La dimensione vocazionale nella pastorale degli ammalati in parrocchia
Il mondo non è equamente diviso tra sofferenti, da una parte, e dall’altra i… gaudenti. La sofferenza, il dolore sono parte costitutiva dell’esistenza di ogni uomo e di ogni donna; considerata in sé la sofferenza è un enigma, come enigma è la morte e, anzi, la stessa condizione umana. Così si esprime la Gaudium et spes (nn. 22 e 18). Cristo è luce per i sofferenti, apre i loro occhi come fece con il cieco nato, perché vedano e vedendo credano (cfr. il capitolo 9 del vangelo di Giovanni). L’ultima realtà che sta dietro a ogni sofferenza è il Signore stesso; nei sofferenti Cristo è presente e s’immedesima. Chi si mette a servire un sofferente, in definitiva serve Cristo Signore.
Con la malattia, dominio del corpo e nel contempo dello spirito, la sofferenza si fa concreta, vorremmo dire che si somatizza. L’ammalato ha bisogno di essere guarito nel corpo e nel profondo del suo cuore, del suo essere. Tornando ancora alla guarigione del cieco da parte di Gesù, l’evangelista annota che gli occhi si apersero alla luce dopo essere stati toccati con fango. I medici fanno molto ma non sempre e non tutti sono capaci di “guarire”. La Chiesa sa che “sanare gli infermi” (l’antica dizione di una delle opere di misericordia) richiede capacità di medico e cuore di fratello. Con la salute bisogna anche portare salvezza. Questa si annuncia e si comunica con la dedizione di chi sa di essere un piccolo e povero strumento; il salvatore è uno solo, Gesù Cristo, e a lui bisogna andare incontro per “essere guariti”.
Tre movimenti dell’anima
Nella pastorale degli ammalati si compendiano, per così dire, tre “movimenti dell’anima”: la compassione, l’invocazione, la carità. Compatire qui è inteso nel senso forte di condividere, di farsi partecipi; Gesù ha detto ai suoi apostoli: “Voi siete coloro che avete perseverato con me nelle mie prove (Lc 22,28). “Visitare” gli ammalati è non tanto un gesto occasionale e fugace ma un dirigere il proprio cuore verso una persona per tutto il tempo della sua “prova”. Proprio perché la malattia è pur sempre, nella sua misura, una prova della fede, nasce la necessità di un’invocazione intensa e, a volte, accorata: “Se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci… Credo, ma aiutami nella mia incredulità” (Mc 9,22-24). Infine, l’aiuto si qualifica attraverso il dono sincero di sé al fratello o alla sorella, in spirito di gratuità e di amore; nell’ammalato – già lo si disse – Cristo è presente come in un tabernacolo di speciale qualità.
Alla luce di queste rapide annotazioni si comprende come la pastorale degli ammalati germini e cresca solo in un ambiente dove sia forte la coscienza di essere chiamati a riconoscere il Signore nelle membra sofferenti del suo popolo. La vocazione cristiana è anche un imperativo a dare compimento alla misericordia di Gesù, a svelarne la sollecitudine e la compassione, a ripresentarlo nell’atto di prendere su di sé le infermità e le debolezze del suo popolo: “uomo dei dolori che ben conosce il patire… si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori” (Is 53,3-4). Solo una coltivata maturità cristiana consente di accompagnarsi ai malati nella loro esperienza non facile, un’esperienza del passaggio dal sentire il proprio dolore al condividere la passione di Cristo e del mondo. Chi ha pratica del ministero parrocchiale sa che solo persone di grande finezza e di scoperta generosità sono in grado di attendere agli ammalati con proprietà e efficacia.
Servizi e ministeri per gli ammalati
Il richiamo al ministero parrocchiale consente di renderci conto come si debba e si possa progredire nella specifica sollecitudine vocazionale per gli ammalati. Non di rado è stata lasciata alla generosità del parroco o di qualche sacerdote, forse fin troppo preoccupati di “sacramentalizzare” gli infermi. Negli ospedali ora si sta affacciando il volontariato con tutti i suoi pregi e qualche limite; occorre aver presente che niente si improvvisa, tanto più in ambito delicato come è quello della malattia con le sue implicanze psicologiche e spirituali. È certamente una via da perseguire quella del volontariato, una splendida occasione da offrire a giovani e a persone che si ritrovano in condizione di coinvolgersi nel servizio (si pensi a tante coppie che hanno esaurito il loro compito verso i figli e nella professione: si trovano con tante energie e con tempo a disposizione). Accanto alla scelta di dedicarsi a un simile servizio, è importante far crescere virtù come la condivisione dei sentimenti, la pazienza, la perseveranza, la riservatezza e come dire? la finezza d’animo.
Maggiore spazio e maggiore consistenza si potrebbe dare al ministero straordinario dell’Eucaristia. Non si tratta soltanto del rito liturgico del portare in casa la santa Comunione o, come avviene spesso, di aiutare il sacerdote celebrante a “distribuire” il pane eucaristico per… non fare aspettare la gente. A parte qualche forzatura, tutto ciò ha senso ma non basta. Penseremmo a un autentico ministero, frutto di maturazione vocazionale, che impegna le persone a “servire” gli ammalati offrendo insieme al dono grande dell’Eucaristia la propria carità e la propria sollecitudine amicale e fraterna. È come se nella propria vita entrassero delle persone nuove; l’accoglienza si fa con la premura, l’attenzione, la preghiera di Marta e di Maria verso Gesù (cfr. Lc 10,38-42).
“Lo avete fatto a me”
Ci sono poi iniziative periodiche delle comunità ecclesiali a favore degli ammalati che possono rivelarsi come umili occasioni di invito o di crescita in vocazioni specifiche. Pensiamo alle particolari celebrazioni o giornate per gli ammalati, alla celebrazione del sacramento dell’Unzione per gli infermi come avviene ormai in molte parrocchie, alla valorizzazione della benedizione degli olii per gli infermi nella cosiddetta Messa crismale (celebrata in orari adatti perché vi possono partecipare tutti coloro che lo desiderano). Pensiamo anche ai preziosi momenti offerti dai pellegrinaggi ai santuari mariani da parte degli ammalati: chi ha a cuore la dimensione vocazionale di ogni servizio cristiano non tarderà ad accorgersi quali “occasioni favorevoli” qui si presentino alle giovani generazioni in ordine alla loro vocazione, forse più umili, certo più concrete di un po’ astratti “carismi di guarigione” di cui si sente parlare.
Resta per tutti, anche per coloro che sono già in cammino in una vocazione di speciale consacrazione, l’appello che viene alla propria vita dalla “prossimità” con gli ammalati. Gesù chiede sempre e a tutti se siamo in grado di bere il suo calice (cfr. Mc 10,36-40). Tra le diverse modalità di questa sintonia con il Signore, eminente è quella di servire Cristo negli ammalati. Ci sentiremo dire, nei momenti in cui meno lo aspetteremo, dalla viva voce del Signore: “Lo avete fatto a me” (Mt 25,40). Una voce che non cessa mai di chiamare.