalitario è il suo amore per l’uomo.

La specificazione esistenziale di tale chiamata cristiana, matrimonio o verginità, vocazioni di speciale consacrazione, ecc., deve mantenere le qualità dell’amore divino, anche se nelle modalità proprie di ogni cammino vocazionale.

Ciò che è importante e fondamentale per ogni cristiano è poter rispondere, in ogni momento e al termine della propria esistenza terrena, alla domanda di Gesù: “Mi ami tu?” con le parole di S. Pietro: “Certo, Signore, tu lo sai che io ti amo” (Gv 21,15).