La comunità parrocchiale educa alla gratuità:alcuni itinerari educativi
Per queste brevi annotazioni sull’insostituibile ruolo che una Comunità Parrocchiale deve esercitare nell’educarsi educando alla gratuità, parto da una significativa citazione dall’ultimo “Direttorio e Calendario Liturgico” dell’Emilia Romagna. Introducendo il tema del “Celebrare nella gioia il Giorno del Signore” i Vescovi dicono: “La domenica… è giorno della carità: lo spirito di fraternità della celebrazione comunitaria stimola il senso di servizio ai più infelici, ai poveri e ai malati, e invia i discepoli ad annunciare il Vangelo a chi ancora non lo conosce” (p. 6).
Questo è il presupposto teologico e quindi fondamentale di ogni impegno “missionario”.
Anche l’educazione alla gratuità deve partire da una “coscienza domenicale” perché è all’altare che la Comunità Parrocchiale nasce, cresce ed è dall’altare che prendono indirizzo i suoi passi verso l’uomo.
Per non correre il rischio di restare su posizioni di insignificanza o di adattarsi nella proposizione di messaggi non recepibili per linguaggio e contenuti, la pastorale parrocchiale deve darsi degli itinerari che da una parte valorizzino il potenziale di grazia, di doni, di ministeri di cui ogni comunità è arricchita dal Signore (1Cor 12) e dall’altra corrispondano alle esigenze antiche e nuove che affiorano continuamente nel cuore dell’uomo. Pur nella loro diversa composizione ed esplicazione questi itinerari devono ritrovarsi nel compito fondamentale del far crescere la capacità di dono che una fede autentica esige.
La Parrocchia non è un soggetto astratto ma è fatta di volti, di ambienti, di storie, di bisogni e di gesti ben noti, è formata da un complesso in cui, come dice la Lumen Gentium: “l’elemento umano e l’elemento divino formano una sola complessa realtà” (n. 8). Da ciò l’attivazione di forme di coinvolgimento della vita in cui l’aspetto umano sia alimentato continuamente dalla grazia del Signore. Così vocazione e gratuità diventano pressoché sinonimi.
Vediamo alcuni aspetti di questa correlazione.
Il prete: testimone di gratuità
Facendo esame di coscienza e dovendo partire da dati concreti che in parrocchia stiamo tentando di vivere, vedo che la “gratuità” esige di essere testimoniata senza mezze misure o forzati adattamenti da chi nella Comunità ha il primo compito dell’Annuncio, della Celebrazione Eucaristica e della Riconciliazione.
Per fortuna la nostra gente è molto esigente su questo aspetto e se un sacerdote parroco vuol rimanere ad essa unita in maniera non formale o semplicemente giuridica, deve essere disinteressato e capace di gesti di una trasparenza “disumana”.
Finché noi sacerdoti non ci scrolleremo di dosso la figura del funzionario sì da non poter essere più descritti con categorie professionali proprie di ogni mestiere, saremo proprio noi ad annullare ogni forza incisiva alla “gratuità” vissuta, come deve essere, in gioiosa totale oblatività.
Ciò chiede che il parroco sia identico quando è all’altare e quando è in famiglia, quando battezza e quando scherza con gli amici, quando accoglie e quando evangelizza. La gratuità è il punto forza che lo fa vivere insieme alla sua comunità di cui deve essere l’espressione più genuina. Non sono psicologo a tal punto da essere capace di costruire delle tipologie sugli ideali di vita che deve incarnare un parroco ma, se se ne può scegliere preferenzialmente una che tutte le sintetizzi al positivo, credo sia proprio quella della gratuità. Essa, infatti, assomma in sé tantissime altre potenzialità sino a poter dire che la gratuità è, come l’amore di Dio, inesauribile.
L’applicazione concreta alla situazione se si è convinti di questo asserto diventa …un gioco da ragazzi! L’importante è esserne convinti pienamente. E qui sta la forza di convincimento anche per gli altri.
La famiglia: condizione essenziale alla gratuità
Sta diventando, anche se in notevole ritardo, pressoché scontato il ricorso alla famiglia per la validità di un progetto pastorale che voglia vivere in profondità l’impegno della “nuova evangelizzazione”. Ma mandando per adeguati approfondimenti alla ricca serie di testi sulla famiglia – non ultimo quello per la “Giornata della pace 1994” – penso che la forza più coinvolgente che una famiglia possa adottare come metodo di crescita educativa capace di reggere all’urto della mentalità corrente sia proprio la “gratuità”. Senza sottovalutare il collegamento che la famiglia deve avere con la scuola, con le istituzioni civili e politiche che richiedono grande disponibilità, anche solo relativamente al rapporto con la Comunità Parrocchiale, la gratuità deve essere vissuta in modo che la famiglia e la parrocchia abbiano o tendano allo stesso stile, abbiano lo stesso cuore. E ciò sia nelle classiche occasioni quali Battesimi, Prime Comunioni, Cresime, Matrimoni ecc., ma soprattutto nella collaborazione catechistica, liturgica, caritativa, culturale. Quando la Famiglia e la Parrocchia vivono la dimensione della gratuità come un vero valore, il discorso educativo non si ferma solo alla crescita di responsabilità nelle giovani generazioni, ma si veste di grande importanza anche per la formazione permanente degli adulti. Da questo punto di vista è la famiglia a farsi dono, stile di gratuità per la comunità.
Catechisti ed educatori: prima testimoni e quindi maestri
Se una Comunità Parrocchiale – come penso ogni comunità debba fare – mette a fondamento della sua ministerialità il Documento Base e su questo, a partire dalla prima età scolare, snoda i suoi itinerari catechistici seguendo il criterio della gradualità per la vita prima ancora che per i sacramenti della Iniziazione, arriva ad avere in cantiere un unico grande progetto in cui con un intreccio ricchissimo tutte le collaborazioni vengono valorizzate. È questa valorizzazione che sta alla base e a supporto di una progressione che tende a fare della vita stessa un dono fino allo sbocco vocazionale vero e proprio.
Prima ancora di progettare sull’ipotetico o stendere geremiadi sul mancante è bene valorizzare l’esistente perché in esso è già presente l’azione vivificatrice dello Spirito Santo coi suoi doni.
Mi si perdoni un riferimento concreto. Quando il giorno della Festa della Madonna del Popolo – giorno d’apertura dell’anno pastorale – chiamo all’altare per il mandato catechistico mamme, papà, coppie di sposi e fidanzati, giovani, ragazze, suore… ed insieme a loro anche gli educatori di Azione Cattolica e i Capi Scout – infatti per essere Educatori o Capi devono essere “catechisti” e partecipare agli itinerari di formazione per tutti – ciò che li unisce in un unico slancio è la piena disponibilità al Signore pur nel ruolo specifico di ciascuno. Ma la diversità di metodo o di ambito rafforza l’unità perché a base dei “sì differenziati” c’è il grande “sì comunitario”. È a questo livello che il catechista, l’educatore, il capo scout, il genitore… scopre la gratuità come base e condizione preliminare per la crescita comunionale di tutti.
Caritas e volontariato: due polmoni della gratuità
Ho letto recentemente che “la gratuità è il più grande investimento sociale che una generazione possa fare in vista del suo futuro”. Credo che una lungimirante missionarietà richieda questo “investimento” potenziando a dovere l’ambito caritativo o di volontariato. Sul tema della “Evangelizzazione e testimonianza della carità” diverse sono state le parrocchie che hanno steso progetti, hanno dato avvio ad iniziative nuove, si sono aperte al territorio ed hanno impegnato forze e risorse nell’accoglienza. Tutto ciò porta provvidenzialmente la comunità ad aprirsi in modo da far passare al suo interno molte delle grandi tensioni che feriscono la convivenza umana e ipotecano negativamente i giorni a venire.
Caritas e volontariato hanno assunto un’importanza capitale nella pastorale della “nuova evangelizzazione” ed hanno in sé una grande capacità pedagogica perché, secondo l’indicazione dei Vescovi, il messaggio cui nessuno può opporre obiezioni è la testimonianza, è il “vangelo della carità”. Il loro significato si estende dal livello educativo sino all’impegno sociale e politico diretto.
Fra i volontari che operano in parrocchia ho sempre avuto anche degli obiettori necessitati da diversi progetti Caritas (Progetto Anziani, Mano Amica…) ed anche la loro è diventata una forza di testimonianza che ha aiutato a riconnettere il tessuto interno della comunità rendendola capace di valorizzare ogni gesto di vera gratuità. Quando all’inizio del suo servizio un nuovo obiettore si è sentito citare alla preghiera dei fedeli perché il “suo apostolato sia efficace tra noi” o quando chiamato da un gruppo catechistico ha dovuto mettere a nudo le motivazioni per cui non voleva fare il militare e sostituire quel servizio con un altro, forse più radicale e diretto al cuore dei bisogni umani, penso che abbia ben compreso che il suo donarsi trovava piena consonanza col sentire dell’intera comunità incontrandosi con tutte le altre espressioni educative in quanto animato dall’identica gratuità.
Mi ha commosso la testimonianza di un giovane che dopo aver indugiato sul dubbio di “compromettersi gratuitamente col Signore” fatta la scelta di vivere almeno per alcuni anni un servizio di volontariato coi più bisognosi, mi ha confidato “quando torno a casa il superfluo che prima lo davo per scontato, ora mi dà fastidio!”. Sorridendo gli ho risposto: “la gratuità ha colpito ancora!”.
Il consiglio pastorale: luogo pedagogico ed evangelico della formazione ecclesiale
Tra le diverse definizioni quella che meglio rende il ruolo di un Consiglio Pastorale Parrocchiale nell’ottica dell’impegno educativo alla gratuità sta negli Atti del Convegno su Evangelizzazione e Promozione Umana in cui viene definito “luogo pedagogico ed evangelico della formazione ecclesiale, strumento del comune studio e della comune ricerca per essere adeguatamente presenti ai bisogni della nostra società” (p. 11).
“Luogo pedagogico ed evangelico”. Chi è investito di questo ruolo ha grande responsabilità nell’aiutare il sacerdote parroco a tracciare cammini di crescita dell’intera comunità verso le mete che il Magistero addita con costante sollecitudine.
Penso che sia imprescindibile oggi l’apporto del Consiglio Pastorale perché una parrocchia si impegni nel superamento del distacco tra enunciati e realtà, tra le mete indicate dai nostri Vescovi e gli obiettivi realizzati. Ciò richiede una grande umiltà ed una forte costanza perché non ci si disperda su ambiti di secondaria importanza a scapito di quelli fondamentali. Il discernimento di un Consiglio Pastorale è grazia di Dio per tutto l’impianto educativo della comunità.
Un esempio a mo’ di conclusione
Corre il detto che “la bravura di un pilota si misura dall’atterraggio”. A dire degli esperti, infatti, è il momento in cui il pilota deve dare il meglio di sé. Dico questo pensando a quel “meglio di sé” che ogni Comunità Parrocchiale deve dare per far sì che il Vangelo si incarni, prenda terra, trovi, cioè, nel cuore di ciascuno la pista d’atterraggio.
Quando il 16 aprile prossimo inaugureremo un “Centro Diurno” e un “Gruppo Appartamento” intestato al sen. Roberto Ruffilli, nel sesto anniversario della sua uccisione, non ci sentiremo degli scalatori solitari di una vetta ma, per quanto hanno significato per tutta la Comunità questi sei anni, non potremo che continuare a voler stare per strada cogliendo ogni evento, piccolo o grande, come un’autentica provocazione del Signore che ci ricorda il “come” della Sua modalità d’amare.
Quando saremo tutti convinti della forza della Sua Gratuità la nostra, pur sempre piccola, ci avrà portati fuori del guado dove ristagna l’egoismo. E sarà ancora il Signore a condurci, come Suo gregge, su “pascoli erbosi”.