Lasciate che i fanciulli vengano a me…
La vocazione non è cosa da bambini? Eppure tutti gli adulti che hanno sentito e seguito una vocazione sono stati bambini. E molti, se non tutti, potrebbero raccontare più di un particolare che mette in evidenza una continuità, un mistero che si andava delicatamente definendo, svelando.
Quante vocazioni si sono spente proprio per la mancanza di condizioni idonee nell’infanzia in relazione a Gesù, alla comunità, a esperienze di valore umano e cristiano, vocazionale.
Bambini e vocazioni nella Bibbia
La Bibbia offre molti testi dove è narrato un piano di Dio per il bambino che nasce e cresce verso una missione. Racconti dell’infanzia di personaggi che Dio fin da bambini elegge e prepara per precise missioni nel suo popolo.
La stessa nascita di Adamo è una meravigliosa vocazione-missione che nell’infanzia della umanità esce dal mistero trinitario. Dio la pensa, la ama, la vuole e la accompagna, anche attraverso una realtà di tragedia, ben presto ricomposta nelle linee della promessa, poi dell’infanzia e della crescita di un popolo.
Il bambino Mosè è salvato per una benedizione e una vocazione che si snoderanno progressivamente nella vita guidata dal Signore per la missione.
La vocazione del fanciullo Samuele introduce elementi teologici e quasi pedagogici di bella novità. Tocco delicato è l’azione della madre che traccia un circolo di dono, chiesto, ricevuto, ridonato, poi di azione educativa, prima diretta e poi discreta, ma continua. L’infanzia di Samuele viene spesso proposta alle meditazioni vocazionali (1 Sam 1-3). Deve considerare teologicamente il senso di tutta la sua avventura spirituale vocazionale e missionaria.
Il bambino che Dio chiama e invia non nasce a caso, ma dentro un preciso ambiente spirituale che Dio già considera e ama attraverso di lui. “A quel tempo era rara la parola di Dio e le visioni non erano frequenti” (1 Sam 3,2). Eli, il sacerdote, è “stanco e cieco”, invecchiato e pesante, incapace di svolgere i compiti di guida del popolo di Dio. I figli lo seguono non idonei.
Il disegno di Dio si incrocia con la preghiera impetrante, piena di amarezza e di fede, di una madre, Anna. Non chiede il bambino egoisticamente per sé, ma per completare lo stupendo circolo della propria maternità, accogliendolo come “dono” gratuito di Dio, restituendolo a sua volta come “dono” gratuito al Signore (Sam 1,11). In questo spirito Anna inizia la formazione del bambino in Rama, cedendolo poi al Signore per tutto il tempo che vivrà, per il servizio del tabernacolo (1,27).
Tocchi stupendi: il bambino può “crescere in statura e in bontà davanti al Signore e agli uomini” perché Eli lo segue con cura mentre presta servizio al Signore, e i genitori lo visitano ogni anno (1 Sam 2,19), quasi per riconfermargli in maniera crescente l’esperienza oblativa della sua vita.
Nel tempio Samuele sente la voce del Signore che lo chiama e lo prepara e dona profeta e giudice al suo popolo Israele. Diventa profeta del Signore. Proprio perché Samuele è stato chiamato fin da bambino, non può avere nessun moto di fuga iniziale, di resistenza, di difficoltà. È bambino di fronte alla Parola del Signore da cui si sa chiamato. Come fanciullo disponibile inizia una storia di obbedienza e di ascolto con piena freschezza di cuore. Cresce l’età e insieme cresce il germe della parola e dell’annuncio del Signore. Meditandoli diventa la coscienza esperta dei piani di Dio sul suo popolo, viene educato per la missione profetica.
Anche la storia di Geremia è significativa. La sua narrazione contiene due elementi teologici vocazionali di grande novità: l’elezione divina nella eternità, prima della formazione nel seno materno, e la realizzazione nel tempo mediante una chiamata diretta.
La vocazione è definita una conoscenza (elezione) che Dio ha di lui e una consacrazione (riserva per una missione), che datano già da prima della formazione nel grembo materno. La vocazione è nella radice della vita. Non è un episodio, né un cambiamento, ma una costruzione curata fin dagli inizi. Geremia è l’uomo che porta dentro la Parola di Dio, bruciante fino nel midollo delle ossa (20,9). “Prima di formarti nel grembo materno, io ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, io ti conoscevo; ti ho stabilito profeta per i pagani” (Ger 1,4-10).
La conoscenza stabilisce un rapporto che coinvolge due esseri (colui che conosce e colui che è costituito) in una totale intimità. Quello che ne viene per ambedue è quasi un “nascere insieme”, la generazione di una nuova identità per ambedue i protagonisti: l’identità di un “noi” amorevole, un sigillo di Dio sull’uomo che resta “consacrato” (separato, isolato, santo) per la missione. Dio è l’unico padrone di ogni uomo e della sua vita, fin dal primo momento della sua esistenza (cfr. Gb 10,8-12; Sal 22,10-11; 71,6; 139,13 ss).
L’Ecclesiastico ne trarrà rimprovero per chi ha maltrattato un profeta, consacrato già fin dal seno materno (49,9). Lo stesso profeta in un momento di sconforto quasi rimprovererà Dio di avergli fatto questo.
Proprio il nascere sotto l’azione innovatrice è il principio e il segno della novità che sarà nel chiamato e dal chiamato per tutti. Può e deve essere motivo di fiduciosa preghiera perché l’assistenza e l’amore si prolunghino (Sal 22,10-11), motivo di lode (Sal 139, 15-16). Porta il chiamato a contemplare se stesso al di là di se stesso. “Dio mio creatore e mio salvatore”.
Anche Giovanni Battista è pieno di Spirito Santo fin dal grembo della madre (Lc 1,15). Nel racconto del Vangelo la vocazione di Giovanni subisce una dilatazione temporale e spirituale che ne riporta gli inizi nel seno della madre. La vocazione è già interamente presente dalla nascita (Lc 1,77). La grazia che chiama precede la realtà del suo sviluppo nella vita, nelle opere. “Giovanni sarà il suo nome… E tu bambino sarai chiamato profeta dell’altissimo… Che sarà di questo bambino? … Il bambino cresceva…”.
Unica è la teologia della vocazione del bambino Gesù. La sua elezione è amore divino insondabile che giunge dalla profondità dei secoli (Rm 11,33-35). Parte dalla eternità e scende lungo le vicende della promessa e dell’alleanza, fino alla sua nascita da donna, quando sboccia perfettamente umana e evolutiva nel corpo e nello spirito materno di Maria. Percorre vicende e forme di infanzia e fanciullezza, fino al momento discriminante dei 12 anni che segna l’accesso all’età di vocazione adolescente segnata da nuova consapevolezza sua e di chi gli sta attorno e l’accompagnava.
Anche Paolo è stato “segregato fin dal grembo materno” (Gal 1,15), con fedeltà d’infanzia e di giovinezza, anche se la chiarificazione vocazionale piena è stata molto elaborata e contorta, fino alla chiamata piena e chiara per la missione sulla via di Damasco.
Il lungo cammino del bambino nella Bibbia
Il bambino è del Signore e per il Signore, soprattutto il primogenito. Da un bambino sorgerà la salvezza di Israele. Anche Israele fu fanciullo e come tale Dio lo elesse, lo prese, lo educò, lo fece crescere. “Quando Israele era fanciullo, io l’amavo” (Os 11,1; cfr. Ger 31,20).
Dio ama e benedice il suo popolo e il segno è che lo rende fecondo di bambini (cfr. Pr 17,6; Sal 1228,3). I bambini sono dono di Dio, segno di benedizione (Sal 127,3-5). Però la loro importanza resta chiusa solo nei contesti di vantaggi per l’Alleanza, la terra e la Torah, con un comandamento apposito per loro d’ubbidienza e onore al padre e alla madre. Per il resto erano piuttosto ufficialmente insignificanti. Sarebbero cresciuti. Samuele e pochi altri costituiscono l’eccezione.
Il bambino è fragile e incompiuto. Domanda difesa, cura, educazione. Il Vangelo di Gesù, con racconti, dottrina e gesti, si discosta dalla tradizione e apre nuovi orizzonti.
Nella Bibbia sono presentati vecchi che sanno capire il potenziale spirituale dell’infanzia perché ancora pieni di speranza, di vita, di giovinezza spirituale. Abramo e Sara, Anna madre di Samuele, accolgono o chiedono a Dio bambini da offrire a lui, da educare per lui, davanti a lui, per lui e il suo popolo, e li sanno accogliere e riconoscere come vocazioni e missioni.
Attorno a Gesù, Zaccaria e Elisabetta, Simeone e Anna la profetessa sono già capaci di accogliere il “Dio bambino” voluto da Dio e da loro atteso, riconosciuto, interpretato e capito con futura missione di illuminazione, luce e gloria del popolo, redenzione. Lo esprimono chiaramente i cantici di Zaccaria, di Simeone e Anna, di Maria la madre del Signore. È la concezione vocazionale della infanzia che viene come dono da Dio per un progetto. di Dio.
Gesù continua e corona questa lettura teologica del bambino. Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse. I discepoli, legati alla tradizione, sgridavano i presentatori e volevano cacciare i bambini. Gesù al vedere questo si indignò e aprì il pensiero nuovo. Disse loro:
“Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno dei cieli… E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva” (Mc 10,13-16).
La scena è chiara. Adulti, padri, fratelli, madri… presentano a Gesù i loro bambini, come usavano fare chiedendo per essi la benedizione a qualche famoso profeta, per ottenere per loro un futuro di osservanza e virtù israelitica. Già il farglieli accarezzare era una novità, quasi intuendo un legame presto stabilito tra il messaggio di Gesù e la loro tenera infanzia piena di domanda, di bisogni, di attesa. Gesù va oltre, li prende tra le braccia, pone le mani sopra di loro, li benedice.
Passa all’insegnamento. “A chi è come loro appartiene il Regno di Dio”. A loro e a chi resta o torna come loro appartiene la capacità di instaurare il rapporto personalissimo che fa di Lui il centro affettivo e vitale della propria persona, vita, sequela, vocazione, missione. Accorrere a lui, fidarsi e affidarsi a lui, con dedizione assoluta, è la premessa per rispondere alle sue chiamate e aderirvi.
Poi Gesù passa alla metafora: risponderà alle chiamate di Dio (per prima cosa a diventare discepoli) solo chi è pronto ad accogliere il Regno come i bambini accolgono i doni fatti loro.
Gli insegnamenti
– Il mistero della vocazione nasce nascosto nel segreto di Dio. “Fino dal seno di tua madre io ti conoscevo, ti ho chiamato…”. Quelli che poi chiama, Dio li ha già eletti e segnati fin dal seno della madre. Dal mistero della elezione di Dio si passa ai condizionamenti, ai compiti attuatori educativi degli adulti, Chiesa compresa.
– “Lasciate che i fanciulli vengano a me. Non glielo impedite”. Ogni impedimento di Gesù si traduce in spegnimento radicale di ogni possibilità vocazionale: lontananza dalla esperienza di Gesù, assenza di fede, di esemplarità, di educazione cristiana, di proposta, di apertura. È impedimento vocazionale l’egoismo che diseduca il bambino entro prospettive meschine di conoscenza, di amore, di disponibilità. Gesù stimmatizza il caso dello scandalo dei bambini. “Meglio sarebbe per lui…”. Oggi quante vocazioni di bambini sono presto distrutte dallo scandalo del materialismo, della immoralità, della mediocrità, della carica di pregiudizi sulle vocazioni. Quante stragi degli innocenti, fisiche e morali, quante perdite vocazionali, quante vite sprecate, banalizzate.
– I discepoli li impedivano, li allontanavano. È il gesto del pregiudizio: i bambini non capiscono niente, non sono capaci di niente. La convinzione di Gesù. “Lasciate che i bambini vengano a me”. Li benediceva. Vediamo ripetuto il significato antico della offerta dei primogeniti, e quello nuovo della presentazione di Gesù stesso al tempio.
– La potenzialità biblico-teologica vocazionale dell’età della fanciullezza. “I vangeli privilegiano i bambini facendoli assurgere a simboli degli autentici discepoli per la loro disponibilità riguardo alle proposte divine” (Mc 10,15; Mt 18,3-4; 19,14). A Nicodemo: nascere di nuovo, ritornare come bambini. Infanzia uguale “novità del cuore”, prontezza all’ascolto, ammirazione profonda, adesione di sequela e di esecuzione fedele e fiduciosa.
– Un’età non capace di grosse scelte vocazionali, rivela che Dio è già all’opera. Presenta un notevole potenziale vocazionale da educare attraverso sviluppi umani e cristiani, verso livelli e mete che solo Dio conosce.