N.03
Maggio/Giugno 1994

L’Unitalsi, occasione preziosa di esperienza vocazionale per i giovani

Non nascondo il disagio sia nello scrivere, sapendo quanto sono esigenti e qualificati i lettori, sia nel dover parlare dell’Unitalsi, preoccupato che questo mio intervento non evidenzi meriti, non cerchi consensi, ma testimoni soltanto la grazia che si sprigiona dal servizio alla sofferenza, per un itinerario di fede e per un autentico discernimento vocazionale proposto a quanti, soprattutto giovani, “in sinceritate cordis” ne vogliano vivere l’esperienza.

Scorgendo tra i volti dei lettori numerosi seminaristi e sacerdoti, amo intrattenermi con loro in fraterna confidenza, comunicando in semplicità anzitutto la mia personale esperienza a contatto con il dolore, vissuta fin dagli inizi del mio sacerdozio, quando mi venne data la possibilità di partecipare per la prima volta ad un pellegrinaggio con i malati a Loreto.

Quello che più colpì la mia sensibilità, spingendomi a superare l’iniziale disagio fu la straordinaria delicatezza ed attenzione espressa da molti giovani nel loro servizio ai malati. Non mi bastò naturalmente quel pellegrinaggio, ma questa esperienza si prolungò coinvolgendo pienamente il mio ministero sacerdotale ed intonando la mia azione pastorale nel cuore della parrocchia a questa attenzione per i malati.

Quale testimonianza maggiore per me, per tanti giovani, per una comunità intera, che quella di accogliere nella casa parrocchiale in villeggiatura i disabili di un istituto, perché anche loro sperimentassero il clima di famiglia, la gioia di una vacanza, la certezza di non sentirsi diversi, solo perché rivestiti di un handicap!

Quale grazia per me poter vivere insieme con il mio predecessore, l’anziano parroco per più di due anni bisognoso di un servizio infermieristico, mentre una grave malattia andava consumando la sua fragile fibra e la mia presenza, come quella di un figlio, gli assicurava un sereno tramonto! La sua sofferenza illuminata da una grande fede sosteneva la mia fatica di parroco, edificando l’intera comunità che lo venerava come un patriarca.

Come avrei potuto predicare alla mia gente di non mandare gli anziani al ricovero, se io ci avessi mandato pur tra mille giustificazioni, l’anziano parroco? Nessun merito né tanto meno motivo di vanto, ma solo gratitudine al Signore per questo dono di grazia, che ha segnato profondamente il mio sacerdozio, preparandomi ad un ministero tutto consacrato ai malati e a quanti vogliono ad esso dedicarsi.

È in forza di questo ministero che posso testimoniare come l’Unitalsi al di là della sigla che la identifica, è anch’essa come altre associazioni analoghe, valido strumento di carità, via privilegiata per incontrare il dolore, possibilità di misurare la propria umanità, forte esperienza del divino nel cuore dei Santuari.

I suoi novant’anni di storia celebrati nel novembre scorso sono la testimonianza di un lungo cammino di misericordia, percorso da migliaia e migliaia di uomini, di donne, di giovani che si sono fatti nuovi samaritani per raccogliere quanti dal dolore, dalla sfiducia, dall’abbandono si sono ritrovati ai bordi della vita e della speranza.

I tempi forti di questa misericordia sono stati e saranno sempre quelli del pellegrinaggio che nei “treni bianchi”, così chiamati dalla divisa che identifica le sorelle di assistenza nel loro servizio ai malati, si trasforma in un evento di grazia, una risorsa per la fede, un cammino di conversione, un’esperienza di fraternità, un valido annuncio della speranza cristiana. Su questi treni ritmati non solo da sospiri affannosi, di chi indebolito nelle forze, tenta il viaggio della speranza, ma anche dalla preghiera, dal canto di un popolo in cammino, sono saliti e saliranno tanti giovani affascinati dallo stupore di un’umanità che li segna, una gioia che li rianima, una fatica che li valorizza e li gratifica.

Nessun confronto più provocatorio, ma anche più significativo ed eloquente ci potrà essere, che quello con il mondo del dolore, così traumatizzante al pensarci, quanto rasserenante, se nel volto di chi ne porta i segni, si è capaci di coglierne tutta la ricchezza.

Diversi possono essere i modi per incontrarsi con il dolore, con i suoi risvolti, con la vasta gamma dell’handicap e della malattia, ma la forma più efficace ed eloquente resta quella del servizio, espressione di una condivisione che si fa compagnia, sostegno, consolazione, pedagogia e comprensione del mistero che l’avvolge.

Possiamo testimoniare che non solo alta è la percentuale dei giovani che approdano all’Unitalsi, ma anche qualificata la partecipazione, accompagnata da una forte capacità di donazione, di coraggio e di una speranza non comune. Il servizio ai malati, lo stare in fraternità con loro ha interiorizzato la vita di molti giovani, che al mito della bellezza, così forte e dominante in ogni loro aspirazione, viene riproposta in quegli idilli così teneri di affetto con gli anziani, con i disabili, la bellezza interiore di ogni persona, che non può essere spenta dalla grinze di un volto rugoso, né travisata da un’estetica giovanile tanto affascinante.

 

 

La sofferenza educa all’amore

In questa azione caritativa essi anzitutto sperimentano la gioia del donarsi, ritrovando quella dimensione umana così carente nella forma di vita che impone loro la cultura dell’efficienza, della presunzione, del pragmatismo.

L’incomunicabilità di cui soffrono nei rapporti tra loro, abituati all’immediatezza di gesti e di espressioni, più istintive che ragionate, trova nell’incontro con il dolore una forte capacità di dialogo, un’intesa alla comune comprensione della vita, in tutte le sue problematiche.

La gratuità del servizio che specialmente nella partecipazione al pellegrinaggio, impone una spinta ancora maggiore di generosità, chiedendo di pagare di persona, non solo in tempo, ma anche in denaro, è prova di un amore autentico e oblativo, capace di educare ai grandi ideali della vita.

Il servizio alla sofferenza educa a riscoprire il valore della famiglia, affinando i sentimenti, aprendo alla gioia della gratuità del dono e temprando alle prove della vita e alla fatica della convivenza familiare, quando chiamerà o a farsi carico di un infermo o a presidiare di affetto gli anziani.

 

 

La carità una luce per il discernimento vocazionale

Nel piano pastorale per le vocazioni che la Chiesa Italiana ha proposto si parla del volontariato come “itinerario di una formazione in vista della vocazione definitiva, che può condurre ad una scelta di vita consacrata nella misura in cui è evangelicamente motivato e coltivato nella preghiera il senso dell’assoluto e educazione al discernimento dei bisogni, e verifica della capacità di dedizione e di fedeltà nella ferialità” (n. 30).

L’Unitalsi anche in questo è testimone di molte vocazioni nate e maturate nel suo grembo, sia al sacerdozio, sia alla vita consacrata, come a quella claustrale, consapevole che la spinta all’ideale di una totale dedizione ed il suo autentico discernimento possono essere più fortemente provocati e misurati dall’amore di Dio, che si rivela nella tenerezza del dolore e dell’handicap, che da proposte carismatiche fatte per appello nominale.

La partecipazione di molti seminaristi ai pellegrinaggi come barellieri (accompagnati dai loro Rettori) confermano questa accentuata sensibilità umana ed evangelica che vibra nei seminari, assicurando gli educatori di operare in senso giusto, perché ai sacerdoti di domani sia dato, come dice Giovanni Paolo II, “di portare ai malati la simpatia di Cristo” mediante la dolcezza del tratto, la delicatezza del cuore, la parola ispirata e suadente.

Tutti ci affidiamo all’azione santificatrice e promozionale della carità, mentre l’Unitalsi si impegna a valutare ancora di più il suo ministero pastorale e ad arricchirlo di un forte spessore spirituale, per offrire ai giovani e soprattutto ai seminaristi, non solo la nostra testimonianza, ma anche la possibilità di vivere questa unica ed irripetibile esperienza di grazia e di umanità.

Solo la carità nella sua più concreta espressione di servizio potrà garantire l’autenticità di una vocazione, la ricchezza umana di un prete, la misericordia della Chiesa, la fede dei cristiani.