L’onestà intellettuale dell’insegnante
La ricerca pedagogica odierna dedica ampi spazi e una precisa attenzione alla “definizione” del profilo dell’insegnante ed alla costruzione della sua specifica professionalità, sollecitando, e talvolta orientando, provvedimenti legislativi capaci di riconoscere sul piano giuridico-istituzionale l’importanza del suo ruolo e di garantire i suoi diritti di professionista.
Complessivamente, pur nella diversità degli orientamenti sono valorizzate le “competenze” degli insegnanti, mentre scarsa considerazione viene riservata alla dimensione etica e deontologica delle professioni educative che di esse, come di ogni professione, è un elemento costitutivo e quindi irrinunciabile, che sostiene gli altri (cioè le competenze e la relazionalità) e interagisce con essi.
A questa dimensione si riconduce la questione dell’onestà intellettuale cioè di una particolare virtù morale, che è legata alla cultura, all’intelligenza e alla razionalità richieste ad ogni professionista e che si esprime diversamente nelle varie professioni. Per quanto riguarda quelle educative essa interessa preliminarmente la scelta delle stesse, chiede il confronto con le proprie attitudini e con quelle che comunemente vengono indicate come “doti generali di personalità” o “di umanità”, conoscenza e coscienza di sé e del significato dell’educazione, volontà e capacità di rispettare ogni persona, disponibilità intellettuale. Pertanto implica un preciso impegno nella formazione professionale iniziale e in servizio e una tensione etica che consente di migliorare se stessi e di educare consenso di “responsabilità” nei confronti dell’istituzione in cui si opera e dei soggetti che hanno il diritto di concretizzare il loro diritto all’educazione.
Onestà intellettuale e libertà di insegnamento
Nello svolgimento della professione l’onestà intellettuale dell’insegnante trova un banco di prova nel corretto esercizio della libertà di insegnamento, che mentre è un diritto, il cui riconoscimento è frutto di un processo di coscientizzazione, che la comunità sociale ha vissuto e che ha coinvolto direttamenti i docenti, per diventare effettiva, per “incerarsi”, è chiamata a specificarsi come espressione di una deontologia che si concretizza in un continuo impegno di qualificazione professionale. Infatti la libertà di insegnamento, il cui significato è molto più ampio di quello dell’autonomia didattica, che di essa è soltanto un aspetto, impegna tutto l’essere ed il farsi insegnanti, esige un rapporto leale con la propria professione, la coscienza del valore dell’educazione, una cultura profonda e capacità di produrre cultura, una formazione pedagogica e didattica, una responsabilità sociale, illuminata da una concezione dell’uomo, ispirata al rispetto del valore e dei diritti della persona, della sua libertà e del senso della democrazia.
Nella scuola la libertà di insegnamento è chiamata a confrontarsi con il diritto-dovere degli alunni di educarsi. Pertanto se l’insegnante, come cittadino, ha il diritto di esercitare la libertà di pensiero, di esprimere la sua creatività, di comunicare e trasmettere i risultati delle sue ricerche, nel momento in cui insegna non può ignorare i diritti di chi apprende, sanciti, tra l’altro, anche dalla nostra Costituzione.
Infatti l’alunno che va a scuola, mentre assolve un dovere civico, esercita il suo diritto di affermare ed esprimere la propria congruenza umana, di auto-realizzarsi attraverso la gratificazione che deriva dall’apprendimento, dalla conquista della cultura, grazie all’efficienza ed al dinamismo che essi conferiscono alle varie funzioni che interagiscono nella personalità individuale. L’insegnante, indipendentemente dal suo credo o dalle scelte che ha effettuato e viene effettuando circa i valori portanti la civiltà, le concezioni dell’uomo e del suo “destino”, non può far violenza al diritto dell’alunno ad autorealizzarsi, ad affermarsi autenticamente ed in maniera originale. Pertanto il docente mentre sul piano metodologico, è chiamato a mettere in atto una prassi educativa, capace di sollecitare le potenzialità della persona, sul piano dei valori è impegnato a conoscere la funzione che la pluralità degli orientamenti valoriali e politici esercita nella vita democratica, a preoccuparsi non delle ideologie che saranno professate dai suoi alunni ma ad operare in modo che “non sia manomesso il loro dinamismo funzionale”, affinché “mentre esso si svolge” i giovani possano apprendere criticamente, “scegliendo e selezionando messaggi ed esperienze in modo da confortare il proprio sviluppo con tutto ciò che di umano e di umanizzante può essere offerto dalle esperienze umane”[1].
Infatti la libertà di insegnamento dei docenti, mentre è chiamata a confrontarsi con la libertà di apprendimento degli alunni, è chiamata anche a rispettare il diritto degli stessi a conquistare la cultura, ad elaborarla, a produrla, attraverso un impegno di mediazione critica, che si articola nella direzione religiosa, etica, sociale, culturale, estetica, ecc.
L’orientamento ideologico dell’insegnante, se è realmente frutto di un coinvolgimento personale, raggiunto attraverso un impegno critico e culturale, un meditato confronto di idee e di posizioni diverse, non può non stimolare il docente stesso a promuovere negli alunni la conquista di convincimenti propri, evitando un’impostazione “acritica ed asettica” del proprio insegnamento e l’imposizione delle proprie idee alla scolaresca. D’altronde le garanzie connesse con il diritto alla libertà di insegnamento permettono agli insegnanti non solo di muoversi con autonomia nella ricerca e nell’impiego delle metodologie ma anche nella scelta e nella sistemazione dei contenuti, di seguire i criteri del pluralismo e dell’oggettività. Possono essere utilizzati contributi, informazioni, testi di diverso orientamento umano, letterario, storico, sociale, ecc., per leggere una realtà, per conoscere un problema nelle sue varie componenti e nelle varie soluzioni e la conoscenza sarà sempre frutto di mediazioni critiche, di una pluralità di indagini, condotte da prospettive diverse, volte a superare ciò che è preconcetto, capzioso, retrivo, mistificatorio. Ed anche se il raggiungimento dell’oggettività può essere considerato (e giustamente) difficile (specie quando si tratta di criticare situazioni in cui siamo coinvolti), costituisce sempre un ideale perseguibile da coloro che intendono educare criticamente, perché la ricerca dell’oggettività comporta “il dovere di informarsi con esattezza, di documentarsi, di considerare i problemi da molteplici punti di vista”. Perseguendo i criteri del pluralismo e dell’obiettività, del dialogo ravvicinato e personalizzato e del confronto, l’insegnante, mentre esercita il suo diritto alla libertà di insegnamento, educa alla critica e quindi alla scelta libera e responsabile, evitando di “trasmettere” una cultura già costituita (sia che si tratti di quella “scolastica” tradizionale, sia che si tratti di una cultura che si proclama “alternativa”), sollecitando la conquista del patrimonio culturale e le qualità creative dell’alunno, la sua capacità di conoscersi e di tenersi per mano, in vista della formazione completa ed autentica della sua personalità e della realizzazione di una nuova cultura[2].
Onestà intellettuale e competenze professionali
Oggi, come ieri, all’insegnante che voglia essere un educatore, si richiede il possesso di qualità umane, quali la serietà, l’onestà, lo scrupolo nell’esecuzione del proprio lavoro, una competenza ed una disponibilità “sociale”, che arricchiscono ed alimentano la competenza stessa e permettono di esprimere nel piano operativo, nell’incontro con la comunità educante, i principi e la responsabilità morale che danno impulso e vigore alla sua professione di insegnante. Le qualità umane, che sempre sono state richieste al docente, oggi costituiscono solo i presupposti della sua professionalità, la quale acquisisce la sua specificità, grazie alle sue competenze ed alla sua disponibilità sociale, che, non più limitata al rapporto con gli alunni e con i superiori, implica incontri e confronti qualificati e qualificanti con la comunità scolastica e con la più ampia comunità educante[3].
D’altronde lo stesso concetto di competenza subisce oggi profonde revisioni. E, se al maestro di ieri si richiedeva “l’arte del saper insegnare”, cioè il possesso di un metodo sempre ed universalmente valido, ed al professore il possesso dei contenuti della sua materia, di cui egli diveniva il rigido “custode”, oggi il concetto di competenza si articola in varie dimensioni e prevede un arricchimento, un cambiamento, un potenziamento della stessa, che, pur presupponendo una formazione di base, esige un rinnovamento continuo tanto da non essere più un patrimonio acquisito e da difendere, ma un obiettivo da conseguire con il nostro essere e farsi quotidianamente insegnanti. Pertanto oggi il docente è competente soltanto quando conosce la struttura della sua disciplina di insegnamento, i processi e le operazioni tipiche della “sua” materia, “i mutamenti che avvengono nelle concezioni ispiratrici della ricerca e degli indirizzi di ricerca e di impostazione”[4] e se alimenta la propria formazione ed illumina la propria azione attraverso lo studio “dei classici, della filosofia, della letteratura, della cultura generale per avere l’idea precisa del dover essere dell’uomo”[5], per potenziare il suo impegno umano e sociale. Inoltre è competente quando è in grado di conoscere lo status, cioè il momento “l’età culturale” e le situazioni in cui vive l’alunno per utilizzare metodologie e strategie didattiche, strumenti e tecniche capaci di rendere proficua ed efficiente l’azione educativa. Questa competenza trova l’opportunità di potenziarsi in maniera più specifica nella direzione sociale della professione docente, che si articola nel rapporto con gli alunni, nel rapporto con la comunità scolastica, nei rapporti con la realtà culturale, socio-economico-produttiva[6].
La conquista di questa competenza è legata alla ricerca, spesso collegata all’esperienza, sollecitata da essa, destinata a modificarla, sorretta dalla tensione etica. Nell’esercizio della professione docente vengono quindi a stimolarsi reciprocamente e ad ibridarsi fecondamente l’agire e il conoscere.
Ma è pur sempre ed “esclusivamente” il rispetto della persona dell’alunno (e vorremmo aggiungere “l’amore pedagogico” che può essere sorretto oltre che dalla cultura dall’“amore evangelico”), del suo valore, del suo potenziale umano, della sua possibilità di educazione e di autoeducazione, che implicando una positiva e stimolante relazione educativa, consente all’insegnante intellettualmente onesto di svegliare e coltivare la sua singolare umanità, la capacità di conoscere e di conoscersi, di riflettere sulla sua interiorità e sulle sue esperienze, di tenere “segreti” colloqui con se stesso, di conquistare la consapevolezza della propria identità, di porsi domande di senso, di scoprire la “propria vocazione” per progettare la propria esistenza con piena coscienza di sé e con “speranza”…
Note
[1] M. Mencarelli, La libertà di chi insegna e di chi apprende, in Scuola Italiana Moderna, n. 7/1976, pagg. 8-9.
[2] S. S. Macchietti, Funzione docente e libertà d’insegnamento, in AA.VV., Scuola media struttura e contenuto oggi (a cura di M. Mencarelli), La Scuola, Brescia 1979, pagg. 43-44.
[3] Ib., pag. 45.
[4] Cfr. M. Mencarelli, Scuola in prospettiva, La Scuola, Brescia 1973.
[5] Ib.
[6] Cfr. S.S. Macchietti, Funzione docente e libertà d’insegnamento, in AA.VV., Scuola media struttura e contenuto oggi (a cura di M. Mencarelli), cit.