N.02
Marzo/Aprile 1993

Avvento: itinerari vocazionali per giovani

 

La ginnastica del desiderio

Scrive sant’Agostino: “L’intera vita del fervente cristiano è un santo desiderio. Ciò che poi desideri, ancora non lo vedi, ma vivendo di sante aspirazioni ti rendi capace di essere riempito quando arriverà il tempo della visione. Se tu devi riempire un recipiente e sai che sarà molto abbondante quanto ti verrà dato, cerchi di aumentare la capacità del sacco, dell’otre o di qualsiasi altro contenitore adottato. Ampliandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo si comporta Dio. Facendoci attendere, intensifica il nostro desiderio, col desiderio dilata l’animo e, dilatandolo, lo rende più capace.

Cerchiamo, quindi, di vivere in un clima di desiderio perché dobbiamo essere riempiti. La nostra vita è una ginnastica del desiderio. Il santo desiderio sarà tanto più efficace quanto più strapperemo le radici della vanità ai nostri desideri. Ma per essere riempiti occorre svuotarsi, magari con fatica e impegno. Dio è tutto ciò che aspettiamo!” (dai “Trattati sulla prima lettera di Giovanni”). L’uomo è dunque ciò che desidera! L’Avvento è il tempo liturgico che ripropone con autorevolezza l’importanza di verificare la qualità dei desideri dell’uomo come singolo, come Chiesa, come società civile. È fondamentale proporre e sostenere una conoscenza riflessa e critica delle attese del giovane di fronte alla vita, ancora tutta da giocare. Questo consente di cogliere la freschezza degli obiettivi, nonché i vuoti e i condizionamenti che caratterizzano ciascuno e tutti. Attraverso brani biblici, scritti dei Santi, fatti di cronaca incentrati sui giovani (aumento della violenza, dei suicidi, dei delitti sui propri genitori ecc.), testi di orazione, questionari, ecc. si possono individuare le attrattive del mondo per confrontarle con la chiamata del Cristo, che non si stanca di chiamare ognuno e tutti alla Verità. Anche i membri dei gruppi giovanili delle parrocchie e delle associazioni/movimenti cattolici sentono il fascino degli idoli del mondo, che rischiano di convivere con flashes di luce evangelica e di sincero impegno per il prossimo. Il fatto di frequentare la comunità cristiana è certamente positivo, ma non è automaticamente sufficiente a garantire la sintonia del cuore con il Signore, che sta alla porta e bussa. La mediocrità e la tiepidezza, l’abitudine e il conformismo, il disimpegno o all’opposto il protagonismo non favoriscono l’accoglienza del Signore. Questi non accetta di essere posto “tra” le tante occupazioni e preoccupazioni che albergano nel cuore di un giovane: vuole il primo posto! Solo chi accetta questa sfida, può sperimentare il centuplo della gioia dei pastori e dei Magi. Chi è teso su altri obiettivi, come i potenti di Gerusalemme e come Erode, non può “accorgersi” del Signore che passa sulla strada di ognuno e tende la mano e ripete come a Zaccheo: “Oggi voglio fermarmi a casa tua”! E evidente che questa ricerca dei propri desideri non ha nulla di indagine statistica o giornalistica: è un lavoro interiore, da farsi in gruppo e personalmente, con l’aiuto del direttore spirituale e dell’animatore. Il riflettere per tempo su questa pista impedisce di arrivare “vuoti e impreparati” al Natale e consente di tentare anche qualche esperienza-controcorrente. 

Giuseppe è l’icona che meglio testimonia la duttilità del cristiano alla volontà di Dio, che è sempre imprevedibile per i calcoli dell’uomo. Dio infatti non chiama mai per tarpare le ali, ma per inserire nel suo progetto di vita e di speranza. I desideri di Dio non sono mai meschini. Al contrario rivelano le grettezze, gli egoismi, i rimandi, le paure e le immaturità di ognuno. Nell’abbandono totale e sincero a Dio, la grazia colma le nostre valli e raddrizza i nostri sentieri tortuosi. 

Lo conferma l’esempio dei Magi: il loro coraggio e la loro fiducia, fecondati dalla “stella” , sono un incoraggiamento alla ricerca vocazionale, che porta a Cristo, trovato il quale si prova “una grandissima gioia”. Per richiamare la veglia dei pastori e la stella dei Magi, potrebbe essere consegnato ai giovani in un’apposita celebrazione un cero acceso, come simbolo di ricerca vocazionale e di significato per la propria vita.

 

 

La radicalità del deserto

Afferma Giovanni Paolo II: “La fede cristiana non si identifica con la pura accoglienza di un complesso di verità né con la semplice obbedienza ai comandamenti. La sua assoluta originalità e novità sta nell’essere un incontro personale con il Signore Gesù, una comunione e condivisione di vita con Lui. Vedere il Signore, dimorare con Lui e in Lui: questa è la scelta radicale che il Vangelo propone e che costituisce il criterio e la misura della maturità del discepolo di Cristo.

In una società che sembra aver generalizzato il minimalismo delle proposte di vita, il radicalismo della proposta del Signore Gesù suona come una sfida suggestiva e tremenda ad assumere in pienezza la responsabilità di se stessi, per farsi dono totale al Padre e ai fratelli. È la sfida a poggiare le radici della propria esistenza personale e comunitaria nella salda ricchezza del dono inesauribile dello Spirito, piuttosto che nella limitatezza e precarietà dei nostri sforzi e delle nostre realizzazioni umane” (ai Vescovi italiani, 14-V-1992).

L’Avvento ripropone ai giovani l’invito del Battista a recarsi nel deserto, anzi a “fare deserto” nella propria esperienza di vita. Nell’attuale contesto, esteriore ed interiore così malato di chiasso, urge “indire un digiuno” di parole per ascoltare la Parola. Anche i grandi raduni mondiali o diocesani dei giovani cattolici devono portare ognuno a “vedere e toccare” il Signore (Gv 20,25-29), a ritrovare la moneta perduta (Lc 15,8). Anche nella pastorale giovanile, dopo l’accentuazione di varie tematiche importanti ma anche “periferiche” (metodo, linguaggio, tecniche, strumenti ecc.), occorre tornare al centro e focalizzare l’essenziale: “Gesù Cristo è il Signore”.

La confidenza con la Parola, l’assiduità alla “scuola” della liturgia, la fedeltà alla preghiera personale non si improvvisano, perché passano attraverso il coinvolgimento globale di una persona. È nel silenzio che opera il Maestro interiore. Senza il contatto prolungato e personalizzato con il Signore, nel giovane si impone una religiosità infantile, emotiva, fragile e settaria. Se non è coltivata nel silenzio orante, anche la catechesi e la pastorale giovanile restano generiche, indeterminate, vaghe, inefficaci.

Il discernimento vocazionale non può effettuarsi nella fretta e nell’agitazione, che debilitano l’anima e ne attutiscono le facoltà più sottili e più delicate. Anche la sobrietà del proprio stile di vita è finalizzato alla “povertà di spirito”, richiesta per l’incontro con Dio. L’Avvento è tempo di ecologia dello spirito, è coraggio della disciplina interiore, è fonte di energia contro la dispersione. Le “scuole della Parola”, che si vanno diffondendo in molte diocesi; la consegna del libro delle Ore per la preghiera ecclesiale; la proposta di “giornate di deserto”; la frequentazione di qualche monastero, l’incontro con qualche testimone dell’Invisibile, la rinuncia a tante distrazioni ecc. sono esperienze da tentare con i giovani in questo tempo di grazia. Non si tratta di fare “molte cose”, ma di valorizzare questo breve periodo per inculcare un punto nodale della vita cristiana e della vocazione: l’ascolto del Signore precede il fare.

Scriveva don Primo Mazzolari: “Quello che viviamo, nonostante i crolli senza confronto, è tempo di avvento, e noi dobbiamo farci un’anima d’avvento” (da “Impegno per Cristo”). L’intero arco di vita di una persona è sempre “avvento di Dio”: tanto più l’esistenza di un giovane, che vive quest’epoca di trapasso, così carica di cambiamenti e di possibilità. La preghiera, come atteggiamento di “stare in ascolto e alla presenza” di Dio, è un pilastro della costruzione di questa personalità aperta al “nuovo” e all’”inedito” di Dio, che sempre sorprende e meraviglia, come ricorda il Magnificat o le profezie di Isaia. Maria è l’icona stupenda di questo richiamo all’ascolto umile, caldo e vivo della Parola. Anche per Lei, come in genere per ogni vocazione, non tutto è stato chiaro fin dall’inizio: ha dovuto percorrere una “peregrinazione nella fede”. Solo il silenzio orante irrobustisce contro il dubbio, la tentazione, la disistima, lo scoraggiamento per la consapevolezza della separazione tra la propria indegnità e la missione ricevuta. Per educare i giovani all’orazione come atteggiamento permanente di vita, ho trovato utile i quattro volumetti di padre Gasparino “Maestro insegnaci a pregare” (ed. Centro Contemplativo Missionario, Cuneo).

 

 

Alla scuola dei poveri

Scriveva don Primo Mazzolari: “Non basta constatare i fallimenti clamorosi di quelle ideologie che si oppongono al cristianesimo e che pretendono di prenderne il posto. Invece di dimostrare che i surrogati tengono, lavoro di cui si incarica lodevolmente il tempo, urge provare con la vita che noi siamo vivi e che la nostra vita può dire la parola liberatrice che il nostro tempo domanda. La Chiesa custodisce la Parola ed ha anche il compito di proporla: ma lo ‘slancio’ della Parola, la ‘ricerca’ della sua opportunità e il suo ‘esperimento’ rischioso sono affidati ad ogni cristiano. ‘Essere cristiano’ non è un titolo nobiliare. Il cristiano che vuol fare il suo mestiere, non è un tipo ragguardevole o presentabile. Se non ci sono dei cristiani, hanno ben scarso valore le nostre affermazioni sulla perennità del Vangelo. Non abbiamo più santi che ci vengono dalle grandi responsabilità sociali. E questa è una delle nostre più dolorose povertà, in un momento in cui urge una testimonianza cristiana sulle strade. C’è bisogno di una spiritualità con un volto più conforme al volto di Cristo e con un impegno più saldo e reale” (da “Impegno per Cristo”).

La terza pista vocazionale per i giovani in Avvento è quella relativa ai poveri. Un rapporto esistenziale, reale, frequente: non “discutere” sui poveri, non grandi progetti ideologici sulla società, non l’indifferenza che fa chiudere nel proprio egoismo. Tra i “segni” rivelatori di una vocazione figurano certamente i talenti ricevuti dal Signore, le sue intuizioni interiori, i consigli del confessore, le situazioni della vita, ma anche le urgenze della storia e della Chiesa. Molti Santi raccontano di essere stati provocati a certe scelte determinanti per la loro vita proprio da quanto hanno visto e toccato con mano. Il povero è una modalità di presenza di Dio oggi nel mondo. Ecco perché il contatto vero (non da padroni o da assistenzialismo) con i poveri provoca, rimette in discussione tante false certezze, rivela le proprie povertà personali, rende più attenti all’ascolto, stimola ad aprirsi e a condividere. Non si tratta di fare la “buona azione perché è Natale”, ma di prendere coscienza del mistero celebrato: il Figlio di Dio che si fa “servo”, si sporca le mani nella pasta del mondo, diventa uno degli uomini rifiutati, profughi, bisognosi. Non si può essere cristiani e non fare altrettanto. Ogni catechesi e pastorale giovanile devono promuovere una “cultura della vocazione”, come afferma il Papa nel messaggio per la XXX Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni. “La vita è dono, sostiene il Pontefice, totalmente gratuito e non esiste altro modo per vivere degno dell’uomo, al di fuori della prospettiva del dono di sé. La vocazione nasce dall’amore e porta all’amore, perché l’uomo non può vivere senza amore. Questa cultura della vocazione è alla base della cultura della vita nuova, che è vita di gratitudine e di gratuità, di fiducia e di responsabilità. Il desiderio di Dio dà la grazia di apprezzare l’uomo per se stesso e di rivendicarne incessantemente la dignità di fronte a tutto ciò che può opprimerlo nel corpo e nello spirito” (Osservatore Romano, 16-XII-1992).

Cosa sarebbe il mondo, così oppresso e sbandato, senza il prezioso apporto di tante e tanti consacrati? Gesù è stato accolto dai poveri, quando è nato a Betlemme: questo è un metodo insopprimibile e permanente. Solo chi ha il “cuore di povero” può avvicinarsi al Signore veramente. La forma più grande di volontariato è quella di donare l’intera esistenza al servizio del Regno e dei fratelli più deboli. La povertà ha molteplici sfaccettature: economica, affettiva, morale, spirituale… La verginità equivale al credere che Dio è sufficiente a riempire il proprio cuore e a purificarlo per aprirlo agli altri.

Questo conduce gradualmente ad andare controcorrente: sobrietà di vita, superamento del primato dell’apparenza, disponibilità al servizio, assunzione di responsabilità, rifiuto della delega, apertura alla cooperazione, stabilita nella prestazione, revisione. I pastori costituiscono una buona “icona”, come pure i trent’anni di quotidianità trascorsi a Nazaret. Anche Giuseppe, che guida la sua famiglia sulla via dell’esilio in Egitto, è assai stimolante. In Avvento dunque si può chiedere ai giovani di interrogarsi sul servizio e sull’attenzione missionaria ai loro coetanei. Il dono di una conchiglia, da cui è stata tolta l’ostrica, può rivelare chiaramente la chiamata alla donazione totale di sé.

Lo spazio a disposizione è finito. Ma altre piste possono essere battute in Avvento. Ad es. la “pazienza della crescita” (il tempo della “gestazione” vocazionale, senza bruciare le tappe, col “silenzio stesso di Dio” che tempra il discepolo); così pure, l’“appartenenza al popolo” (la vocazione non come semplice realizzazione di sé, ma condivisione delle attese vere di un popolo nuovo, la Chiesa); il passaggio da “ciò che sono” al “ciò che potrei essere per grazia di Dio” (il germoglio dal tronco di Iesse) ecc.