La celebrazione dell’Eucaristia “segno” di totalità
La vocazione e la sua totalità
L’incontro di Dio con l’uomo, racchiuso nel concetto cristiano di vocazione, si attua sempre nella totalità. Totalità di amore da parte di Dio, che non solo ha creato e donato la vita, ma che in Cristo “ha dato tutto se stesso per noi”. Totalità è anche richiesta all’uomo, che nulla di sé può escludere dall’offerta di amore e di vita nella risposta alla chiamata di Dio. In questo contesto spirituale scoprire la propria vocazione è aprire gli occhi sull’infinita “larghezza, altezza, lunghezza e profondità del cuore di Cristo”, e, nello stesso tempo è sperimentare in modo vivo la grandezza alla quale siamo chiamati nonostante la pochezza delle nostre possibilità.
Per superare questo abisso tra la totalità dell’amore di Dio e quella nostra, Gesù ha donato l’Eucaristia. In essa offre la possibilità di quella “comunione sacramentale” che racchiude la grandezza dell’amore di Dio nel nostro cuore e fa dilatare il nostro cuore fino a farlo raggiungere la grandezza del cuore di Dio. Nella sinagoga di Cafarnao, davanti agli increduli e dubbiosi discepoli Gesù afferma: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me” (Gv 6,56-57).
L’amore che lega in unità il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo è partecipato a noi dall’Eucaristia, con una totalità che non può essere valutata da nessuna misura né pesata da nessuna bilancia, e la vocazione e missione di Cristo trova la sua continua trasmissione all’uomo proprio per mezzo del mangiare il suo corpo e del bere il suo sangue, perché la comunione eucaristica non realizza un’unità statica tra Cristo e il credente, ma realizza un’autentica comunione di vocazione e di missione. L’Eucaristia è così il sacramento della totalità dell’amore, che apre all’ascolto della chiamata, fa sperimentare l’amore consacrante di Cristo e, infine, manda ad operare per il Regno con l’energia ricevuta dallo Spirito di Cristo.
Il Sacramento della “totalità”
Tutta la vita di Cristo è “dono di amore”. Il gesto con cui Gesù si dona al Padre per amore dei fratelli e ai fratelli per amore al Padre non si è esaurito nel tempo della sua vita terrena, è stato sacramentalizzato da lui stesso e lo ritroviamo sempre presente al centro della liturgia nella celebrazione eucaristica. “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Gesù attraverso l’Istituzione sacramentale ha voluto perpetuare per tutti noi il gesto che sintetizza e totalizza tutta la sua esistenza vissuta per gli altri, per offrirci la fonte alla quale potessimo attingere inesauribile capacità di fare altrettanto. “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Gesù nell’Eucaristia non ha voluto solo lasciarci il dono compiuto del suo corpo per noi dato e del suo sangue per noi versato; egli ha voluto renderci partecipi e continuatori proprio del suo atto di donarsi. Nell’Eucaristia egli continua ad offrirsi in sacrificio al Padre e a donarsi a ciascuno di noi in comunione. La “totalità” dell’amore di Dio per l’uomo trova così nell’Eucaristia la sua piena manifestazione e nello stesso tempo è l’unica totalità di amore che l’uomo possa offrire al Padre.
L’icona della lavanda dei piedi
Il Vangelo di Giovanni non ha il racconto esplicito dell’istituzione dell’Eucaristia in modo diretto, ma narra, subito dopo la consegna del “comandamento nuovo” della carità, la toccante scena della lavanda dei piedi. Sembra quasi che l’apostolo che Gesù amava abbia voluto completare il racconto degli altri evangelisti con una testimonianza concreta perché l’amore non restasse qualcosa di sentimentale o astratto, ma si facesse realtà concreta. “Figlioli miei – esortava lo stesso apostolo – non amiamo a parole, né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (1Gv 3,18). Amare “coi fatti” nell’impegno quotidiano della vita e “nella verità” partecipando al dono di Cristo presente e operante nel mistero eucaristico.
Celebrare la totalità dell’amore
La celebrazione dell’Eucaristia è luogo primario e scuola di formazione permanente della carità e di tutti quegli atteggiamenti pratici ad essa connessi. “La Chiesa ogni giorno all’altare impara ad offrire se stessa offrendo lui” (S. Agostino). A questa scuola si apprendono quelle virtù che sono alla base della scelta vocazionale e scandiscono i passi della risposta alla chiamata di Dio: l’accoglienza, la gratuità, la totalità, la perseveranza.
Accoglienza. Il punto di partenza della celebrazione è il “convenire in unum”. Il costruire l’assemblea liturgica non è solo un fatto materiale, ma implica fin dal principio un’accoglienza e ospitalità reciproca. E lo svolgimento concreto della celebrazione poi continua su questo tono; non si può iniziare un canto con una nota stonata, sarebbe il caos, così è per la celebrazione dell’Eucaristia. Dal riunirsi insieme si passa al pregare insieme, al professare la stessa fede, al cantare insieme, al compiere gli stessi gesti e gli stessi atteggiamenti esterni ben ordinati dall’unione più profonda, fino a culminare nel gesto della Comunione. L’Amen detto in quel momento a sottoscrivere tutti gli eventi della celebrazione e la coscienza di essere totalmente nell’amore del Padre e di donarsi totalmente al servizio della sua volontà. Senza unità e presenza reale del corpo ecclesiale di Cristo il corpo sacramentale perde tutta la sua forza di segno e rischia di svuotare tutta la celebrazione della sua forza salvifica.
Gratuità – Totalità. Non si può fare memoria di quello che Gesù ha fatto se non si entra negli stessi sentimenti, nelle stesse disposizioni interiori del Redentore vissute in quel momento. C’è il rischio, infatti, di esprimere una realtà con le parole e i segni scelti da Gesù, mentre nell’intimo l’atteggiamento ne vive un’altra che è all’opposto delle intenzioni intese all’origine del gesto. In particolare voglio riferirmi al momento dell’offertorio. Qui l’offerta gratuita di quanto abbiamo ricevuto dal Signore (tutto) è un’esigenza fondamentale. Il “tutto” offerto da Cristo senza il nostro piccolo “tutto” rischia di non raggiungere la pienezza dell’offerta sacrificale. L’invito di Gesù al giovane ricco del Vangelo “Una sola cosa ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi” (Lc 18,22), è l’invito che la liturgia ripete nel segno dell’offertorio, prima di incamminarsi dentro la grande preghiera eucaristica. L’offertorio compiuto nella pienezza del suo significato è la migliore scuola di gratuità e premessa indispensabile della carità e della comunione.
Servizio. La carità, resa presente dalla celebrazione dell’Eucaristia, infine, manda ad attuarla, portandola a compimento nella vita, perché la comunità è cristiana nella misura in cui sa mettere veramente al centro il povero, il pellegrino e chiunque è nel bisogno. “Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5,1-2). Colui che ha detto “Questo è il mio corpo”, ha anche detto “avevo fame, avevo sete, ero nudo… e mi avete soccorso”. La rottura della Eucaristia-carità a livello teologico e di prassi pastorale è una delle disavventure più gravi che possa capitare alla comunità cristiana. La diaconia della mensa passa naturalmente dal servizio all’Eucaristia al servizio ai poveri.
Il sacrificio di Cristo che ci ha amato “usque in finem”, si completa e si fa storia nella carità dei suoi che continua ad amare “usque in finem”, celebrando l’Eucaristia e servendo i fratelli. La celebrazione dell’Eucaristia senza la chiamata, la consacrazione e il mandato è un falso. Cristo nell’Eucaristia continua a darci tutto e ci offre la possibilità di dare tutto, ascoltando la sua chiamata, sottomettendoci alla sua consacrazione e aprendo davanti a noi la via della carità.