La potenzialità della scuola in ordine ai significati della persona
In un volume collettaneo, pubblicato dall’Editrice La Scuola nel 1989 e curato da Norberto Galli, significativamente intitolato Quali valori nella scuola distato, cercavo di mostrare come l’istituzione-scuola, anche nella sua specificità di scuola della modernità, non possa indulgere alla sottile tentazione del disimpegno valoriale, senza tradire la propria essenza e il suo essere-scuola. La scuola, anche quella della modernità laica e secolarizzata dell’occidente, ha a che fare con l’educazione e con le persone umane. Essa certo si configura “tecnicamente” in modo tale che bambini, fanciulli, ragazzi e giovani, diventano “scolari”, alunni e studenti; ma è tanto più scuola quanto più riesce a richiamare di continuo a se stessa che scolari, alunni e studenti sono persone in fase di crescita, di sviluppo e di formazione. E le persone sono non solo intelligenza, sviluppo cognitivo, soggetti epistemici, menti modulari, formæ mentis, ma sono anche relazionalità, intenzionalità, interiorità, affettività, moralità, emotività, autenticità e via di seguito. In una sola parola sono “esistenze umane” anche mentre stanno nei banchi, con tutta la polivalenza-complessità di “significati” e la “pregnanza di senso” che tali termini richiamano.
Solamente “istruzione”?
È una questione al tempo stesso “ricorrente” e “nuova”. Per tanti versi, a partire dalla “modernità” e dalla connessa secolarizzazione radicale, la tendenza a “rispecificarsi” della scuola, nel senso della sua funzione tecnica (istruttiva, informativa, scientifico-tecnologia, trasmissiva di saperi riconosciuti e consolidati) si fa precipitosa. Nella cosiddetta società pluralista, complessa e postmoderna (tutte “metafore” approssimativamente “interpretative” di alcuni “tratti” dell’epoca in cui viviamo) una certa Stimmung relativista (e tendenzialmente nichilista) teorizza e produce una sorta di radicale divisione del lavoro educativo (apparentemente solo tecnica, ma fortemente ideologica), in base alla quale alla scuola pubblica spetterebbe solo il compito di istruire. La scuola pubblica di uno Stato democratico, laico e pluralista non sopporterebbe la dimensione educativa se non entro limiti compatibili con la laicità, la neutralità ideologica e il pluralismo. Rispetto a tali posizioni assai diffuse, nel testo sopra richiamato del 1989 scrivevo testualmente: “L’aspetto specifico, da un lato, concerne la natura della scuola pubblica moderna, e, dall’altro, la relazione tra istruzione e formazione educativa, fra trasmissione di conoscenze e tecniche e promozione di valori. Ed è inutile nascondersi che in questa fine secolo, disincantata e dominata dalla razionalità tecnologico-scientifica, mentre la scuola di massa è apparato dello stato laico, il sentiero che conduce ad una considerazione unitaria dell’educazione, come processo globale contestualmente coinvolgente linguaggi, tecniche e valori, si fa sempre più stretto e rischia di interrompersi”. Ma una scuola che separa tecniche (polo istruttivo) e valori (polo educativo) e che programmaticamente e intenzionalmente riduce se stessa (perseguendo un’inconcepibile istruzione pura, per la cui critica occorre molto meno del genio di Kant) a gigantesca intermediazione formale (giuridica) di saperi neutri (o presunti tali) snatura il nesso analogico – complementare – bipolare tra educazione della persona e istruzione – sviluppo – apprendimento – socializzazione.
E, difatti, una volta definita l’educazione quale auto-sviluppo aiutato e guidato culturalmente e socialmente del soggetto – persona in senso globale, polivalente e multilaterale in vista di una costellazione di valori e di un orizzonte di senso, appare del tutto evidente che essa presuppone istruzione, sviluppo, apprendimento e socializzazione, ma non si esaurisce in nessuna di tali operazioni prese per sé.
E, così, istruzione, sviluppo, apprendimento, socializzazione si pongono come condizioni necessarie ma non sufficienti per il darsi del processo educativo. La scuola, anche quella laica e democratica, non può sfuggire a tali condizioni e a tali criteri ineludibili.
Istruzione “per” l’educazione
Essa non può ignorare che si può essere istruiti e sviluppati e non essere educati. E le potenzialità polivalenti della persona non possono essere ignorate dall’educazione scolastica. La scuola moderna, certo, non può ignorare complessi problemi di pluralismo e di criticità laica, considerati come fattori positivi se non si pretende di annullare qualsiasi riferimento ai valori. Essa deve continuamente stare attenta a non far scadere una caricatura dell’educativo nell’elemento ideologico o, peggio, nel dottrinario (indottrinamento) fino allo scadimento propagandistico.
E, tuttavia, pur con tutte le cautele che la delicatezza della dimensione educativa pretende in una scuola democratica e pluralista, non si può negare che esiste una dimensione vocazionale che inerisce al cammino dell’esistenza giovanile e della crescita e di cui è possibile far emergere le potenzialità anche nella scuola. È G. Marcel che mostra come all’esistenza inerisca una sorta di appello che spesso ne costituisce il senso autentico. E tra i pedagogisti, dobbiamo a E. Devaud l’accentuazione del nesso tra educazione e vocazione.
Vocazione significa essere chiamati per il senso autentico della vita e per mostrarne agli altri il filo; per altri aspetti quella dell’educazione è una strada che presuppone la donazione agli altri della propria speranza. Educare, in tale prospettiva, significa promuovere la vocazione alla risposta all’appello della propria profonda dimensione esistenziale.
La scuola può portare il proprio contributo alla costruzione di una risposta che coincida con l’autorealizzazione della persona nel senso dell’educazione.