Alla scuola della preghiera la malattia e il dolore divengono itinerario vocazionale
Premessa
Potrebbe sembrare perfino provocatorio affermare che la malattia è una vocazione e che il suo evolversi debba essere affidato a quegli itinerari che ogni chiamata divina propone. Eppure qualche malato ha voluto celebrare il suo venticinquesimo di infermità ringraziando il Signore per questa straordinaria chiamata.
Suscitano comunque stupore il coraggio e la lucidità della fede in queste persone che sanno guardare alla loro malattia, al loro handicap come ad una grazia, accogliendo in esse un segno così profondo del divino.
Vale la pena, allora interrogarci non solo di fronte a queste anime privilegiate ma a tutti i malati, perché si possa con loro tentare di scoprire nel paradosso umano della loro sofferenza quella grazia capace di rendere profetico perfino il dolore.
Se è vero che “ogni uomo diventa la via della Chiesa” come dice Giovanni Paolo II e nella lettera apostolica Salvifici Doloris sottolinea che “in modo speciale lo diventa quando nella sua vita terrena entra la sofferenza” (n. 3) non si può passare oltre con indifferenza, ma bisogna fermarsi accanto a chi soffre perché sia presidiato di affetto, sostenuto dalla consolazione divina, spinto al coraggio e alla speranza.
Allora quanti sono segnati dalla malattia e dall’handicap dovranno essere aiutati a passare da una condizione di rassegnazione, di irreversibile passività alla consapevolezza di essere anche loro “mandati come operai nella vigna del Signore”. Questa missione che per troppo tempo è sembrata appartenere ai cristiani sani ed efficienti, Giovanni Paolo II la affida anche ai malati, ricordando che questa deve essere la nuova pedagogia che accompagna il cammino della Chiesa nella sua azione pastorale “per e con i malati e sofferenti” (Christifideles laici n. 54).
Ciò richiede un impegno ed una presenza diversa per superare quella concezione consolatoria che può rasentare il pietismo. Se la nostra presenza accanto a loro continua ad essere più assistenziale che promozionale noi li aiuteremo a diventare protagonisti per occupare quello spazio ecclesiale che è proprio di ogni cristiano secondo doni e carismi; per lasciare ulteriori messaggi alla società sufficiente di oggi, quello di volersi inserire in essa a pieno diritto, infrangendo quelle barriere architettoniche che possono rendere difficile il cammino familiare e sociale; per recuperare nella fede il senso di se stessi e del proprio dolore, perché non ci si perda dietro l’amarezza di una incompiuta esistenza umana, ma si valorizzi nella luce di chi ne ha voluto fare una fonte di salvezza e un segno di umanità nuova; per indicare i nuovi itinerari della carità, che nel segno di una forte e convinta comunione ecclesiale, dovranno come afferma il teologo William Smith “evitare qualsiasi dicotomia, evidenziando come il ricevere non diminuisce la dignità umana e viceversa. In colui infatti che dona è richiesta la cura. In colui che riceve è richiesta la fiducia”; perché vinta la tentazione del sospetto accolto a fronte alta l’aiuto di cui necessitano possano farsi profeti di quell’umanità che chiama tutti a condividere i doni della salute, dell’intelligenza e della fede; per proiettare sullo schermo dell’handicap inediti aspirazioni, progetti di vita, impegni di servizio e di donazione. Solo a queste condizioni può essere offerto ai nostri malati un vero itinerario vocazionale che ne favorisce un cammino di fede, perché sia pienamente motivata la situazione di sofferenza senza ricercare né colpevoli, né un inesorabile destino, ma solo il mistero che comunque nasconde come in Cristo il perché del dolore pur rivelando la sua forza redentiva; nel proporre un ideale di donazione all’amore di Cristo Crocifisso e Risorto per inchiodare come lui alla croce la cattiveria umana, ne postula una costante che come quella di Cristo “cun clamare valido et lacrimis” sarà sempre esaudita.
Questo cammino aprirà loro grandi orizzonti fino a percepire quella misteriosa chiamata di Dio, che nella vocazione all’amore nel celibato, nella verginità segnerà per il dolore una sublimazione quasi divina.
Il dolore ricevuto e donato si trasforma in grazia, chi ne sarà segnato come il malato, l’infermo, l’anziano diventerà segno e sacramento di Cristo che ha voluto identificarsi con ognuno di loro, perché nessuno dubitasse della sua presenza, nessuno potesse dire di non averlo incontrato.
Un’esperienza singolare
Da questa premessa e alfine di raggiungere questi obiettivi, nell’ospedale S. Giacomo, la felice collaborazione tra il cappellano e la comunità delle religiose ivi presenti, Suore Ospedaliere della Misericordia, oltre alle attività pastorali già esistenti, ha dato l’avvio ad una scuola di preghiera con e per gli ammalati.
Superato l’iniziale scetticismo dovuto a mancanza di spazi e luoghi adatti (la cappella è in ristrutturazione), si è iniziato durante il periodo di Avvento. Il tema convenuto è stato l’Avvento di Gesù nel mondo, nella vita di ciascuno e nella vita del malato in particolare.
Gli incontri, pur nella loro semplicità, sono stati molto significativi, accolti con gradimento, e partecipati sia dai malati che dal personale d’assistenza. Il tema sviluppato prima dal cappellano veniva poi, approfondito anche dall’ausilio del DIAGRUP.
Un tocco di animazione in più erano i canti gioiosi, scelti adeguatamente alla circostanza, accompagnati da una varietà di strumenti. Ciascuno aveva con sé la copia dei canti ed era piacevole veder tutti cantare insieme, imparare la melodia seguendo il coro dopo la prima strofa.
Siamo ancora all’inizio e già possiamo vederne i frutti: ci sono pazienti che ci chiedono quando si potrà ripetere l’esperienza; alcuni, commossi dicevano di aver vissuto un momento magico, di pace e serenità. Infatti, per alcuni era il primo incontro con Dio; per altri, una nostalgia di tempi lontani.
Sprazzi di “religiosità” ma anche una buona occasione per avvicinarli al Dio vero. Analoga esperienza è stata realizzata anche nell’ospedale S. Gallicano, dove grazie alla cappella funzionante i risultati sono stati anche migliori.
L’Avvento e il Natale sono stati sentiti, così, come non mai. Nei vari momenti di preghiera organizzati, i malati hanno apprezzato in modo particolare il linguaggio dei segni.
È stato veramente commovente, quando… portando all’altare un vaso di creta per simboleggiare la fragilità dell’uomo e la precarietà della salute, ha detto: “Accetta la mia vita e la mia malattia, o Signore. Tu vedi quanto essa è fragile. Fino a qualche giorno fa, godevo di ottima salute, poi all’improvviso, un dolore, una febbre, una sintomatologia mi ha portata qui. Sarà cosa da poco, mi hanno detto, poi invece, i giorni si sono prolungati, fino ad ora, e così eccomi, davanti a Te a chiederti una pronta e completa guarigione o almeno la forza e il coraggio di affrontarla. O Signore, meglio dei medici, tu conosci la mia situazione e la mia diagnosi, le mie paure e le mie angosce. Guariscimi, fa’ che io possa ritornare al mio lavoro e ai miei affetti”.
L’ingegner Sergio affetto da lupus eritematoso, alzando un mappamondo ha pregato: “Eccomi Gesù davanti a Te, con il mondo tra le mani. Accetta tutto l’umano dolore presente nel mondo: sofferenze, morte, guerre, divisioni. Affido tutto a Te. Sì, ho una malattia che preoccupa me e i miei cari. Ma perdonami se sono troppo concentrato su me stesso, quando non lontano da noi nella vicina ex-Jugoslavia sono in molti a morire, anche vecchi e bambini”.
Due infermiere portando all’altare i segni del servizio, hanno pregato così: “Noi, personale di assistenza siamo per il malato il Buon Samaritano che si ‘ferma accanto’ a Lui per assisterlo e curarlo. Signore, perdonaci per tutte le volte che siamo passati oltre, che siamo state frettolose e stanche”.
Era presente anche un medico, che portando all’altare il giuramento di Ippocrate, ha detto: “Ecco Signore il giuramento di Ippocrate. Quante volte è stato disatteso dalla classe medica! Signore Gesù Cristo, Alfa e Omega della vita dell’uomo, ti chiediamo perdono per tutto il peccato del mondo a riguardo della vita e della salute: per tutte le volte che è stato impedito di nascere; per tutte le volte che non è stato aiutato a vivere con dignità l’ultimo istante, perdonaci Signore”.
Infine, una suora non molto giovane, portandosi davanti all’altare con mani alzate ha detto: “Ecco le mie mani o Signore! Da quanti anni esse sono al tuo servizio. Quante volte al giorno ti ho toccato, ti ho asciugato il sudore, ti ho pulito, ti ho vestito, ti ho accomiatato da questa vita quando eri morente, malato, ferito, nascosto in ogni fratello che soffre. Perdonami però, per tutte le volte che le ho usate troppo frettolosamente e perciò senza poterti raggiungere l’animo. Per questo, perdonami Signore. Esse non hanno più il vigore di una volta, ma voglio continuare ad usarle per te fino a quando tu vorrai. Fa’ che ci sia chi le sostituisca nel servirti, quando a me dirai: Vieni”.
Gli obiettivi raggiunti finora sono stati per noi, un incentivo per meglio celebrare la seconda giornata mondiale del malato, molto attesa dai pazienti, certamente carica di frutti spirituali anche per tutto l’ambiente ospedaliero.
Gradito da parte di tutti e dei malati in particolare è stata la consegna di un fiore (per richiamare quello del manifesto) con la scritta “un messaggio per te” tratta dal discorso rivolto ai malati da Giovanni Paolo II per l’occasione.
Progetti per il futuro? Continuerà la scuola di preghiera anche durante la Quaresima per mettere in risalto il rapporto profetico tra la malattia e la Risurrezione.
Per il tempo ordinario, (dopo la Pasqua), si ha l’intenzione di continuare con dei “cenacoli-preghiera” per chiedere a Dio che mandi alla “vigna” dell’assistenza del malato, “operai” degni di questo delicato servizio: medici, infermieri, tecnici, volontari e vocazioni di speciale consacrazione, capaci di curare tutto l’uomo sofferente, che sappiano “fermarsi”, “non passare oltre”; allora sì, che potremmo testimoniare credibilmente al mondo che la sofferenza è presente nel mondo per “sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell’amore” (SD 30).
Quell’AMORE sul quale alla fine saremo tutti giudicati e su quell’amore fatto servizio del quale saremo tutti ricompensati. “Venite benedetti dal Padre mio… perché ho avuto fame e sete e mi avete dato da mangiare e da bere, ero nudo e mi avete vestito, …malato e mi avete visitato e ben curato. Vieni!” (Mt 25).