La vita consacrata nella pastorale vocazionale della chiesa particolare
In un sondaggio promosso di recente dalla diocesi di Bergamo, la vita consacrata appare agli occhi della maggior parte della gente in una situazione di emergenza e poco rispondente alle nuove “sfide” che salgono dai cambiamenti socioculturali ed ecclesiali del mondo contemporaneo. Tanti genitori sono perplessi di fronte alla possibilità di un proprio figlio o figlia di fare una scelta di consacrazione.
Anche tra i giovani, tendenzialmente portati agli ideali, sembra che il benessere e il consumismo abbiano tarpato le ali dei loro sogni. E i più sensibili ai valori come la giustizia, la non violenza, la pace, l’amicizia, la solidarietà e che si impegnano in movimenti caritativi, sociali e assistenziali, sembrano ispirati più alla gratificazione che alla gratuità.
C’è poi la convinzione sempre più diffusa che il sacerdote trascuri la pastorale delle vocazioni di speciale consacrazione, soprattutto femminile. La sente, purtroppo, come un compito marginale del suo ministero. E quando il ministero domanda loro di fare i conti con questo modo “evangelico” di vivere la vita, lo annunciano in modo generico.
Nelle nostre comunità cristiane c’è la paura di esporre un giovane o una ragazza a un’esperienza non solo faticosa ma irrisolta, senza una pienezza. E non pochi pastori ritengono migliore la decisione di trattenerli in comunità con il rischio di strumentalizzarli alle proprie attività parrocchiali.
Eppure ci sono ancora giovani che desiderano essere aiutati a capire e a decidere per questo progetto di vita. Chiedono di essere guidati a interpretare il proprio vissuto alla luce della fede e del vangelo.
Una pastorale vocazionalmente qualificata
La nostra pastorale parrocchiale vive una specie di sociologismo ecclesiale, molto preoccupato delle cose da fare e dei servizi da prestare, ma con difficoltà aperto ad una visione adulta della vita cristiana. Pare proprio che la questione organizzativa-efficientista travolga sacerdoti, religiosi e laici. Eppure la vita cristiana si gioca nella qualità, mancando la quale il Mistero non si comunica, si soffoca, si dissipa.
La via per recuperare la qualità della comunità cristiana è sicuramente quella vocazionale in quanto solo in questo contesto la persona scopre sempre più se stessa nella vita di comunità. Ma per far ciò è necessaria un’intelligenza delle vocazioni e dei carismi.
Il compito educativo della comunità è, allora, di evitare di collocare le persone nei “compiti” prestabiliti secondo programmi già pre-costituiti, ma lasciare ampi spazi alla novità, alle scoperte, alla creatività dello Spirito che opera in ogni vita.
La valorizzazione della dimensione vocazionale conduce alla ricerca dell’approfondimento e dello sviluppo di ogni vocazione cristiana, ma con particolare riferimento alle vocazioni di speciale consacrazione. Le vocazioni consacrate testimoniano l’universale vocazione alla santità, sotto l’efficace scandalo della rinuncia ai beni della terra, all’affettività materiale, alla gestione autonoma della libertà nelle scelte concrete, e affidano al Signore tutta l’efficacia e la significatività della vita.
La qualità dei percorsi formativi
Per una vera educazione cristiana alla fede adulta diventa sempre più impellente la necessità di introdurre “progetti formativi” attraverso “un cammino secondo gli eventi”, cioè valorizzando gli stimoli e gli interrogativi che la vita volta per volta propone, non evitando questioni che oggi appaiono più problematiche.
Occorre, inoltre, osare una proposta chiara non solo del messaggio, ma dell’esperienza cristiana, attraverso l’offerta di “esperienze forti”, in se stesse significative e provocanti, capaci di suggerire orizzonti nuovi e – attraverso un confronto-giudizio – di relativizzare gli stessi aspetti positivi insiti nei bisogni-desideri con cui il giovane si è accostato ad altre esperienze.
L’attenzione va particolarmente su due momenti di fronte ai quali le nostre comunità spesso si interrompono o trovano difficoltà. Il momento dell’adolescenza che secondo una diffusa mentalità si tratta di un’età ingrata, di crisi, di patologia, di emarginazione, per cui la comunità educante preferisce saltarla, aspettando l’adolescente all’ingresso dell’età giovanile. È invece un momento cruciale della vita umana intesa come continuo passaggio, scoperta e avventura.
C’è, poi, il momento del passaggio del giovane alla vita adulta che spesso viene demandato dal giovane stesso in quanto comporta una scelta di vita difficile da compiere e che le nostre comunità non sempre accompagnano e talvolta dimenticano.
A Bergamo
Nella realtà della diocesi di Bergamo, non mancano occasioni per vivere cammini di fede per un più attento discernimento vocazionale. Per le ragazze, i diversi Istituti stanno attuando differenti cammini in questo senso con preadolescenti (che vede una presenza numerosissima di 500-600 ragazze), adolescenti (circa 250) e giovani (150).
Gli Istituti femminili, una cinquantina circa, sono particolarmente attenti a far maturare soprattutto nelle giovani e nelle adolescenti la consapevolezza del proprio essere, come realtà che si realizza solo nell’apertura a Dio e agli altri nella gratuità e nel servizio.
Le modalità di questi percorsi educativi variano da Istituto ad Istituto. Oltre infatti a regolari incontri mensili, ci sono cammini intercongregazionali (esperienza questa più facile per gli Istituti più piccoli) o scelte che rimandano alla parrocchia o al territorio come luoghi privilegiati di percorsi di fede e di discernimento.
Quest’anno le animatrici vocazionali hanno tentato un’esperienza più unitaria nei contenuti, almeno per quel che riguarda la fascia delle giovani (dai 18 anni in su). Il progetto, diviso in tre tappe, prevedeva un cammino di conoscenza di sé per inserirsi all’interno della realtà più vasta che interpella le proprie potenzialità e chiede di dare un senso profondo e ultimo ai gesti di carità che siamo chiamati a porre.
In tutto questo, le animatrici sono interpellate innanzitutto ad educare alla fede, dato che il contesto attuale non aiuta a porre delle solide basi al credere, soprattutto nei giovani. Dentro questo cammino, le prime a doversi rivedere sono proprio le animatrici vocazionali, alle quali sono richieste trasparenza, maturità, originalità e scelte alternative.
È dunque un continuo educarsi per educare, nella consapevolezza di lasciare a Dio che chiama tutta la libertà di stravolgere i nostri progetti ed aprire le nostre prospettive.