N.03
Maggio/Giugno 1994

“Visitare gli infermi”: una proposta nell’itinerario formativo dei seminaristi e dei novizi

 

La sollecitudine di Maria, immagine della Chiesa, serva dei deboli e dei poveri

La sobrietà dei quattro evangelisti copre con un velo di riservatezza la presenza di Maria Santissima, accanto al Suo Figlio, nei momenti in cui gli ammalati ed i poveri ricevono consolazione e guarigione. Tuttavia il racconto della Visitazione nel Vangelo di Luca coniuga in maniera meravigliosa l’obbedienza alla Parola di Dio e la sollecitudine per la sua parente bisognosa di aiuto.

La stessa sollecitudine materna traspare nelle nozze di Cana. Anche qui il miracolo della Carità è legato all’obbedienza alla Parola del Signore. Non è senza significato questo legame.

Nel testo della Messa “Maria Madre di misericordia”, le parole della liturgia attribuiscono all’esperienza della misericordia di Dio la incondizionata capacità di accoglienza, che ammiriamo in Maria Santissima.

Così dice il Prefazio: “Nell’eterno consiglio del tuo amore ci hai dato nella Beata Vergine Maria la regina clemente, esperta della tua benevolenza che accoglie quanti nella tribolazione ricorrono a lei; la Madre di misericordia, sempre attenta alle invocazioni dei figli, perché ottengano la tua indulgenza ed il perdono dei peccati; la dispensatrice di grazia, che interviene incessantemente presso il tuo Figlio, perché soccorra la nostra povertà con la ricchezza della sua grazia e con la sua potenza soccorra la nostra debolezza”.

Guardando a Maria, noi sappiamo che la formazione alla diaconia della Carità consiste nel diventare così esperti della benevolenza di Dio da creare in noi spazi sempre più vasti per accogliere i nostri fratelli.

Infatti, anche quando si lascia la propria casa, si attraversano le strade della città per raggiungere i poveri nei tuguri o nei ghetti moderni, gli ammalati nelle corsie degli ospedali o nei luoghi di emarginazione, creati dalle paure per le moderne malattie infettive, tutto questo avviene perché i poveri e gli ammalati li abbiamo già accolti nel nostro cuore e nella nostra vita.

Potremmo già chiudere qui il nostro discorso: educarsi a “Visitare gli infermi” significa trovare le strade per diventare, come la Vergine della Visitazione, esperti della benevolenza di Dio per far largo, nel cuore e nella vita, ai nostri fratelli ammalati.

 

 

La formazione alla carità, fulcro della formazione al ministero presbiterale

L’Esortazione Apostolica “Pastores dabo vobis”, si presenta, nei suoi primi capitoli, come una risposta lucida ed appassionata, alla domanda sulla identità del presbitero. Il Santo Padre non ha dubbi. L’identità del presbitero “ha una connotazione essenzialmente ‘relazionale’; ha la sua fonte nella Trinità… Vive nella relazione fondamentale a Cristo Capo e Pastore… diventa operante nel servizio, in Cristo, alla Chiesa, mistero, comunione e missione”.

La “carità pastorale” è il principio interiore che anima e guida la vita spirituale del presbitero in -quanto configurato,a Cristo capo e Pastore… il principio interiore capace di unificare le molteplici e diverse attività del sacerdote. Il presbitero attua, in pienezza di vita, la sua vocazione in questa “concentrazione” di tutte le sue energie, del suo tempo e delle sue scelte attorno alla scelta fondamentale e qualificante di “dare la vita per il gregge”.

La carità pastorale “è partecipazione alla carità pastorale di Cristo: dono gratuito dello Spirito Santo ed insieme compito ed appello ad una risposta libera e responsabile”. Essa non si limita ad esser una maniera di operare, ma configura un nuovo modo di essere, è “il dono di sé radice e sintesi della carità pastorale”.

L’unità tra vocazione e persona, fonte di gioia e di vero entusiasmo, viene dal dono del Sacramento dell’Ordine, che ci configura a Cristo, e da un lungo e responsabile itinerario nel quale accettiamo di essere modellati a immagine del Buon Pastore fino determinare personalità che si configura come dono per tutti.

Se tutto questo è vero, tutto il cammino di preparazione al presbiterato ha la fisionomia dell’accoglienza generosa e piena di gratitudine a questa mirabile possibilità ed attua, nella preghiera profonda del cuore, la relazione col Dio Amore, che ci trasforma in dono per tutti e ci invia nel mondo.

La formazione al presbiterato sarà un ricercare e percorrere con l’intelligenza e l’obbedienza della fede, i sentieri della Carità. Le varie dimensioni della vita di seminario trovano nella Carità il loro significato: la preghiera è atto di Amore verso Dio, è un andare alle sorgenti della Carità; la stessa preparazione culturale è espressione di Carità.

La carità pastorale si attua nei vasti orizzonti della missione della Chiesa, tuttavia il servizio dei poveri deve ricevere una attenzione privilegiata. “Anche se sono tenuti a servire tutti, ai presbiteri sono affidati in modo speciale i poveri ed i più deboli, ai quali lo stesso Signore volle mostrarsi particolarmente unito e la cui evangelizzazione è mostrata come segno dell’opera messianica” (PO 6).

Nel servire i poveri, si mostra la verità e la consistenza della nostra carità pastorale. Nell’aver cura degli altri, che non sono poveri, ci può essere sempre un ritorno di convenienza o di riconoscimento.

L’itinerario di formazione al presbiterato non può porre come un aspetto opzionale, la capacità di avvicinare le povertà del nostro mondo, se la cura dei poveri è la prima nella graduatoria delle attività proprie del ministero. Del resto il ministero dell’accolito e del diacono attingono la loro verità alla duplice fonte del l’Eucaristia e del servizio dei poveri”.

 

 

Le nuove frontiere della testimonianza della Carità

Il servizio dei poveri e dei deboli si attua oggi su frontiere vaste ed inedite. “Nella situazione odierna e in stretto rapporto con l’impegno della nuova evangelizzazione, anche la testimonianza della carità va ‘pensata in grande…’ ed incarnata in gesti concreti, nei rapporti da persona a persona come nella progettualità sociale, politica ed economica” (ETC 37).

– L’orizzonte è ormai planetario. Alle antiche povertà delle persone, dei paesi poveri e delle classi meno fortunate, si sono aggiunge le povertà che minacciano l’intero pianeta o intere nazioni a causa di guerre atroci e delle rovine ambientali, causate dallo sfruttamento iniquo delle risorse naturali. La stessa questione sociale ha assunto una dimensione mondiale (ETC 42) e diventa ricerca di una pace mondiale. La diaconia della carità implica oggi “un cambiamento di mentalità, che purtroppo siamo lontani dall’aver raggiunto” (id.).

– La promozione della giustizia, appare oggi come una esigenza primaria della carità. Infatti numerose condizioni di povertà sono la conseguenza di oppressioni ed ingiustizie. “La carità autentica contiene in sé l’esigenza della giustizia: si traduce pertanto in un’appassionata difesa dei diritti di ciascuno” (id. n. 38). Ma, non si esaurisce qui la spinta rinnovatrice della carità perché tende a diffondere uno stile di gratuità in tutti i rapporti interpersonali.

– Infatti di fronte al grave decadimento di comportamenti pubblici e privati, che sono a monte di ogni illegalità ed ingiustizia, urge la coerente testimonianza dei valori evangelici, vissuti anzitutto nella propria coscienza, ma anche espressi nella cultura e, attraverso la libera formazione del consenso, nelle strutture, leggi ed istituzioni. In questa maniera il Vangelo della Carità diventa il principio ispiratore di una nuova coscienza morale, nell’impegno sociale e politico.

– L’ampiezza degli orizzonti e la grande profondità delle prospettive, sottolineano ancora di più la necessità dell’amore preferenziale per i poveri, il cui servizio mantiene “il primato nell’esercizio della carità, testimoniato da tutta la tradizione della chiesa” (id. n. 39). Tra i poveri occuperanno il primo posto coloro che soffrono per le terribili nuove povertà, derivanti dall’anonimato dell’assistenza sanitaria, dalle tossicodipendenze, come anche per quella nascosta povertà derivante dalla disoccupazione, che defrauda i giovani della sublime dignità di uomini liberi.

 

 

Formazione della persona e diaconia della Carità

Cultura giovanile e servizio dei poveri

Il punto di partenza reale della formazione della persona sono alcuni aspetti che caratterizzano la cultura dei giovani. Ne parla il Documento CEI “Evangelizzazione e testimonianza della Carità” (ETC n. 44).

In maniera più articolata la PdV (n. 8) si sofferma su “numerose contraddizioni e potenzialità di cui sono segnate le giovani generazioni” (p. 23).

Come condizionamenti negativi ad un equilibrato e sereno svilupparsi del cammino vocazionale verso il presbiterato, il documento pontificio indica:

– il fascino della società dei consumi;

– un’esperienza affettiva ed una visione della sessualità umana, ridotta anch’essa ad un bene di consumo;

– una visione distorta della libertà che si articola intorno a sensazioni ed esigenze individuali e non riesce a partire dalla ricerca della verità e dal consenso ai valori trascendenti.

Sono fenomeni collegati tra di loro ed hanno, come punto di partenza la ricerca del benessere materiale inteso “come unico ideale di vita… da ottenersi a qualunque condizione e prezzo”.

Nella prospettiva della formazione alla diaconia della Carità, questi aspetti del mondo giovanile rivelano la loro negatività, a volte mascherata da belle parole. Appare, perciò, necessario intraprendere un itinerario serio di ascesi, senza il quale è impossibile anche la semplice attenzione all’altro e perdono di autenticità anche quegli aspetti positivi per i quali i giovani si fanno apprezzare come portatori di un rinnovamento della società… (ETC n. 44 p. 35) (PdV n. 9 p. 25).

 

La formazione di una personalità “ponte”

Una importanza particolare assumono alcuni aspetti fondamentali della formazione umana del futuro presbitero. Si tratta di quelle caratteristiche che fanno della nostra umanità una “personalità ponte e non ostacolo” all’incontro tra gli uomini ed il loro Redentore. Si tratta di coltivare, nella vita comunitaria del seminario “una serie di qualità umane necessarie alla costruzione di personalità equilibrate, forti e libere, capaci di portare il peso delle responsabilità pastorali” e, prima fra tutte, l’attenzione ai poveri che vivono ai margini delle comunità (PdV n. 43).

Senza queste qualità, anche quello che può sembrare servizio dei poveri, può diventare ricerca di gratificazione o copertura di insicurezze e carenze di vario genere.

 

La formazione alla gratuità

Tuttavia, non è una semplice visione antropologica ad ispirare la formazione alla diaconia della carità; le qualità umane sono necessarie come fondamento reale per una risposta libera e responsabile al dono di Dio. L’itinerario educativo si sviluppa come vita spirituale, nella apertura alla dinamica creatrice dello Spirito Santo, come accoglienza dell’amore di Dio nella propria vita e ricerca di Dio nel servizio ai fratelli.

Potremmo dire con Don Bosco, che la formazione al presbiterato è “questione di cuore”, prendendo questa parola in tutta la ricchezza del linguaggio biblico. Per questo, la maturazione affettiva, parte integrante della formazione umana, acquista la caratteristica di una accoglienza delicata ed attenta al dono del celibato. Il celibato sacerdotale, è strettamente legato alla libertà di amare e di donarsi, soprattutto ai poveri; consiste nel creare lo spazio totale per Cristo e per la Sua immagine vivente nei fratelli.

 

Educare alla conoscenza dell’ammalato

Educare alla conoscenza dell’ammalato non è cosa da poco. Conoscere gli ammalati nella loro realtà, nella loro sofferenza fisica ed interiore, nel loro desiderio di vivere; conoscere il dramma dell’ammalato anziano, povero, terminale; conoscere le richieste tacite o espresse, talvolta, attraverso monosillabi e gemiti di dolore è il primo atto di amore.  È il primo, importante esodo dal nostro soggettivismo che vorrebbe racchiudere tutto nel lembo delle sensazioni o nell’anonimato di prestazioni ritenute doverose.

Ma questo è, appunto, soltanto il primo passo. Per i discepoli di Cristo, i poveri, gli ammalati sono la Sua presenza (Mt 25,34-35) accanto a noi. Dobbiamo educarci, allora, a riconoscere Cristo nel volto dell’ammalato.

A mio parere, sull’esempio dei grandi Santi della Carità, questo può avvenire solamente in una persona che sappia comporre, in maniera inscindibile, la contemplazione profonda della preghiera con la contemplazione vigile ed attiva della Carità.

Se ciò non avvenisse ci porteremmo dai poveri magari con una presenza pronta, ma priva di Gesù Cristo, unico vero confronto del malato.

 

Educare alla condivisione

“Se vuoi liberare un bue o l’asino dal fango della palude, devi scendere anche tu nell’acquitrino”, così un antico proverbio ebraico.

Il secondo passo del “Visitare gli infermi” è, come per tutta la vita di Carità, la condivisione; per gli ammalati dovremmo parlare di immedesimazione, perché lo stato di malattia pone, per se stesso, delle distanze tra sani e malati.

Devo saper vivere la situazione dell’infermo come se fosse mia per portare a lui la Parola del Signore, che soffre in lui nel mistero della Sua presenza nella storia.

 

 

La Comunità cristiana educa alla diaconia della Carità (ETC 45-47).

La formazione al ministero della carità si attua in luoghi e tempi diversi. Qui, fermiamo la nostra attenzione sulle comunità vocazionali.

 

La comunità vocazionale

Nei progetti a medio e lungo termine, come nella vita quotidiana, la comunità vocazionale necessita di spazi e tempi adatti per poter favorire la formazione spirituale, intellettuale e comunitaria; senza di essi, la comunità vocazionale tradirebbe il suo compito.

Non si può ignorare, tuttavia, la necessità di abilitare, in maniera concreta, il futuro presbitero ed il candidato alla vita consacrata alla diaconia della Carità.

Non è lontano da noi il rischio di una comunità vocazionale che quotidianamente si dissolva nel contatto con la realtà esterna tanto da perdere la sua identità e da non permettere nemmeno un serio discernimento vocazionale.

Non dobbiamo, però, nascondere il rischio di creare presbiteri e consacrati dalla visione intimistica o, addirittura, borghese e privi, comunque, di una attitudine concreta al servizio ed al dialogo anche più semplice, con il povero e l’ammalato.

Secondo la Pastores dabo vobis (58), la formazione pastorale e, al centro di essa, la diaconia della Carità entra a pieno diritto nella proposta educativa della comunità vocazionale.

 

Itinerari educativi e formazione a “Visitare gli infermi”

Ognuno di noi, nella sua singolare personalità, è responsabile degli itinerari di risposta alla “chiamata” di Dio. Il “chiamato” segue le necessarie indicazioni della Chiesa e, in particolare, della comunità vocazionale, percorre i sentieri della preparazione al ministero o alla vita consacrata sotto la guida degli educatori e del direttore spirituale.

Una buona formazione alla diaconia della carità è insita nel tessuto stesso della vita comunitaria, se abbracciata con spirito di fede, con serietà e gioia. Tuttavia, a mio parere, anche i progetti formativi devono prevedere guide, spazi e tempi propri per la preparazione al servizio dei poveri, dei deboli e degli infermi in particolare.

Il tempo delle vacanze estive, il periodo di preparazione all’accolitato ed al diaconato, altri momenti significativi nella preparazione alla vita religiosa sono destinati ad esperienze diverse dal servizio agli ammalati.

La creatività e la generosità degli educatori e dei giovani saranno di sicuro aiuto nell’inventare occasioni di incontro e di servizio agli ammalati nel tempo della formazione fecondo ed insostituibile come la primavera. Si tratta di iniziative già attuate in non poche comunità vocazionali: esse vanno dal semplice inserimento in gruppi di volontariato (vedi Cottolengo) all’affiancarsi nei fine settimana a quanti, Cappellani o Suore, si dedicano alla cura spirituale degli ammalati; dalla animazione di particolari celebrazioni liturgiche negli ospedali alla “visita” costante agli ammalati della Parrocchia in cui si svolge l’iniziazione pastorale per giungere fino al servizio delicato, posto in essere da qualche gruppo di seminaristi insieme al proprio animatore, al sieropositivo ed all’ammalato di AIDS.

 

L’Eucaristia, fonte di Carità generosa ed operante

La garanzia che tutto il fervore di incontro con gli ammalati non sarà una ricerca di evasione dal lavoro educativo si avrà in una pietà solida e, soprattutto, nella centralità dell’Eucaristia nella vita quotidiana di ogni “chiamato” (PdV 23 – ETC 17).

Attingendo forza di agire e luminosità di ideali alla Fonte della Vita, sapremo trovare e vivere gli spazi per “visitare gli infermi” a “nostre spese”, sacrificando cioè tempi e risorse del nostro tempo libero ed educandoci fin da giovani a non vivere per noi stessi, neppure per un attimo, e a dedicare tutta la nostra esistenza a Dio ed ai fratelli.