“Feste” e “riti di passaggio”: tappe significative nel cammino di fede e maturazione vocazionale dei giovani
Anche i ragazzi e giovani della mia parrocchia, impegnati in un cammino di fede, si ritrovano per dei momenti di festa. Tutte le occasioni sono buone per stare insieme: compleanni, partenza per il servizio di leva, laurea, l’assunzione al lavoro, ecc.
A ben pensare, molte di queste feste corrispondono a tante tappe che scandiscono la vita anagrafica e sociale di una persona. Alcune di queste feste hanno addirittura una motivazione religiosa e una rilevanza ecclesiale, segnando dei “passaggi” ecclesiali legati alla celebrazione di alcuni sacramenti.
Il presente numero di ‘Vocazioni’ intende aprire una riflessione in merito, offrire orientamenti, proporre esperienze perché da parte della comunità ecclesiale si creino le condizioni affinché tali “tappe” e “passaggi” siano vissuti dai giovani non fine a se stessi ma per il valore sociale ed ecclesiale che hanno nonché per la prospettiva vocazionale che possono assumere.
Mettendo a fuoco questa tematica ed esperienza giovanile è forse opportuno chiedersi, fermo restando il significato e valore di “festa” che hanno di per sé queste occasioni, a quali condizioni possono proporsi come “strade” “nuove” per una vera e propria evangelizzazione delle giovani generazioni.
L’iniziazione cristiana, fatto teologicamente molto serio e fondato nella storia della vita cristiana, è oggi per le giovani generazioni un fatto sempre più incompiuto. Anche se l’iniziazione cristiana dei ragazzi nella comunità cristiana è oggi curata con attenzione, alla prova dei fatti, ad ogni passaggio della crescita e del cammino di fede di un giovane si ha l’impressione di ripartire sempre da capo.
Alcuni interrogativi sono quindi d’obbligo: di fronte ad un giovane che oggi è solito rinviare le scelte fondamentali di vita, quali sono gli elementi della cultura contemporanea che evidenziano tale comportamento? In particolare: come valorizzare tali “passaggi” della vita sociale ed ecclesiale in vista di una responsabilizzazione umano-sociale ed ecclesiale vocazionale?
La risposta a tali interrogativi fa parte della stessa ricerca giovanile: “nel modello effimero, soggettivo e frammentato proposto dalla cultura contemporanea, il giovane non sa più a che cosa aspirare, come scandire i propri tempi e quale importanza dare alle tappe fondamentali della propria vita…”[1].
La prospettiva educativa di fondo della comunità cristiana – ovvero il compito della trasmissione della fede alle nuove generazioni e della loro educazione a un’integrale testimonianza di vita cristiana – ci orienta anzitutto a far uscire dal compromesso o dall’effimero il modo di vivere, da parte dei giovani, tali “feste” o “riti di passaggio” della vita sociale ed ecclesiale. Si tratta di aiutare i giovani a recuperare anzitutto la motivazione di fede e la prospettiva vocazionale che di fatto hanno o possono avere tali “passaggi” nella vita del cristiano.
Gli “Orientamenti della Chiesa Italiana per gli anni ‘90” ci offrono una prospettiva di grande respiro: “Occorre puntare su proposte essenziali e forti, coinvolgenti, che non chiudano i giovani in prospettive di compromesso o nei loro mondi esclusivi, ma li aprano alla più vasta comunità della chiesa, della società e della mondialità”[2].
La prospettiva della pastorale giovanile è poi la consapevolezza – sia dei giovani che degli educatori – di non dequalificare questi “riti di passaggio”; vivendoli in modo “pagano” o isolandoli dal cammino di fede, inteso come un vero e proprio ‘itinerario’ per la maturazione globale che i giovani stanno vivendo nella comunità cristiana.
“Chiedere itinerari per un cammino educativo cristiano significa desiderare una descrizione sintetica delle vie da percorrere per giungere alfine della vita cristiana… Questo può essere espresso con diverse parole e ricorrendo a diverse metafore: la maturità della fede, l’espansione piena della persona in Cristo, l’inserzione adulta nel Corpo del Signore con l’assunzione delle proprie responsabilità nella chiesa e nel mondo…” [3].
Le “feste” e “riti di passaggio” propri dei percorsi giovanili – che rivelano tra i giovani un forte bisogno di incontro, di relazioni, di sentirsi accolti – provocano la comunità cristiana a rispondere ad interrogativi di fondo della pastorale giovanile: “quale itinerario di crescita nella fede viene offerto fino ad assumere uno stile di vita cristiano, e come far sì che questo itinerario sia offerto e accettabile sia per i giovani della ‘soglia’ sia per coloro che già in partenza sentono di affermare che nella loro vita Cristo è il Signore?”.
Già alcune proposte educative di fede ecclesiale – si pensi all’Agesci – strutturano il loro itinerario educativo con dei “passaggi” che segnano, attraverso anche dei “riti” suggestivi nonché di festa, la progressione umana e spirituale dei ragazzi, adolescenti e giovani.
Altri itinerari di fede giovanili parrocchiali, meno strutturati ma che hanno a fondamento le seguenti dimensioni proprie di un cammino di fede – la maturità umana, l’incontro autentico con Gesù Cristo, l’esperienza di un’intensa appartenenza ecclesiale, la capacità d’impegnarsi per il Regno ovvero per un serio discernimento vocazionale – stanno mirando e conducendo i giovani verso la cosiddetta “professione di fede dei diciottenni”.
In un cammino di fede siffatto, che trova completezza nel fatto di essere un naturale accompagnamento vocazionale della persona, le “feste” o “riti di passaggio” possono essere dunque dei momenti significativi nel processo globale di educazione cristiano-ecclesiale dei giovani, che mira alla maturazione globale della persona.
Le “feste” o “riti di passaggio” hanno quindi significato educativo, sia in vista della maturazione della fede sia in vista della maturazione vocazionale, nella misura in cui tutto il cammino globale di fede “è orientato a far scoprire ai giovani un progetto originale di vita cristiana da assumere con progressiva consapevolezza: un insieme di percezioni di fede, scelte di valori e atteggiamenti evangelici. Si tratta di vivere appunto una spiritualità di cui, in armonia col cammino percorso, si colgano questi tratti caratterizzanti o nuclei fondamentali:
– Spiritualità del quotidiano
Il quotidiano ispirato a Gesù di Nazareth è il luogo in cui il giovane riconosce la presenza operosa di Dio che vive la sua realizzazione personale.
– Spiritualità della gioia e dell’ottimismo
Il quotidiano va vissuto nella gioia e nell’ottimismo, senza rinunciare per questo all’impegno e alla responsabilità.
– Spiritualità dell’amicizia con il Signore Gesù
Il quotidiano è ricreato dal Cristo della Pasqua che dà le ragioni della speranza e introduce in una vita che trova in Lui la pienezza di senso.
– Spiritualità di comunione ecclesiale
Il quotidiano si sperimenta nella Chiesa, ambiente naturale per la crescita nella fede attraverso i sacramenti. Nella Chiesa troviamo Maria, prima credente, che precede, accompagna e ispira.
– Spiritualità di servizio responsabile
Il quotidiano viene consegnato ai giovani in un servizio generoso, ordinario e straordinario” [4].
Le “feste” e i “riti di passaggio” assumono quindi nella comunità cristiana un significato educativo alla fede e alla vocazione se espressione di un cammino di fede e se inseriti in una profonda “spiritualità del quotidiano”.
Note
[1] S. Burgalassi, Progettualità e scansione delle età. Un problema nuovo?, in Comunità, Mensile per il rinnovamento della pastorale parrocchiale attraverso le CEB, Luglio/Agosto 1994, n. 7-8, p. 9.
[2] CEI, Evangelizzazione e Testimonianza della Carità, n. 44-45.
[3] C.M. Martini, Itinerari Educativi, in Programmi pastorali diocesani, EDB 1980-1990, p. 486.
[4] L. Perrelli, Una risposta alle “sfide” dei giovani, in Comunità, idem, Luglio/Agosto 1994, n. 7-8, p. 3.