La totalità dell’amore di Dio come valore totalizzante per l’uomo
Ognuno di noi, se è attento, percepisce il proprio essere come limitato e piccolo: fa l’esperienza del “frammento”. Questo non solo nei momenti in cui la vita si fa dura (malattie, prove, morte, ecc.), ma anche nel quotidiano dipanarsi delle ore. Si può chiamare tutto ciò con il termine di “temporalità”: la persona si sperimenta come presa nel fluire del tempo, catturata dalle maglie del continuo cambiamento e alla ricerca del significato di tutto ciò. In questa esperienza ci sono dei germi positivi, ad esempio distoglie dalla tentazione dell’autosufficienza e introduce nella dimensione dell’umiltà; essa però porta con sé anche una profonda ansia: l’ansia di non essere nessuno, di perdere le possibilità che la vita offre di “restare al finestrino” vedendo la propria esistenza scorrere senza di noi.
Aneliti insopprimibili
La domanda che sorge è duplice: in questa frammentarietà che sperimento è presente o no un senso totale? Se tale senso esiste sono io in grado di aderirvi con tutto me stesso? In altri termini, è la questione della totalità: esiste un “tutto” che abbraccia la storia del mondo e la mia vita? Questo “tutto” può riguardare anche la mia persona in ogni sua dimensione?
Di fronte a tali domande i problemi più diffusi possono essere descritti secondo la tipologia di una triplice “ansia”.
L’ansia del tempo perduto. Sorge di fronte alla quantità delle esperienze che la vita propone. Vi cade chi consuma avidamente le ore e le possibilità con l’illusione che il segreto della “totalità” risieda nell’accumulo. Ci si scioglie allora in una miriade di scelte marginali temendo che qualcosa di importante vada perso. Più che decidere delle esperienze, ci si lascia travolgere da esse. Così il tempo non diventa mai storia.
L’ansia del tempo temuto. Nasce dalla sensazione di non possedersi pienamente di fronte al divenire. È propria di chi ha intuito la bellezza di un ideale unificante, colto magari in un’esperienza di fede, ma dubita di se stesso. È il timore che l’adesione a una “totalità” non regga al giudizio del tempo che scorre. Inevitabilmente il futuro porta con sé novità e cambiamenti; chi dubita di se stesso, di fronte a ciò si sente debole e rinunciatario.
L’ansia del tempo svuotato. È connessa alla qualità dell’esperienza di fede. Sempre ci si affida a qualcosa/qualcuno, la nostra libertà non ne può fare a meno; ciò a cui ci si affida diventa l’“assoluto” che riempie la vita. È facile intuire che quando si concede la patente di “assoluto” a realtà o prospettive del tutto relative, compare ben presto il senso di vuoto e di insignificanza. Orizzonti troppo stretti non sono in grado di dare la “totalità” verso cui tende il desiderio umano.
A questa triplice ansia il Vangelo risponde: “Dio ama con amore totale”. Tale annuncio porta con sé una sfida, una proposta. Essa suona così: questo valore oggettivo (“Dio ama con amore totale”) è ciò che dà compimento al desiderio di senso che attraversa il cuore di ogni uomo. Una volta fatto proprio esso svolge un compito “totalizzante”. Rivelando alla persona la sua vera natura – quella di essere figlio, in Cristo, di un Dio che è amore – le consente di armonizzare sempre più intorno a tale dato tutte le dimensioni che la compongono. Una tale dinamica è sottesa ad ogni scelta cristiana di uno stato di vita. Chi decide di farsi prete, religioso/a, missionario/a, sposo/a e genitore cristiano, ecc. accoglie il dono totale dell’amore di Dio e si incammina in una precisa direzione per fare di esso il centro totalizzante e irradiante della sua esistenza. Si mette in cammino per corrispondere all’amore di Dio che attira a sé tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze della persona.
Tutto il cuore
Prendere coscienza che Dio ama ciascuno con amore totale, spinge a corrispondere con tutto il cuore. Ciò significa che la persona, spesso per la prima volta, volge lo sguardo sulla sua interiorità e la scopre più ampia di quanto sospettasse. La trova popolata di bisogni, la sperimenta attirata da valori e si impegna affinché tutti i suoi affetti siano aperti e illuminati dall’amore totale di Dio. Per comprendere cosa ciò significhi occorre, per cenni, addentrarsi un po’ nel “contenuto” del cuore umano.
Bisogni
Anzitutto è necessario scoprire i propri bisogni, cioè quelle tendenze innate all’azione che derivano da potenzialità naturali. Non conoscerli significa non saper discernere cosa il Signore ci chiede attraverso di essi e a proposito di essi. Aprirsi all’amore totale di Dio, significa anche sentirsi da lui amati concretamente in quelle energie che lui ha posto in noi. Un utile elenco di tali bisogni è il seguente: accettazione sociale, acquisizione, affiliazione, aggressività, aiuto agli altri, autonomia, cambiamento, conoscenza, dipendenza affettiva, dominio, eccitamento, esibizionismo, fuga dal pericolo, fuga dall’inferiorità, gioco, gratificazione erotica, ordine, reazione, sottomissione, stima di sé, successo, sfiducia in sé.
Tutte queste energie in se stesse non sono né buone né cattive, semplicemente ci sono, sono disponibili, sono come operai in attesa di un padrone che li inviti nella sua vigna. Sono “frammenti” che attendono un “tutto” cui aderire. I problemi sorgono quando questa adesione non avviene; allora sono i soli bisogni ad orientare la vita, mentre l’uomo è fatto per qualcosa di più.
Valori
C’è infatti un altro mondo che interessa da vicino il cuore dell’uomo: il mondo dei valori. Con ciò si intendono quegli aspetti delle cose e delle persone la cui importanza intrinseca è l’oggetto del desiderio e della risposta umana. Essi sono qualcosa di concreto, un’alterità che ci viene incontro, ci provoca e nei confronti della quale i nostri bisogni possono farci assumere predisposizioni assai diverse: di negazione, di ambiguità o di adesione. Anche i valori sono tanti, inoltre sono diversificati gerarchicamente. Ci sono valori naturali, che interessano cioè la vita, il conoscere, la bellezza. Altri sono quelli più decisamente trascendenti, manifestazione di quell’alterità che è l’auto-comunicazione di Dio e si riassumono nell’unione con Dio e nella sequela di Cristo. Ci sono infine valori che possono essere vissuti per motivi trascendenti, ma anche per sorreggere la soddisfazione di soli bisogni: l’amicizia, l’amore umano, la solidarietà, ecc. Chi si apre sinceramente all’amore totale di Dio si trova collocato nell’insieme di relazioni definite da questo quadro di valori. In tale insieme di relazioni l’amore totale di Dio si pone come valore unificante che attira e coinvolge.
Un’affettività “cristiana”
Nei confronti dei valori ora richiamati, le spinte che animano il nostro mondo interiore possono essere più o meno “evangelizzate”. Può darsi cioè che il modo in cui noi viviamo l’insieme dei nostri bisogni sia del tutto aperto, parzialmente refrattario o totalmente in contrasto con i valori cristiani che proclamiamo e che vogliamo vivere e testimoniare; primo fra tutti quello dell’amore totale di Dio. Può darsi cioè che manchi in noi un’affettività cristiana. Concretamente può succedere che mentre a voce si proclama di voler vivere corrispondendo alla totalità dell’amore di Dio, di fatto si vivano i bisogni in modo tale da salvaguardare la propria vita. Il risultato è che piano piano ci si lascia plasmare da ciò che veramente e concretamente si ama. Ne risulta un’affettività nella quale il seme del Vangelo non ha adeguatamente attecchito. È da qui che ha origine quella che in precedenza ho denominato “ansia del tempo perduto”: perdendo di vista la centralità del Signore, si cerca un senso disperdendosi in esperienze superficiali. Qualora invece, corrispondendo all’opera della Grazia, si cerca l’integrazione, ci si muove realmente “con tutto il cuore” verso una risposta all’amore totale di Dio.
Tutta la mente
C’è di più. Chi si apre all’amore totale di Dio è condotto sempre più nelle profondità di se stesso. È cioè spinto ad amare Dio anche con tutta la mente, con tutti gli “strati” della mente: sia quelli che gli sono immediatamente presenti, sia quelli nascosti sui quali è più difficile fissare l’attenzione. L’interiorità umana non è infatti comprensibile solo a partire dal suo “contenuto” (bisogni, valori, ecc.), occorre porre attenzione a come esso è “organizzato”. Le nostre motivazioni (la nostra “mente”) si organizzano secondo le strutture che devono esse pure essere evangelizzate. Per capire occorrono alcune precisazioni.
Motivazioni subconscie
Esistono in ognuno di noi dinamismi che sfuggono alla consapevolezza. Si può cioè dire “sì” o “no” ai valori, spinti da ragioni diverse da quelle che proclamiamo, si tratta delle motivazioni subconscie. Esse costituiscono un mondo sconosciuto ai più, ma che influisce fortemente sulla vita degli individui e delle comunità. Ogni persona non è solo ciò che essa appare, né solo quanto essa capisce o dice. C’è in ognuno il mondo ampio e movimentato delle emozioni e dei sentimenti. Sono esse che danno a tutto quanto facciamo la loro forza, senza il loro sostegno ogni nostra decisione sarebbe esile come carta e ogni nostro comportamento senza colore e intensità. Ora, tali emozioni possono essere in parte non riconosciute o male interpretate. Può così succedere che si agisca dicendo di essere motivati da certe realtà (per esempio i valori cristiani) mentre invece si è spinti da altre (per esempio i propri bisogni non ancora evangelizzati). Il subconscio è una dimensione antropologica normale, presente in tutti e necessaria per la sopravvivenza. Pure normale è il fatto che ci sia una sfasatura tra le motivazioni che lo animano e quelle che sorreggono la vita conscia. Il motivo è che il subconscio è frutto della memoria affettiva, una facoltà che comincia ad operare prestissimo nella vita dell’essere umano. L’adesione agli ideali è invece frutto della memoria e dell’intelletto razionale, che si sviluppa dopo. Può capitare dunque che “l’io ideale” del soggetto si muova su direzioni diverse da quelle che “l’io attuale” aveva precedentemente intrapreso.
Autenticità e autotrascendenza
Prendere coscienza di questi fatti aiuta ad avere uno sguardo realistico su se stessi. Due spunti utili possono essere i seguenti.
Il primo riguarda l’ideale che ci si pone davanti. La tensione non è verso una perfezione intesa come assenza di conflitti, ma verso l’autenticità. Essere autentici significa avere una percezione adeguata dei propri limiti, c’è infatti una piccolezza che va accolta come non – possibilità – di. Significa però anche giocare tutte le proprie carte per corrispondere alla grazia di Dio, la piccolezza accolta è condizione di possibilità per un dono totale di sé che non sia solo sogno o utopia.
Il secondo tocca la modalità con cui si misura e si cammina verso l’autenticità. Tale modalità è quella dell’autotrascendenza. L’adesione vera e concreta all’amore totale di Dio implica cioè uno scarto costante tra l’ideale verso cui tendiamo e la realtà che siamo. La capacità di sopportare la tensione e il sacrificio sono dunque indice e strumento di maturità. Quanto detto ci mostra che tale lotta va combattuta sul fronte giusto: quello della nostra distanza da Dio e non quello delle ansie prodotte dal nostro mondo privato.
Con gli altri e per gli altri
Ciò implica anche uno sguardo realistico sugli altri con cui viviamo. Normalmente la comunità cristiana, in ogni sua espressione e forma, non è un punto di partenza ma il traguardo di una perenne conquista. Già i partecipanti sono divisi in se stessi e in perenne sforzo di uscita dall’inautenticità. A ciò si assommano le molteplici dinamiche sociali che da tali divisioni interiori hanno origine. Due conseguenze mi sembrano importanti.
In primo luogo occorre prendere coscienza che non si è insieme perché si è maturi, ma per diventare tali. Occorre cioè aiutarsi reciprocamente verificando con coscienza le scelte comuni alla luce di valori cristiani oggettivi.
In secondo luogo occorre anche maturare e chiedere al Signore una più ampia e sempre rinnovata capacità di perdono. Accettare che ci siano motivazioni subconscie significa anche ampliare il margine di comportamenti, reazioni, scelte che non sono finalizzate al bene dei singoli o del gruppo, pur non nascendo da decisioni esplicite e coscienti. Occorre che anche tale possibilità trovi uno spazio misericordioso nel cuore di ognuno.
“L’ansia del tempo temuto” – il dubbio su se stessi – sorge particolarmente in chi fatica ad avere uno sguardo realistico su di sé e sugli altri. Un tale sguardo è necessario per poter corrispondere all’amore totale di Dio sempre più “con tutta la mente”: in tutti i suoi “strati” e nella totalità delle sue relazioni.
Tutte le forze
Dobbiamo infine esplorare un’ultima dimensione umana coinvolta e attirata dall’amore totale di Dio, quella della “qualità” della risposta ad esso. Si tratta di capire come essa può essere sempre più totalizzante, coinvolgere cioè la persona nella interezza delle sue forze.
Oltre il primo passo
In un’esplicita vocazione cristiana si entra per generosità, ma si rimane per qualità di vita. Mi spiego. La scelta di farsi prete, frate, sposo cristiano, ecc., nasce dall’attrazione degli ideali e dal generoso e sincero confidare in essi. Ma questo è solo il primo passo. Se è vero che si entra spinti da tale generosità, per proseguire adeguatamente occorre anche altro; se la ragione rimane sempre e solo questa non si persevera a lungo in modo autentico. Occorre che l’ideale cambi ruolo passando da oggetto di generosità a soggetto di conformazione interiore. Bisogna cioè che esso trasformi la qualità della vita concreta. Il mondo interiore ha bisogno di una continua evangelizzazione e se la scelta iniziale è come il primo annuncio sappiamo bene che esso è il necessario ma solo iniziale germe di una pianta che deve mettere radici profonde prima di poter portare frutto.
Aiuti “esterni”
In questo cammino dalla generosità alla qualità di vita alcuni aiuti esterni sono di grande utilità. Il passaggio progressivo e continuo dalla inautenticità all’autenticità è infatti un’operazione che richiede attenzioni diverse e convergenti. C’è anzitutto quanto facciamo spontaneamente a riguardo di quanto della nostra vita è “pubblico”: conosciuto a noi e conosciuto agli altri. C’è poi il lavoro che svolgiamo con il direttore spirituale e che riguarda quanto di noi è segreto: conosciuto a noi ma sconosciuto agli altri. Ci sono poi i tanti aiuti che giungono dagli altri con i quali viviamo (vita comune, correzione fraterna, stimoli dagli eventi della vita), essi ci spingono a crescere in un’area che per noi è “cieca”: sconosciuta a noi ma riconosciuta da chi ci sta intorno. C’è infine una zona del nostro io che è “subconscia”, che è cioè fuori della presa sia di noi stessi che degli altri; per essere qui aiutati è utile l’aiuto professionale di uno psicologo cristianamente orientato. Per fare bene la nostra parte nella collaborazione all’opera della Grazia di Dio occorre avere presente la totalità di queste dimensioni.
Aiuti “interni”
Ci sono poi degli aiuti interni che ognuno deve chiedere al Signore e maturare in se stesso. Si tratta di operazioni necessarie per quel viaggio verso la profondità di noi stessi finalizzato a una risposta totalizzante all’amore totale di Dio. Possono essere riassunti in tre suggerimenti.
Primo: ripercorrere con Gesù la storia soggettiva dei propri affetti. È questo un compito perenne di ogni cristiano (si pensi, all’insistenza della tradizione sull’esame di coscienza). Ciò per cooperare con l’azione dello spirito che attira a Gesù, tale azione è presente nella storia di ognuno.
Secondo: ripercorrere con gli affetti i misteri oggettivi della vita di Gesù. È la proposta che da sempre la Chiesa fa ad ogni cristiano, con l’anno liturgico e la vita sacramentale: “Abbiate in voi i medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. Lo scopo è cooperare con l’azione dello Spirito che conforma a Gesù, rendendoci persone credenti, amanti, speranti.
Terzo: vivere gli affetti soggettivi come mediazione della Grazia oggettiva. Ciò significa essere fedeli a una preghiera profonda, accolta come dono dello Spirito e centrata su Gesù; in essa il posto centrale è della Parola di Dio, che penetra fino alle profondità del cuore.
In questa direzione si supera quella che in apertura ho chiamato “ansia del tempo svuotato”, il motivo è semplice e insieme misterioso: ogni cosa, ogni evento, ogni scelta sono abitati dalla presenza stessa di Dio. Il suo amore totale e assoluto è percepito e corrisposto nei frammenti poveri e relativi di cui si compone la nostra esistenza.
Ecco, per concludere, come propone di pregare S. Ignazio di Loyola: è così che l’amore totale di Dio diventa valore totalizzante per l’uomo: “Prendi, Signore, e ricevi / ogni mia libertà / e memoria e intelligenza / ed ogni mia volontà. / Prendi e ricevi / tutto quello che ho / e che possiedo. / Il dono è tuo, / puoi disporne come vuoi. / Donami soltanto / l’amore di Te / e la Tua Grazia / e sono ricco abbastanza”.