N.06
Novembre/Dicembre 1994

Giovani credenti e proposte ascetiche cristiane

A più di un operatore di pastorale nasce qualche domanda, spesso pretenziosa, se non maliziosa: “Mah! i giovani di oggi, quei campioni di cristiani che vengono tirati su con vita di gruppo, dinamiche, feste, veglie e marce, sono abituati all’ascesi cristiana? Sanno che cosa è? Ritengono ancora che essere cristiani sia come una passeggiata sul corso? Sono capaci di scelte forti e continuate o si fermano allo spontaneismo?”. E altre di questo genere. Dove, il problema di fondo è una sfiducia nei modelli educativi, oltre che nei giovani.

 

 

La spiritualità giovanile: il sospetto

Gli educatori dei giovani a loro volta hanno un sospetto non di poco conto: “Dire spiritualità giovanile e ascesi non è immediatamente avvalorare un vecchio concetto di spiritualità duro a morire, quella spiritualità che ha come asse, attorno a cui tutto si organizza, il desiderio umano di Dio?”. Viene infatti messo in grande rilievo il nostro sforzo ascetico di raggiungerlo. Dio è su un’alta montagna e lo dobbiamo conquistare arrampicandoci anche con le unghie. È una conquista difficile in questo mondo materialista e pagano ecc. Discorsi di questo genere sono duri a morire e ritornano sempre a trionfare sui loro presunti becchini.

Al di là di tutte le facili contrapposizioni resta il problema di ricercare il profilo di una spiritualità che si sviluppa coerentemente attorno all’amore divino per l’uomo. L’uomo non è il titano dell’ascetismo, ma il punto di arrivo dell’amore di Dio. Spiritualità è accoglienza incondizionata della vita di Gesù, offerta dallo Spirito. Ascetismo è inscrivere nella propria esistenza la disponibilità a lasciare che lo Spirito delinei i contorni dell’umanità di Gesù nella propria vita, accogliere la sua forza e riferirsi a Lui per lasciarsi costruire una nuova struttura di personalità che ha come elemento fondante e determinante la persona di Gesù, il suo modo di vivere, di essere, il suo pensiero, i suoi gusti, i suoi atteggiamenti. È la consapevolezza, che nasce e si distribuisce in tutti i momenti della vita, che Gesù è la roccia, è il centro di tutto, il Dio con noi.

 

 

La radicalità evangelica

C’è un sinonimo abbastanza usato dai giovani al posto di ascetismo: radicalità. È una parola che richiama al sogno o al progetto e non ancora della determinata attuazione per passi successivi di esso. Oserei dire che tra i giovani è impossibile distaccare il continuo rifarsi all’ideale dalle fatiche per raggiungerlo, il sogno dalla realtà, il progetto dai passi concreti. Il che vuol dire che non c’è ascesi senza il fascino della motivazione, la luminosità dell’amore percepito di Dio, e che nel giovane l’intensità con cui è vissuta la motivazione è un’energia indispensabile per ogni ascesi. Allora diventa possibile e prioritario il rifiuto del compromesso, il giudizio spesso impietoso sull’ipocrisia, il sogno, l’abbandonare le mezze misure, anche se tutto ciò convive con un massimo di fragilità. Radicalità lucida nel pensiero, ma drammatica nell’esperienza. È un dramma che potrebbe portare allo scoraggiamento, o che invece può ridefinire continuamente l’accoglienza della salvezza come dono gratuito di Dio e inscrivere il cammino ascetico nel suo vero alveo.

Entro questo quadro è possibile leggere le esperienze ascetiche del giovane, che sono forse quelle di sempre, compreso il mitico sacrificio, la cui carenza nel mondo giovanile crea tante delusioni o dure stigmatizzazioni della debolezza giovanile da parte degli adulti. Esercizi spirituali, digiuni periodici, la stessa vita casta, una metodica direzione spirituale, la preghiera, la sobrietà hanno cittadinanza anche nel mondo giovanile. Esiste però a mio avviso una sorta di metodologia o di caratterizzazione di queste pratiche di ascesi. Sono spesso ancora intuizioni, aspirazioni, ma non per questo meno ricercate.

 

 

I punti di non ritorno dell’ascesi giovanile

Li chiamiamo così per indicare acquisizioni legate all’esperienza e faticosamente fatte diventare obiettivo di tanti educatori. Potrebbero essere chiamati rischi o salti di qualità; sicuramente ogni giovane sente di doversi impegnare, pena il non trovare pace interiore.

 

– La preghiera, non solo le preghiere

In un tempo in cui si pensa che tutto si risolva moltiplicando di nuovo le pratiche, materializzando le devozioni, inventando formule magiche, il giovane vuole essere aiutato a non definire la sua vita cristiana, il suo rapporto con Cristo attraverso la quantità delle formule che si possono recitare o dei gesti cui si può partecipare, o dei sacramenti che si celebrano. A monte vuole il sostegno della preghiera, di quello stato d’animo, o atteggiamento da cui prendono significato tutte le preghiere. E in questo campo è più facile trovarlo impegnato. Ci sono molti giovani che pregano come loro detta il cuore, nei momenti più impensabili: hanno una vocazione alla preghiera e forse non lo sanno o non sono aiutati a viverla.

 

– Uno stile, non solo una regola

La ricerca di facili regole può ingannare, se per regola intendiamo l’affidare a un orario esterno alla vita, basato sulla nostra forza di volontà il nostro crescere. Io credo che con i giovani vale più la pena di insistere sullo stile che sulla regola, sul motivo che sul modo di viverlo. Lo stile è quello di Gesù. E qui vanno riconsiderati i consigli evangelici della povertà, castità e obbedienza, che non vengono assunti per il loro valore umano, ma perché trovano in Gesù la loro ragione di essere e il loro valore decisivo. È perché si vuole imitare, amare, unirsi strettamente a Lui che noi tentiamo di essere poveri, casti, obbedienti. Siamo affascinati dalla sua verginità, dalla sua povertà, dalla sua obbedienza. In Lui, queste realtà vitali non sono dei modi di essere casuali o di cornice, ma invadono tutta la sua esistenza di Figlio, offerta e donata a Dio e ai fratelli. L’annullamento dell’incarnazione e della morte è frutto del suo radicale amore verginale e sponsale per l’umanità e per la Chiesa. È frutto della povertà estrema, della perdita di ogni sostegno, per vivere nelle braccia del Padre. Questo annientamento è originato, infine, dalla grande libertà che Gesù si è costruito dentro, avendo affidato a Dio la sua vita. Il segreto della sua libertà è aver messo nelle mani di Dio l’esistenza (cfr. Catechismo dei giovani I, cap. IV). Pur restando fermi nella convinzione che dobbiamo rimanere aperti a tutto il vangelo, è altrettanto vero che i consigli evangelici, sono quelle realtà che dedicano a Dio e al suo Regno i dinamismi della persona, in quello che essa ha di più vitale, nella sua struttura fondamentale, in quanto toccano il suo rapporto con la natura, con l’altro e con se stessi. Non c’è cristiano che non debba trovare equilibrio in queste tre sfere della sua vita. La persona non si definisce, né si misura con il suo desiderio. I consigli evangelici sono segni e strumenti di educazione: la verginità educa al vero senso dell’amore; la scelta volontaria della povertà all’uso giusto dei beni; l’obbedienza all’uso della propria libertà personale.

 

– Una coscienza, non solo un diario

Il diario è solo la pallida esplicitazione della voce di una coscienza. “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio…” (GS 16). È il rapporto con questo Dio, Signore dell’esistenza, con la sua voce; è il momento in cui Dio istituisce la persona e il. suo mistero, la sua consistenza, la formula del suo vivere felice. Nel sacrario della nostra intimità Dio ha inscritto la legge della felicità.

Gli uomini anziché un istinto hanno una coscienza. È il luogo in cui si esprime davanti a me e su di me la legge divina. È l’armonia di un’arpa, l’uomo stesso, nell’ascolto della Parola. È una seconda natura, l’uomo nuovo creato da Dio.

Non è però un fatto isolato o isolante, ma il punto in cui l’uomo, il mondo e Dio si incontrano, rendendosi presenti l’uno all’altro. È la solitudine attiva in cui Dio chiama l’uomo a decidersi per la storia. A partire da questo evento nuovo l’uomo trova le strade del mondo. Il giovane preferisce e ne trae maggior vantaggio nella sua vita spirituale se viene aiutato a “materializzare” quasi la sua coscienza orientata alla verità. Il riferimento profondo che permane sotto le cuffie che lo isolano dalla società di giorno non può essere solo lo sfogo di qualche bella frase scritta su un diario.

 

– Una comunità, non solo un gruppo

Esiste un tempo nella vita in cui si deve camminare con le proprie gambe, in cui si sente la solitudine della diaspora. È importante allora riconoscere la limitatezza del segno della comunione con Dio che può essere la vita di gruppo. È una condizione necessaria, ma non sufficiente per acquisire spiritualità cristiana. Viviamo in un mondo che offre strutture da single, organizza la vita da single, costringe a fare i conti solo con pezzi di vita. La comunione possibile è solo quella che Dio sa tenere viva e questa comunione è incarnata nella Chiesa. Allora il nostro modo di vivere usa tutto come strumenti di questa comunione, ma sa che la comunità, la Chiesa, è viva anche nella sua esperienza di solitudine. È un riferimento visibile e invisibile, riconoscibile solo in alcuni momenti, ma sempre attivo anche nell’impossibilità di sperimentarne la concretezza. Credere nella comunità cristiana e sentirla viva nella vita è un esercizio ascetico che fonda e sostituisce le esperienze “palpabili” di gruppo.

 

– Una guida, non solo un confessore

Riuscire ad aiutare un giovane a vivere il sacramento della riconciliazione con metodicità è spesso un’impresa. Lo stato d’animo, l’occasione, il clima interiore, la persona giusta, l’aiuto di amici, un’esperienza di incontro con Dio che va in profondità, la consapevolezza del peccato, la necessità e il valore della confessione… tante sono le condizioni che si devono avverare contemporaneamente. Talvolta capita pure che le condizioni si avverano, ma il prete non ha tempo e un giovane non è capace di fare solo elenchi, vuol capirci di più, confrontarsi. Ha una vita da esporre alla Parola, non solo dei gesti o dei fatti. Ha molte domande da fare, ha bisogno di essere costretto quasi a farsi forza, a sperare, a non mollare. È la necessità di avere una guida che lo aiuta a un ascolto esigente della Parola di Dio e lo sostiene nella fatica del realizzarla. Lo stesso modo in cui sono stati intitolati questi punti di non ritorno sottintende che preghiere, regola, diario, gruppo, confessione sono necessari per l’ascesi cristiana di un giovane, ma che per lui è importante ricondurli entro un contesto più grande fatto di preghiera, stile, coscienza, comunità, guida spirituale, proprio perché l’ascesi è vista come acquisizione progettuale di atteggiamenti prima che come traduzione di essi in comportamenti.