Il servizio civile e l’anno di volontariato sociale: tempo di discernimento vocazionale?
Nell’età giovanile, in genere verso i 18 anni, si profila la decisione del servizio civile. Qualcuno vi approda spinto dagli avvenimenti (o si fa la naia o si fa il servizio civile) qualcun altro ci ha ragionato a lungo, ha sentito amici, ha seguito corsi e ha deciso. Un anno della vita lo posso rischiare in un’avventura disinteressata. Non facciamo menzione degli imboscati, di quelli che vogliono solo evitare il servizio militare, anche se il confine tra l’evitare e il volere positivamente diventa sempre più labile, perché comunque chi imbocca l’esperienza dell’obiezione di coscienza che poi si trasforma in servizio civile è sempre da educare ai valori solo intuiti o vagamente desiderati. Come a dire, si può partire alla leggera, ma non si può non approdare a scelte decisive per la vita.
Una tappa della vita
È una tappa della vita che si porta dentro tutto il sapore di un passaggio: dalla vita condotta dalle cose o dagli altri alla vita condotta da me; una prova per dire che ci sono, che cosa valgo, che idee mi qualificano, come mi posso scostare dal branco. In genere da questa esperienza non si torna più indietro, lascia una traccia nella vita. La lascia anche il servizio militare, nonostante le dichiarazioni in contrario, per questo si chiama naia, il nome di un serpente che quando morde lascia il segno. Si dice spesso che il volontariato ha tarpato le ali a non pochi giovani che potevano fare scelte più definitive. Non sono d’accordo, nella mia esperienza ho conosciuto parecchi ragazzi che proprio a partire da quella esperienza hanno saputo dare un sapore diverso alle scelte fondamentali della vita, non esclusa quella del presbiterato o della vita religiosa. Un discorso un po’ diverso va fatto per l’anno di volontariato sociale rivolto soprattutto alle ragazze. È un’esperienza non molto diffusa o, per lo meno, non omogeneamente in tutta Italia. Ha ancora il sapore acerbo dei primi tentativi, ma dimostra anch’essa di essere un momento di: fermiamoci, facciamo il punto sulla vita e decidiamo che cosa farne per il futuro. La perla che si porta dentro è l’esperienza di vita comunitaria tra ragazze, senza essere orientate già a una comunità religiosa e senza essere in ricupero perché drogate o altro. Delle ragazze sane vivono assieme e si aiutano a vicenda lavorando per gli altri a dare senso alla vita.
Un tirocinio per scelte di vita
Perché il tempo del volontariato diventi un momento di crescita e di maturazione della propria scelta globale di vita o di una risposta generosa a una chiamata occorre mettere in atto una serie di attenzioni, che possono sembrarci i passi di un itinerario, per aiutare il giovane a fare chiarezza e a dare valore a ogni intuizione che gli si affaccia durante questa esperienza singolare. Si tratta di passare dalla scelta temporanea al tempo pieno nella gratuità, entro una forma di vita che lo incarna stabilmente.
– La valorizzazione delle motivazioni e il loro incanalamento
Ogni decisione giovanile parte da molteplici motivazioni, non tutte del tutto “pulite”. È così delle scelte più banali, ma anche delle scelte più profonde come quella della fede.
Uno va al gruppo perché ci sono gli amici o le amiche o perché non sa come impiegare il tempo dell’estate oppure perché gli piace star assieme agli altri, oppure perché vuol fuggire la protezione dei genitori… Così chi sceglie il volontariato o il servizio civile parte da molteplici motivazioni. Le motivazioni sono come delle energie che si sprigionano in una vita: vanno in tante direzioni, anche contrastanti, non sono tutte della stessa intensità, non hanno lo stesso verso, ma sono sempre energie. Occorre qualcuno che le incanala per arrivare all’obiettivo. Incanalarle significa metterle a confronto con l’obiettivo, con una direzione, passare dal perché al chi è, dal perché ho scelto di fare il volontario al chi è il volontario. Cresce allora una lenta purificazione e convergenza al fine senza perdere la forza che ha innescato il movimento. È un lavoro di confronto, di esperienza pilotata, di compagnia e di responsabilità personale, entro un’atmosfera di comprensione e di aiuto.
– La collocazione del servizio in un’attività gratuita
Il primo tradimento di un volontariato è di farlo diventare una comoda supplenza di posti di lavoro per risparmiare lo stipendio o un parcheggio per sviluppare, si dice, creatività senza un minimo di progetto e di accompagnamento. In genere si parte da collocazioni temporanee e si finisce con farle diventare stabili. Un giovane che voleva esprimere il meglio di sé si sente usato, comandato a orario di lavoro, sprecato. Voleva fare della sua vita qualcosa di utile, finisce per fare il fattorino, sempre a disposizione, o il portinaio, o la ragazza della fotocopiatrice. Non si tratta qui di sceverare tra impieghi nobili e impieghi frustranti. Un ragazzo farebbe anche volentieri il fattorino se questo fosse visto dentro un progetto di servizio a cui anche lui ha dato il suo contributo di inventiva, di cui lui fa parte, che rivede negli obiettivi con i suoi amici, che colloca dentro una scelta più grande. Tenendo conto poi della giovane età e del fine che si vuol ottenere occorre favorire il giovane a incarnare il suo tempo di servizio in un contatto diretto con le persone, in una comunicazione alta, in un coinvolgimento personale. Ci sarà anche il tempo del lavoro a tavolino o di segreteria, ma non prima di aver sperimentato in diretta la sua capacità di dono.
– L’iter formativo che lo accompagna
Il periodo di servizio deve essere sostenuto da un percorso che collega attività a risonanza interiore, a comunicazione profonda dell’esperienza, a valutazione dei momenti di maggior conflittualità, a revisione, a tenuta delle motivazioni, a discernimento delle nuove prospettive che si aprono. Si deve sviluppare quello che di solito chiamiamo iter formativo, cioè un riportare alla propria struttura di personalità e al centro che si è data tutta l’esperienza fatta. In altre parole si deve centrare sulla spiritualità del giovane. Non è un momento separato, quasi una serie di ritiri o di giornate di raccoglimento di cui bisogna costellare il periodo del volontariato, ma piuttosto di quello che tali iniziative vogliono servire, cioè l’unità interiore.
– La vita di comunità
A questo scopo serve poter vivere assieme tra giovani, in un clima di confronto e di servizio vicendevole. In un mondo di figli unici, o di giovani orientati a stare con gli altri solo per la propria realizzazione, è necessario invertire la tendenza culturale del “single”, e far crescere anche faticosamente il confronto concreto, puntuale, quotidiano con la vita, le aspirazioni, i bisogni, le pretese, le scappatoie, i piccoli egoismi degli altri, ma anche con la bellezza di sentirsi assieme a cercare, di aiutarsi l’un l’altro, di sostenersi a vicenda, di rendere sempre praticabile la comunicazione senza soluzione di continuità, di vivere momenti di silenzio popolati dalla presenza interpellante dell’altro.
– L’accoglienza ecclesiale
La comunità cristiana fa da grembo materno all’esperienza, vede in questo vivere assieme, in questi giovani che cercano e si spendono per gli altri una punta avanzata della sua capacità di proporre cammini di crescita. Dobbiamo essere sinceri nel dire che come comunità cristiana abbiamo stentato parecchio ad accogliere il volontariato tra le esperienze tipiche di una crescita giovanile. L’hanno costruito loro con la loro forza e ancora nella comunità ci sono resistenze o sfiducia fatta di un elenco pure vero di difetti che esso si porta dietro. Oggi il volontariato tende la mano alla comunità perché ne faccia un luogo formativo e perché vi impieghi prima di tutto le sue energie e possibilità di accompagnamento e non solo le pretese di avere dei servizi. L’esperienza di una comunità che fa dell’educativo uno dei modi principali di esprimere la sua chiamata ad essere segno di comunione con Dio e degli uomini tra loro permette ai giovani di collocarvisi ancora con maggior consapevolezza e di scoprire il proprio posto, la qual cosa è molto vicina all’essere la risposta alla vocazione.
– Un’ esperienza forte di preghiera
Il cristiano non è tale se non prega. La preghiera fa parte a pieno titolo della figura di cristiano. Nell’anno di volontariato si coglie con più decisione la parentela con Cristo, con la sua vita spesa per gli altri in termini concreti e stabili. È importante allora aiutare a cogliere anche la sua intimità col Padre, fatta pure di quelle prolungate preghiere notturne che costituivano il segreto del farsi costante in Lui della volontà o sintonia con il Padre. Sul modello di Gesù e per incontrarlo nella sua intimità è possibile sviluppare uno stile diverso di rapportarsi alla vita che è la preghiera sia personale che comunitaria. È una sorta di DNA del cristiano, del tutto originale per ciascuno, che va aiutata a segnare tutta la vita, come lo è già per dono dello Spirito in ogni uomo.
– La possibilità di contare su una guida
Per guardar dentro con continuità e per scoprirvi la voce di Dio è necessario avere una guida che aiuta. Il periodo del volontariato spesso diventa una successione travolgente di iniziative senza il tempo di valutarle per la portata che hanno per la vita della persona che le compie. La valutazione fa parte di ogni progetto educativo, ma spesso o non la si fa, o viene ridotta a fotografare l’indice di gradimento. Una guida che è qualcosa di più di un datore di lavoro o di un organizzatore di tempi di attività aiuta a tenere il filo di una crescita e di una possibilità che si sviluppa nella vita. Ha un’attenzione particolare alla Parola di Dio e ne sa cogliere l’interpellanza nei meandri dei fatti, dei sentimenti, delle conquiste e delle frustrazioni, dei rapporti, delle aspirazioni e dei sogni.