Riti, appartenenza e scelte nell’esperienza giovanile contemporanea
Chi oggi si interroga sui riti privilegiati dai nostri giovani e dalla nostra cultura “schizofrenica” e “spersonalizzata” resta senza risposte e deve forse rendersi conto che la domanda è “di troppo”. Non si sa più riconoscere né il valore gratificante di un rito nella sua efficacia di consolidamento di valori e di ideali come era in passato, né si riesce a riconoscere la stessa espressione rituale in quanto tale, che appare corrotta e ridotta a forme di “ritrovamento collettivo” non giustificato e non giustificabile, in quanto tutto nasce da pure forme casuali, in cui l’unico elemento ancora tematizzabile, quello ludico resta a livello formale, senza contenuti, senza scopi, senza progetti. Eppure anche queste nuove ritualità, per quanto asettiche e irrazionali, sono in qualche modo complici di un modo di vivere e costituiscono l’ermeneutica della propria esperienza di senso o di non senso.
Riti giovanili odierni
Voglio proporre a volo d’uccello un breve ventaglio della ritualità d’oggi nelle sue manifestazioni più bizzarre e pur tuttavia di nuovo significative e interessanti per chi si occupa dei problemi giovanili connessi al mondo religioso. Di certo, leggere sul quadrante della nostra società giovanile contemporanea è difficile, ma non impossibile.
Tenendo conto di un ventaglio ampio di “ritualità” distinguerei un primo modo rituale “informale”, “senza atmosfera” e “senza anima” che sconfina con il rifiuto degli schemi sociali e il tentativo di forme nuove: i giovanissimi ne sanno qualche cosa nei loro incontri “rituali” vissuti con un grande senso di noia, con scarsissimo senso di socialità e con uno strano desiderio di “distruttività” che sconfina con l’insensato o con un senso di abulia parossistica, in cui la vita non vale più di un hamburger e di un bicchiere di coca-cola. Non ci sono progetti e non ci sono idee aggreganti. Tutto si riduce a fumare insieme la prima sigaretta, bere il primo whisky o ascoltare l’ultima cassetta dei Litfiba.
Non è poi infrequente il caso di adolescenti che si chiudono sempre più in ritualità private dove l’unico interlocutore diventa il proprio motoscooter, il cassetterecorder o, peggio, il computer con i videogiochi. Anche queste ritualità sono sempre più diffuse, ma non durano fortunatamente a lungo; se continuano nel tempo, portano a degli squilibri difficilmente sanabili.
Un secondo modo non dissimile, ma tuttavia alquanto più organizzato è quello degli adolescenti ‘maggiori’ che hanno imparato ad andare in discoteca, che sanno passare ore e ore in locali assordanti, con musiche ritmiche e luci psichedeliche, sorrisi ammiccanti, sguardi vuoti e movimenti allusivi del corpo in cerca delle prime sensazioni forti.
L’estasi può fare da stimolo, da eccitante, da driving in un contesto in cui non ci sono altri scopi da raggiungere se non un momento di rave (=delirio), di rapimento dei sensi. Le notti del sabato sera sono le notti più rituali, più vissute, più amate, ma anche quelle che lasciano poi un amaro in bocca, una mancanza di ossigeno, gettando spesso in uno stato di ‘coma’ in cui la cosa più importante è dimenticare se stessi e il mondo circostante.
Ci sono, poi, ancora oggi dei “riti di passaggio” più significativi, più comunitari a cui si presta una grande cornice coreografica. Consistono nelle forme celebrative esterne, fatte dalle feste di compleanno, da piccole performance teatrali, dalla formazione e appartenenza a gruppi sportivi, che si moltiplicano ogni giorno di più, gruppi di studio, partecipazione a spettacoli, happenings, concerti e altro ancora. Intorno a questi riti si forma la vita di contatto sociale, si stringono vere amicizie, solidarietà, ma anche gelosie, spirito di competizione. Questi riti di seconda generazione, già a mezza strada tra i riti classici religiosi delle generazioni passate e forme nuove di ricorrenze e di incontro sono gli unici che danno una certa maturazione, abituano a un comportamento responsabile nei confronti degli altri e avviano in qualche modo alla vita adulta. Sono ritualità di appartenenza a un gruppo, a un contesto sociale a cui indirettamente si aderisce. Spesso questi ‘riti’ di incontro agiscono profondamente creando “identità di copia”. Si arriva ad adottare forme analoghe di vestire, un modo di parlare che impiega gli stessi vocaboli o addirittura le stesse inflessioni della voce, si coltivano gli stessi interessi e si manifestano le stesse antipatie.
In questo contesto, un ruolo importante è sempre legato alla famiglia che orienta, anche se non determina un tipo di appartenenza, che sollecita e induce a certi incontri, amicizie creando ritualità che siano protettive di un dato orientamento di senso. Il resto è in balia del caso, dei primi interessi dell’adolescente e della sua maggiore o minore auto-consapevolezza.
Liturgie cristiane: debolezza e forza
Come si vede dal contesto, lo stesso uso che occorre fare di “rito” è vago, incerto, non connesso a quella ritualità classica che consisteva nell’accostarsi a un mondo “religioso”, fatto di ideali da comunicare, partecipare, vivere in solidarietà attraverso simboli riconosciuti e comportamenti tramandati dalla tradizione. Il mondo dei riti si è fatto più fragile, i riti si sono secolarizzati e di più non è più la ritualità che forgia il carattere delle persone, ma sono gli individui che compiono riti “irrazionali e spontaneisti”, ciascuno facendo da protagonista del suo piccolo mondo.
In un contesto simile, così frantumato e sconnesso, è pressoché impossibile fare un confronto con le “liturgie religiose” e con il senso di “pienezza” e di “orientamento di significato” che offrono i riti religiosi. Le possibilità del mondo rituale religioso e liturgico sono immense, ma restano possibilità sempre più occultate, nascoste, rifiutate. Si può dire soltanto quello che “potrebbe essere” una liturgia improntata ai grandi simboli cristiani, non si può dire quello che essa significa per i giovani, poiché questo appare troppo remoto. C’è una distanza incolmabile tra i “segni liturgici” e la possibilità attuale di ricezione. Di mezzo ci sono tutte le formalità che i secoli hanno via via fatto sedimentare sull’alveo vivo del vissuto liturgico e quelle formalità e quegli stereotipi creano oggi un’incomunicabilità insuperabile, che va a congiungersi con gli altri stereotipi opposti prodotti dall’irrazionale del mondo giovanile.
Poiché la vita liturgica è nata come espressione di una fede e di un vissuto, ha bisogno di ritrovare quell’humus per poter di nuovo manifestare la sua vitalità. Ma questo “supplemento di spirito” non può venire dall’esterno attraverso ritocchi del rituale, ma attraverso una sensibilità nuova dove si esprima soprattutto la presenza dello Spirito e la parresìa del Signore.
Oggi l’identità dei giovani, la loro reciproca appartenenza deve essere un requisito previo alla liturgia cristiana. Occorre ricreare le condizioni che permettono di “celebrare”, di “far festa comunitariamente”, di “cantare” insieme. Sono queste dimensioni umane prima che cristiane che sono carenti e fanno difetto. Fondamentalmente aveva ragione Durkheim quando affermava che i riti sono per se stessi aggregativi e servono a una comunità per vivere un momento di solidarietà e di esultanza esperienziale collettiva. Ma quando manca il momento di coesione, ogni rito diventa quasi impotente o serve soltanto a scaricare la propria aggressività (R. Girard). La controprova di questa tesi viene offerta dalla constatazione che là dove esistono “gruppi di preghiera”, “gruppi di solidarietà umana”, gruppi di adolescenti che condividono un’esperienza forte e dove si può in qualche modo cantare quasi all’unisono, là la liturgia può ancora essere fonte della vita in tutto il suo fluire umano e cristiano, dove invece ciascuno vive nel suo solipsismo, individualismo non si riesce a comunicare neppure a livello rituale-liturgico.
Le celebrazioni liturgiche, quando sono vissute veramente, sono perciò un risultato di altissimo livello e vanno incoraggiate e promosse in tutti i modi. Occorre però tener presente – perché il vuoto non arrivi anche a quel livello – che oggi per i giovani esse vanno più considerate una “fonte” della vita della Chiesa, nel senso che alimentano il vivere cristiano in maniera piena e feconda, ma non vanno considerate un’“origine”, in quanto il terreno è sempre più arido e il deserto rischia di espandersi. Le ritualità laiche e i riti privati ne sono una documentazione e una conferma.
L’alternativa per la vita della Chiesa è forse quella di creare un vero catecumenato, un vero tempo di preparazione “liminale” perché l’esperienza cristiana ritorni ad essere efficace a livello umano, prima di pretendere di costituirsi nel suo spessore profondamente cristiano.