N.05
Settembre/Ottobre 1994

L’oratorio e le feste giovanili: una proposta vocazionale

L’esperienza della “memoria” è nella vita dell’uomo, una di quelle componenti che caratterizzano e condizionano particolarmente il suo tempo, la sua storia, le sue scelte.

Anche se a volte si avverte una certa allergia al passato, un voler lasciare da parte ciò che si è vissuto per far spazio alle tante e nuove esigenze e bisogni, c’è poi, dall’altra parte, in ogni uomo, una seria nostalgia, un tacito acconsentire sul suo profondo valore, un “ritornare” inconsapevole a quelle sorgenti a cui il presente non può non dissetarsi e il futuro non può non attingere nuova forza.

È quella, della “memoria”, un’esperienza umana fortemente vocazionale, infatti, nella storia e nella vicenda personale di ciascuno, il passato resta pur sempre il luogo principale dove semplici e imprevedibili motivazioni sono divenute scelte fondamentali di vita.

Se questo vale per ogni persona, è altrettanto vero per tutti quei “luoghi” chiamati, quasi per naturale vocazione, ad essere educativi alla vita, soprattutto, alle scelte di vita. Uno di questi luoghi, tradizionalmente educativi, è proprio l’Oratorio[1].

È difficile, ritengo, configurare e dare volto ad una realtà che ha visto nella storia di centinaia di anni, assumere connotati sempre nuovi, identità diverse, immagini rinnovate, da regione a regione o, addirittura, con particolarità tipiche dissimili da un paese all’altro.

L’Oratorio è da sempre immaginato come: “ambiente; luogo; palestra; struttura; esperienza; realtà…”; tanti colori per cercare di abbozzare qualcosa di parzialmente decifrabile e di tanto imprevedibile, ma che sicuramente ha, come sua identità profonda, l’essere quello spazio in cui ogni ragazzo e giovane che vi partecipa, può “conoscersi”, “confrontarsi” ed essere stimolato a maturare “delle scelte” per la vita. Tutto questo ha aperto e sollecitato da più parti in questi anni, un’indispensabile ed obbligata riflessione sull’Oratorio come scelta educativa e su ciò che comporta, per la comunità che la vive, l’averla fatta.

È nello stesso tempo, quello oratoriano, un terreno mobile poiché luogo di un’immancabile mobilità: quella di ragazzi che stanno crescendo e formandosi. Per questo diviene ancor più difficile e presuntuoso, voler trovare ed indicare ideali piste, ma, penso, possa bastare, presentare i tentativi fatti in esperienze molto concrete e semplici.

Ci si può fermare a riflettere sull’Oratorio in diversi modi e attraverso svariati metodi. Al gruppo che più da vicino ha vissuto la “fatica” di progettare un modo originale per riflettere e “far” riflettere, è parso utile cogliere l’occasione di una festa, di un momento in cui il feed back alle provocazioni delle riflessioni e le “risposte” alle inevitabili domande, potesse essere realizzato con più interlocutori e soprattutto con i giovani stessi, primi e veri soggetti protagonisti.

Ed è stata proprio la circostanza di una “grande memoria”: cento anni di vita di un Oratorio, a dare la nota, a creare un accordo, a cercare sintonia, non semplicemente per ricordare, quasi sfogliando foto di un album dimenticato, ma per “ripensare oggi”, un modo nuovo di proporre l’Oratorio come esperienza educativa prima ancora che luogo di ritrovo.

Questo desiderio ha accompagnato e guidato i tre momenti della “grande festa”: il lungo lavoro di preparazione, la celebrazione e il progetto successivo, nato proprio dalla riflessione, dalla verifica e dalla nuova programmazione. Tre momenti che ci sono parsi necessari perché la proposta potesse essere adeguata al ritmo stesso di vita di un giovane, che vede in se stesso compiersi tale cammino: prepararsi alla vita, celebrarla riprogettandola in modo sempre nuovo.

Una festa sappiamo può nascere da un motivo o semplicemente da un “pretesto”, inoltre vuole tendere ad un obiettivo a cui arrivare con la capacità di modellarsi a tutte quelle nuove esigenze che si possono incontrare e utilizzando tecniche e metodi adatti sia alla tipologia dei giovani a cui l’invito è rivolto, sia alla realtà in cui ci si trova.

Il tempo pensato è stato quello di tre giorni, ciascuno introdotto da uno slogan che diveniva, immancabilmente, la chiave di lettura di ciò che sarebbe stato proposto.

Nel primo giorno: “un gruppo da inventare”; si è chiesto a don Domenico Sigalini, responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile, di introdurre la festa aiutando i giovani presenti e tutti coloro che vivono in prima persona l’impegno educativo, a riflettere sull’esperienza dell’Oratorio come “luogo” educativo, soprattutto evidenziando come la scelta del “gruppo” è uno degli strumenti che trova piena efficacia se finalizzato alla crescita del singolo, se diviene sempre di più un aiuto alla scoperta e maturazione di ogni giovane.

Al dibattito in sala ha fatto seguito l’animazione vivace e coinvolgente di un gruppo musicale in una delle piazze principali del paese, quella che permetteva anche ai semplici passanti, di essere, almeno incuriositi, coinvolti a vedere e partecipare. Una scelta, questa della piazza, dettata proprio dal desiderio di coinvolgere anche tutti quei giovani che, vivendo al margine delle esperienze ecclesiali, potessero essere almeno richiamati dal “frastuono” di un complesso giovanile. Canti, balli, bans, giochi, tutto ciò, insomma, che serve per fare festa, in modo particolare per creare con spontaneità e semplicità, una festa. Non il caso ha suggerito questo momento di passaggio, ma la volontà di far vedere come artificiosi modi di stare insieme ed estenuanti ricerche di divertimenti a cui spesso i giovani ripiegano, diventano banali davanti a quella prestigiosa capacità d’inventiva che proprio i giovani posseggono e che, molte volte per pigrizia e superficialità, nascondono a se stessi e agli altri.

Un gruppo lo si può scoprire come luogo per incontrarsi, come occasione per comunicare i propri pensieri, come spazio per far festa, ma anche come mezzo per attingere forza-valori da motivazioni che sono nel profondo. Per questo il terzo momento della giornata, quello della sera, è stato dedicato ad una solenne veglia di preghiera. Le parole di S. Paolo (1Cor 12,1-13) riguardo a tutti i doni dello Spirito utili, ciascuno per la sua caratteristica e particolarità, alla formazione di una comunità, di un gruppo, hanno trovato eco nella riflessione di Mons. Renato Corti, Vescovo della diocesi di Novara, che ha visualizzato le motivazioni profonde, quelle che rientrano nel grande santuario della fede e di una fede giovane, che portano a vivere in gruppo la forte esperienza della comunione.

Il secondo giorno: “un cortile d’animare”, è stato quello più esperienziale. Divisi in due grandi gruppi: giovanissimi e giovani, i ragazzi sollecitati dalla proposta di don Ezio Risatti, del Centro Salesiano di Orientamento di Torino, hanno provato, attraverso anche precise tecniche d’animazione, a ritrovare dentro di sé, dentro il proprio vissuto umano, quelle motivazioni profonde che spingono ogni uomo a rendere la propria vita un dono. Forte l’intonazione vocazionale di questa giornata, tanto da portare a “mostrare” anche alla gente, agli altri, il frutto della propria ricerca e riscoperta e questo attraverso un grande gioco d’animazione per le strade del paese. Ultimo momento della giornata è stato quello vissuto con il Gruppo “GEN ROSSO”. Un concerto, sarebbe stato troppo poco. L’offerta è stata quella di una “forte” testimonianza viva ed impressionante, di come un gruppo si può formare alla luce di un Valore a cui tutti gli altri sono riconducibili e della cui luce possono risplendere. Si è trovata, in questa singolare serata, una naturale e spontanea sintesi di tutto quello di cui si era parlato e su cui ci si era confrontati nei primi due giorni.

La terza ed ultima giornata: “un messaggio da portare”; ha visto fare la proposta di due grandi momenti. Il primo quasi come un eco di ciò che si era vissuto la sera prima, è stata la “tavola rotonda” con il Gruppo “GEN ROSSO”, un momento pensato per dare ai giovani, dopo aver ricevuto molto nelle diverse esperienze, la possibilità di intervenire con tutte quelle domande o riflessioni che le varie proposte della festa avevano fatto nascere in loro. Il secondo la solenne Celebrazione Eucaristica al termine della quale si è consegnato ad ogni giovane e ai gruppi presenti, il “mandato”. Gesto semplice ma solenne nel suo valore simbolico. Era, infatti per ognuno di quei giovani, una nuova partenza, una provocazione in più a celebrare la vita come una festa attraverso tutti i colori e i suoni, da quelli della lode e del ringraziamento a quelli della supplica e dell’invocazione, sapendo che sempre c’è “un gruppo da inventare, un cortile d’animare e un messaggio da portare”.

 

 

 

Note

[1] Don Adriano Micotti, responsabile dell’oratorio di Cannobio (diocesi di Novara), riporta l’esperienza della FESTA dell’oratorio tenuta in occasione del suo centenario di nascita. Al di là del programma l’esperienza viene riletta nei suoi aspetti essenziali.