La “regola di vita” come itinerario ascetico-vocazionale
Non c’è bisogno di avere i capelli bianchi, per ricordare la fortuna, che, negli anni ‘50, ebbe, nelle case religiose, il libro di L. Colin, intitolato: Culto della Regola. Oggi la Regola, ogni regola è in crisi, non solo nel mondo dell’etica e della vita consacrata ma anche nel civile: galateo, codice della strada e norme costituzionali comprese.
Dal culto della regola al disappunto di fronte ad ogni norma
È così. Siamo passati dal culto della Regola al fastidio e disappunto di fronte ad ogni norma. Lo spontaneismo e l’atteggiamento immediato, del momento, sembra più autentico ed attraente. Darsi una regola di vita richiama immediatamente soffocamento della personalità e prevalenza della struttura sulla persona, revival di un passato coercitivo, in cui si era dominati dai genitori, dagli educatori, dai direttori spirituali… Sembra che la libertà abiti da un’altra parte, più vicino all’anarchia che nei meccanismi di un progetto ed itinerario di vita.
In tutto questo cambio epocale, dal culto al disappunto, una sola regola rimane sovrana: ognuno ha il diritto di pensare ciò che gli va a genio. Ognuno è autorizzato a stabilire le regole del gioco, a patto però di non rendere la vita impossibile agli altri. Ma è proprio vero che le cose stanno così?
La gente della nostra società, i giovani soprattutto si proclamano liberi di pensare ciò che vogliono e di essere totalmente indipendenti, ciò nonostante, cercano disperatamente la compagnia degli amici, che la pensano come loro e l’appoggio sicuro e caldo del nido della famiglia torna importante.
I giovani si vestono made “come vi pare”, in modo anticonformista, però, in definitiva, indossano tutti gli stessi jeans, le stesse scarpe di ginnastica, gli stessi giubbotti, gli stessi orecchini e hanno lo sfizzo degli stessi tatuaggi. Ci si dichiara liberi ed indipendenti ma si ha paura della solitudine e non si può stare senza un po’ di gente attorno. Quanti giovani, che si erano allontanati, schifati ed allergici dei riti e delle norme della Chiesa, oggi fanno parte di una setta, sottoposti all’obbedienza più draconiana. C’è dell’altro.
Si dice che i giovani sono troppo furbi e disincantati per lasciarsi reclutare, adescare, imbeccare da qualsiasi organizzazione o programma. Rifiutano l’uniformità e la regolarità. Però sono particolarmente sensibili di fronte all’autenticità di vita, alle persone che agiscono coerentemente a valori e convinzioni, agli slogan, oltre naturalmente subire, senza avvedersene, la regola più schiavista della nostra società: consumare per produrre; produrre per consumare.
Sono sufficienti questi pochi flash, per renderci conto che culto della Regola non è la fortuna dei tempi andati ed il radicalismo della norma non è un’esperienza esoterica del primo monachesimo. È cambiata l’impostazione del gioco ma gli elementi ci sono tutti. È saltata la prospettiva usuale e tradizionale ma il bisogno di una regola rimane invariato. Il perché è scontato.
Qualsiasi sociologo serio afferma che non è possibile per l’uomo poter vivere senza delle regole di comportamento e di relazione. Voler essere autonomi e responsabili nelle proprie riflessioni e nei propri progetti è un diritto sacrosanto. Ma non ci si riesce senza punti di riferimento, senza una carta stradale. Non si può partire dal nulla, né proseguire senza un itinerario almeno in qualche misura delineato. Esistono forse dei computer che funzionano senza nessun programma? Non è possibile ricamare senza un canovaccio, come non è possibile impratichirsi in una lingua, in uno sport, in uno strumento musicale, senza accettare la disciplina di precise regole di apprendimento e di tempi costanti di esercizio.
C’è insomma bisogno, anche oggi, di terraferma sotto i piedi, se si vuole andare avanti, come c’è bisogno anche oggi di certezze, se pur, in molti casi, le strade della vita si presentino come incertezze. Certo, le parole norma, regola di vita, disciplina, cammino di ascesi, codice, oggi come oggi danno fastidio e creano opposizione. Tuttavia, al di là delle parole, rimane la sostanza: un prepotente bisogno di regola di vita a tutti i livelli.
Esperienze forti o esperienze di cammino?
L’interessante è che, insieme col declino e l’emarginazione dei termini e delle categorie di cui sopra, di pari passo, oggi tutti parlano di progetti, di modelli curricolari, di obiettivi, di valutazione, di metodo, di programmazione, di cantiere di lavoro personale, di piano operativo, di itinerari… Fino a pochi anni fa, invece, questi termini e problemi erano veramente lontani dalla maggior parte degli addetti ai lavori della Pastorale e degli Accompagnatori Spirituali. I contributi delle Scienze dell’Educazione con i modelli di programmazione educativa sono caduti, chissà e perché, in un terreno fertile e disponibile.
Oggi è diventato normale parlare di progetti e di itinerari di educazione alla fede. Tuttavia sono unicamente termini nuovi oppure, dietro, c’è l’esigenza di una nuova metodologia anche per quanto riguarda la formazione dei nostri giovani, una metodologia che venga incontro – nel modo giusto – ad un’esigenza antica come è antico per l’uomo darsi una regola di vita?
Molti degli operatori pastorali e dei formatori di giovani, sotto l’urgenza del fare qualcosa per educarli o ricuperarli alla fede o per aiutarli ad orientarsi nel discernimento e nella decisione vocazionale, ritengono che la cosa fondamentale, la più importante oggi, sia buttarli in esperienze forti, tipo grandi convocazioni giovanili, tipo festa giovani mondiale o regionale, tipo-incontri di scuola di preghiera, tipo campiscuola fosforescenti o pellegrinaggi/marce per la pace, ritiri di qualche giorno in ambiziosi centri di spiritualità. Sono esperienze valide ed importanti, non c’è dubbio; oserei dire “necessarie”, per maturare nella fede oggi. Chissà come mai, nella maggior parte dei casi, questi giovani, elettrizzati dall’esperienza vissuta, quando tornano al quotidiano normale, vanno avanti come se quell’esperienza forte sia stata una specie di week-end turistico, da ricordare alla moviola con gli amici ma senza incidenza nella vita e senza passi di maturazione nella fede? Gli è che, senza un costante cammino di vita, che sia a tutti gli effetti regola di vita, qualsiasi esperienza forte non è altro che l’ennesima occasione da consumare, proprio come la discoteca del Sabato sera, come il campeggio al mare o in montagna, come il concerto dei Pooh, anche se è strutturata e stipata di materiale religioso ed evangelico.
Siamo di fronte ad un’ulteriore constatazione che, se non c’è un cammino sistematico, le cose più forti ed affascinanti non fanno presa. Lo spontaneo e la scelta immediata, tanto cari alla nostra cultura del frammento ed ai fans dell’“attimo fuggente” diventano esclusivamente merce di consumo, all’insegna triste dell’“usa e getta”. Rimane drasticamente vero anche oggi che – stringi stringi – sul nostro Pianeta ci sono solo due categorie di persone: quelli che vivono e quelli che si lasciano vivere. È più facile e sbrigativo nella nostra epoca dare delle pillole analgesiche ai nostri ragazzi e giovani, per non vederli soffrire e lottare, piuttosto che prospettare loro un cantiere di lavoro esigente ed insegnare loro a camminare, anche se è fatica.
Un insegnare a camminare che non è una specie di addestramento da circo, dove si fanno compiere esercizi sotto gli ordini di un domatore, ma un camminare paziente al loro fianco, senza incrociare le braccia per la delusione o l’incostanza dell’odierno mondo giovanile. Eppure solo un itinerario impegnativo, tuttavia sufficientemente chiaro e percorribile, costruisce delle personalità, che sono veramente capaci di vivere.
Sì, ma quale itinerario?
Un itinerario, ce lo dice chiaramente qualsiasi dizionario italiano, è un percorso che si intende seguire in un viaggio. Un itinerario che ha perciò una meta ben precisa da raggiungere; un itinerario progettato prima sulla carta, facendo bene i calcoli della propria situazione e programmato con un certo numero di tappe intermedie, in modo che tutto si possa svolgere in modo graduale e progressivo. È una definizione che mi sembra calzi bene anche per ciò che riguarda la formazione dei giovani e la loro maturazione nella fede, nella scoperta e decisione vocazionale.
Forse e senza forse la veneranda regola di vita e di ascesi del passato, che pure ha tante medaglie al valore, è bellamente andata in crisi ed è stata emarginata, perché insieme con tutta la ricchezza della sua saggezza, pretendeva anche di dominare la persona fino a spersonalizzarla, al fine di assicurare un buon risultato formativo, tanto costringeva ad entrare a fondo perduto nel metodo preposto. Non dominava forse lo slogan: Ti smonto, ti azzero e ti ricostruisco da capo, perché sei fatto male? Oggi, per fortuna, la gente, i giovani in modo particolare, non ci stanno più ad un metodo così, anche se è corredato di tanta saggezza.
Ci vuole un metodo diverso, che sappia portare quella saggezza innegabile al livello della persona, una saggezza in situazione. E questo perché la new generation, se è figlia della cultura debole, se è senza integrazione personale, se è tentata di strumentalizzare persino il mistero, se nutre tanta sfiducia nelle proprie possibilità, ha tuttavia un desiderio di base, che rimane per ogni educatore e formatore di oggi la famosa leva di Archimede. La new generation vuole a tutti i costi essere e diventare se stessa.
È su questo desiderio giocato con responsabilità il segreto della riscoperta e del rilancio di una regola di vita, che si chiami e sia davvero itinerario di vita. Un itinerario progressivo di crescita che diventa essenzialmente una semina paziente, per diventare se stessi. Rimane pur valido l’antico assioma: Semina un pensiero e raccoglierai un desiderio; semina un desiderio e raccoglierai un’opera; semina un’opera e raccoglierai un’abitudine; semina un’abitudine e raccoglierai un carattere; semina un carattere e raccoglierai una persona riuscita. Dunque un itinerario che non si imponga come una cappa mortificante ma un percorso di semina che abilita a poco a poco il/ la ragazzo/a, il/la giovane a stare al comando della propria vita.
Ma tutto questo esige che siano rispettate prima di tutto le stagioni della crescita. Non si possono confondere le esigenze di un preadolescente con quelle di un adolescente o di un giovane o di un giovane adulto, come ingenuamente si faceva in passato (si pretendeva che un ragazzo di 13 anni fosse capace di una decisione di vita propria di un giovane di 18) e oggi (si tramanda a 18 anni quello che sarebbe giusto impostare come cammino a 13) bellamente si continua a fare. Ogni stagione della crescita ha una conformazione ben precisa, che un itinerario serio di crescita deve rispettare e favorire. E poi un itinerario di crescita deve portare a diventare liberi per amare. Nel contrasto tra la voglia e la paura di essere liberi c’è un’avventura straordinaria ed impegnativa da vivere che consiste nell’avere la forte capacità di dirsi dei no (all’omologazione generale, alle scelte distruttive, ai compromessi con se stessi, al volere tutto e subito…) e contemporaneamente nell’avere la gioiosa capacità di dirsi dei sì (alla propria verità scritta dentro, alla liberazione della propria verità profonda, alla passione di incanalare la propria vita dove scorrono meglio le proprie doti ed energie di vita = vocazione personale).
Allora un itinerario integrale che lascia la persona protagonista della sua crescita, che conduce ad una conoscenza matura di sé e ad una conoscenza matura della realtà, che aiuta a discernere e ad abbracciare un principio ispiratore fondamentale, cioè quello della vocazione, nelle sue successive derivazioni: vocazione alla vita, a Gesù Cristo, alla Chiesa, alla mia personalissima unica chiamata individuale, un itinerario che sa gestire bene i tempi di maturazione (esplorazione, orientamento, ipotesi, decisione).
Un itinerario che diventa essenzialmente unificazione interiore attraverso tre movimenti fondamentali di crescita: la preghiera, come assunzione progressiva dei contorni e della fisionomia di Cristo; il servizio, come capacità progressiva del dono della vita, che vira dal bisogno di gratificante alla passione del gratuito; la quotidianità, come passaggio progressivo da una realtà insignificante subita e quindi sprecata al kairòs di un dono unico e ricchissimo di Dio, pur nelle vesti della semplicità. Il tutto naturalmente ben dosato ed impastato nella ricchezza e saggezza dell’accompagnamento spirituale.
Ma, per fare ciò, noi formatori ed accompagnatori spirituali, per primi, possiamo sinceramente dire che stiamo continuando la nostra personale formazione, attraverso il nostro bravo itinerario?
Per approfondire
Bernardini M., Giovani e progetto di vita. Per una programmazione della Pastorale Giovanile, LDC, Leumann 1986; Bosco T. Fiore C., Quando si costruisce un uomo, LDC, Leumann 1974; CEI, Io ho scelto voi. Il Catechismo dei giovani/1, LEV, Roma 1993; CEI, Vocazioni nella Chiesa italiana, 1985; Cencini A., I giovani che bussano ai conventi: chi sono, cosa cercano, quali personalità hanno, in Rogate Ergo, LVII (1994) 8/9; Colini L., Culto della Regola, ed. dei P. Redentoristi, Roma 1957; Danneels G., Giovani correnti i contro correnti. Lettera di giovani in Note di Pastorale Giovanile, Juvenilia, Torino 1991; Roggia B., Accompagnamento personale e vocazione: stimoli e proposte, in AA.VV. (G.B. Bosco a cura di), Giovani e Vocazione, LDC, Leumann 1993; Tonelli R., Itinerari per l’educazione dei giovani alla fede, LDC, Leumann 1986.