N.06
Novembre/Dicembre 1994

Oratio e actio: la Lectio divina come esercizio cristiano

Confesso che l’accostamento proposto nel titolo di questo intervento tra oratio e actio è per me assolutamente inedito.

 

Preghiera e azione?

Il metodo della lectio divina[1], nato in contesto monastico e canonizzato attraverso lo schema formulato da Guigo certosino nel XII secolo, risulta in realtà composto di quattro momenti o gradi successivi[2]. Si distinguevano, senza confusione ma neppure artificiosa separazione: la lectio propriamente detta cioè la lettura orante di un passo biblico; la meditatio cioè la ripetizione della lettura dello stesso testo fino ad impararlo a memoria; l’oratio ovvero la supplica di grazie particolari suggerite dal brano letto e memorizzato; ed infine la contemplatio vale a dire il godimento casto e sereno delle meraviglie descritte da quel testo e fatte proprie, incarnate nel proprio essere mediante le tre precedenti fasi del metodo. Come si vede, non c’è traccia per l’actio perché in questa antica e veneranda tradizione religiosa manca la preoccupazione, un po’ illuministica e mazziniana, di una separazione – tanto falsa quanto razionalista – tra pensiero e azione, tra teoria e prassi. Tale frattura riduce in modo progressivo la preghiera ad un fatto di natura esclusivamente intellettuale e induce il contemplativo a ritenersi inadempiente sul piano dei fatti concreti, sentito unilateralmente come l’unico che veramente conta. Altro inconveniente non indifferente è l’introduzione assai discutibile di categorie antinomiche – come quella di contemplazione/azione – propriamente estranee alla mentalità biblica.

 

 

La lectio divina è esercizio del cristiano in quanto tale

Ciò che è indubitabilmente vero è invece lo sviluppo, in questi decenni in Italia, della pratica della lectio divina anche in ambienti non isolati o rigorosamente specializzati perché monastici. Tra le acquisizioni del movimento biblico e liturgico, confluite soprattutto nella Sacrosanctum Concilium e nella Dei Verbum, è sicuramente ai primi posti la preoccupazione di restituire al popolo dei battezzati il Libro delle Sacre Scritture. E al giorno d’oggi è sotto gli occhi di tutti una certa fioritura di attenzione alla Bibbia tra i cristiani in quanto tali.

 

 

La storia di un prete di campagna

Vorrei qui raccontare una storia più che esporre una teoria su come sia possibile a cristiani qualunque praticare la lectio divina.

L’esperienza mia e di altri amici risale agli anni Sessanta, ricchi di fermenti di novità: per noi in Italia è il tempo del boom economico dopo la ricostruzione del paese devastato dalla seconda guerra mondiale, in Europa sono gli anni della contestazione operaia e studentesca, nel mondo ancora anni di guerra fredda e di opposizione tra i blocchi delle cosiddette superpotenze USA e URSS. Dopo gli studi filosofici alla Cattolica di Milano, mi recai a Roma per quelli teologici. Era la straordinaria stagione di grazia del Concilio e da giovane studente della Gregoriana conobbi il card. Lercaro[3], arcivescovo di Bologna, protagonista del rinnovamento liturgico, e i suoi collaboratori, mons. Luigi Bettazzi e don Giuseppe Dossetti[4].

Trasferitomi a Bologna da Mantova, mia città natale, entrai in contatto con giovani universitari coi quali incominciammo a leggere il Vangelo della domenica. Si costituì un gruppo di amici, alcuni dei quali senza la fede e con un forte impegno in politica. Le nostre vite si sono progressivamente unite intorno alla Bibbia. Abbiamo cominciato a pregare insieme qualche volta, poi a trascorrere brevi periodi di vacanza. Alcuni si sono fidanzati e sposati, altri si sono lentamente riconosciuti in un’altra ipotesi di vita, quella della verginità consacrata. Per tutti è cresciuto il desiderio di un rapporto più stretto col Vangelo e tra di noi.

Divenuto parroco di Sammartini, una minuscola frazione di Crevalcore, in una zona di campagna della Bassa tra Modena e Ferrara, questo desiderio si è potuto realizzare in formule che certamente allora non immaginavamo. Papà e mamme, fratelli e sorelle, ci ritroviamo ogni mattina prima di recarci al lavoro in città, per celebrare l’Eucaristia. Il Vangelo, che un tempo era appena un libro sconosciuto tra tanti altri, è divenuto un cibo nutriente senza il quale difficilmente ci riuscirebbe di sopravvivere al peso della giornata.

La lectio divina è di fatto praticata, forse senza neppure saperne a fondo la dottrina, da monaci e famiglie, da ragazzi e da anziani. Diverse case degli abitanti originari della campagna che abbiamo ripopolato col nostro insediamento ospitano settimanalmente il gruppo del Vangelo cioè amici che si ritrovano intorno al Libro per ascoltare la parola della salvezza e spesso per parlare dei propri problemi.

Il desiderio sentito potenzialmente da ciascun battezzato del rapporto con la Scrittura si coltiva da noi a diversi livelli: personale, nei tempi e nelle forme che ogni giorno ciascuno riesce a trovare; comunitario, nella partecipazione attiva all’incontro quotidiano, mediante interventi brevi e puntuali sul passo della Bibbia letta in modo continuato[5]; liturgico, nell’assiduità all’Eucaristia celebrata in parrocchia con una certa cura data alla spiegazione delle letture durante l’omelia; culturale, nello sforzo richiesto a ciascuno, indipendentemente dagli studi, dalla preparazione, dall’impiego e dallo stato di vita, di apprendere almeno una delle lingue sacre (ebraico, greco e latino) per una conoscenza diretta e non mediata del testo biblico.

 

 

I frutti della Parola

Da questa tensione costante, che comporta un impegno fisso tutti i giorni, sono nate, senza averle previste, diverse iniziative. Per ragioni di spazio, posso qui soltanto elencarle.

La preghiera dei primi vespri domenicali, celebrata con festosità possibilmente da tutti, dai neonati agli anziani. La possibilità offerta a tutti di frequentare liberamente le case dei fratelli e delle sorelle e di condividere specialmente i momenti fissi della liturgia delle ore e dei pasti. I gruppi del Vangelo, sopra citati. L’accoglienza tra le case delle nostre famiglie e in quelle dei fratelli e delle sorelle, di figli non naturali e il più delle volte facilmente adottabili perché gravemente colpiti nel corpo e nella psiche. L’ospitalità, simbolicamente rappresentata nel pranzo domenicale consumato dalle famiglie secondo un programma di inviti reciproci, verso persone bisognose di aiuto spirituale e materiale. L’impegno per i tossicodipendenti, nell’adesione al progetto Ceis, gestito per la Provincia di Bologna da uno dei nostri diaconi. La creazione di una piccola struttura, denominata Casa della Costanza, dove accompagnare fino all’incontro definitivo con Dio le persone colpite da malattia terminale. Le scuole: di lingue bibliche, soprattutto per adulti. Le scuole elementari e medie private, per trasferire anche sul piano educativo e culturale le stesse attenzioni e lo stesso stile prestato nell’impegno specificamente religioso. La Scuola della Pace, che organizza incontri settimanali intensivi con sessioni estive ed invernali. La scuola delle icone, cioè l’opportunità di apprendere la tecnica antica di pittura delle icone secondo la tradizione della scuola bizantina russa[6]. La Cooperativa Sammartini, che gestisce un laboratorio dove espletare un lavoro protetto. I viaggi di lavoro e di studio e i pellegrinaggi in Italia e all’estero, soprattutto in Terra Santa e in Tanzania dove alcuni di noi vivono in forma stabile ormai da molti anni.

 

 

Tutto è dono

La frammentazione e la varietà di queste attività, tutte rigorosamente autofinanziate, e la precarietà delle abitazioni e delle strutture, tutte programmaticamente ricevute in affitto in un territorio – quello della parrocchia – non scelto da noi, accentua il carattere fondamentale dell’esperienza che stiamo vivendo stabilmente da circa vent’anni, quello della sua essenziale gratuità.

Dono gratuito è per noi la Parola che s’incarna ogni giorno nell’Eucaristia e nel vissuto più ordinario e meno vistoso delle nostre esistenze da poveri peccatori. Dono gratuito è la carità del Cristo che ha dato se stesso per noi e ci spinge a fare ugualmente per chi ci sta accanto prendendo ogni giorno il carico dolce e soave del suo giogo.

Tutto ciò che intraprendiamo ha senso e valore e di fatto sussiste ad una semplicissima e assai severa condizione: di essere continuamente generato, sostenuto e verificato dal rapporto personale e comunitario con la Parola accolta con cuore aperto di giorno in giorno. “La vita che non abbiamo scelto noi, ma per la quale da Misericordia siamo stati scelti, non può essere che questo: ogni giorno, per tutto il giorno, lasciarci prevenire dallo Spirito Santo a contemplare e ad accogliere in noi il mistero della Messa, che opera in ciascuno la morte della creatura e la risurrezione e glorificazione del Verbo Incarnato, mistero per il quale il Padre, per Gesù, nello Spirito Santo, sempre crea, santifica, vivifica, benedice e concede a noi questo bene della comunione con Lui e della comunità fra noi suoi figli” (Piccola Regola della Comunità, par. 3).

 

 

La Parola costruisce la Chiesa come famiglia di famiglie

La lectio divina è dunque per noi esercizio cristiano per cristiani. Non è una tecnica raffinata per persone dotate di speciale consacrazione, anche se ovviamente essa conduce di fatto pure alcuni in questa direzione. Non è perciò un patrimonio riservato ad una comunità monastica, anche se è del tutto naturale che essa costituisca per dei monaci l’elemento vitale tipico. Non è una vaga e nostalgica pratica religiosa per ricostruire una cristianità ormai superata.

La lectio divina, in senso meno tecnico ma non meno vero, è impegno personale ed ecclesiale a fondare solidamente le nostre coscienze di cristiani che vivono col desiderio di essere fedeli al proprio sacerdozio battesimale. Praticata come preparazione o prolungamento dell’Eucaristia quotidiana essa è “il vincolo costante di unità e di pace dell’intera comunità” (Piccola Regola della Comunità, par. 9). Chi si sottopone con umiltà ogni giorno a questo tipo di ascolto crea comunione e genera pace in sé e intorno a sé.

I vergini traggono dall’esercizio della lectio forze sempre nuove per vivere il loro carisma con semplicità, nel contesto di una normale parrocchia e negli ambienti di lavoro, senza necessità di isolamenti artificiosi o esenzioni clericalizzanti. Se sono fedeli alla lectio possono, con la loro stessa testimonianza di vita, indicare ai fratelli sposati la direzione profonda che il sacramento del matrimonio cristiano deve imboccare, quella cioè di una esistenza austeramente casta, spesa nell’obbedienza reciproca e nella sincera ricerca della povertà evangelica.

Gli sposati ricavano dalla pratica della lectio energie vivificanti il sacramento del matrimonio e ragioni sempre più urgenti per trasmettere ai figli, accolti come benedizione per via naturale o per altra via, non solo la vita e il sostentamento materiale, ma anzitutto la fede e il desiderio di aderire al Signore mediante l’ascolto quotidiano della sua parola. Se un papà o una mamma sono fedeli alla lectio, ricavando tra le molteplici occupazioni quotidiane un tempo fisso per dedicarvisi con abbandono umile e totale, possono offrire ai vergini la testimonianza preziosa del volto fondamentalmente nuziale che la vita di ogni cristiano, e a fortiori quella della vergine, deve assumere per esprimere l’amore nuziale di Cristo per la sua sposa immacolata, la Chiesa.

Infine, l’esercizio della lectio fa scoprire ad ognuno il suo posto all’interno del popolo di Dio e promuove una ministerialità diffusa che si può esprimere in uffici quali quelli del lettorato e dell’accolitato e in ministeri ordinati come il diaconato.

Un papà diacono può attingere dalla lectio motivi sempre più forti per crescere vuoi nella sua paternità in famiglia vuoi nel suo ministero ecclesiale e vivere con animo sereno e unificato queste due dimensioni in cui la fedeltà al battesimo lo ha condotto.

Una mamma che fa compagnia ad un malato di AIDS o adorna la chiesa con servizi umili, necessari e preziosi può trovare nella lectio le sollecitazioni a riscoprire il valore positivo della sua maternità. La sua femminilità non viene depressa ma esaltata e resa più feconda da un rapporto serio, amante e nuziale con la Scrittura.

 

 

Tra razionalismo e fideismo

In conclusione, vale la pena di accennare ad un’ultima serie di vantaggi cui la pratica della lectio divina ci ha fatto approdare senza che, di nuovo, potessimo concettualmente prevederlo. Mi riferisco al fatto che il cammino di questi anni ci ha preservati, mi sembra, dagli opposti pericoli di una lettura razionalistica o fideistica della Bibbia[7].

Da un lato, infatti, la frequentazione così assidua della Parola ci ha posto nella consapevolezza della necessità di un impegno culturale, storico e linguistico per entrare nelle categorie di pensiero e nel genere letterario degli agiografi. D’altra parte la preghiera e la vita comune ci ha tenuti lontani dal pericolo dell’intellettualismo e ci ha fatto verificare, specialmente nel confronto con altre civiltà, quanto le letture ideologiche o fondamentaliste della Scrittura siano pericolose e in definitiva antievangeliche.

La fede schietta nella unità della Bibbia letta alla luce del compimento pasquale di Cristo non esclude affatto, anzi salva, a ben vedere, gli sforzi che si devono fare da parte di tutti per comprendere l’intenzione profondamente teologica degli autori umani. Anche in questo, sia pure immeritatamente, noi di Sammartini dobbiamo riconoscere di essere stati benedetti.

 

 

 

 

Note

[1] Sulla Lectio divina è consigliabile: Ascolto della parola e preghiera. La “lectio divina”, (a cura di) S.A. Panimolle, Teologia sapienziale 2, Città del Vaticano, 1987.

[2] Cfr. Panimolle S.A., I quattro gradi della “lectio divina” secondo Guigo il certosino, in Ascolto della parola e preghiera, o.c., 175-183.

[3] Gli interventi più significativi di Lercaro al Vaticano II si trovano in Lercaro G., Per la forza dello Spirito. Discorsi conciliari, a cura dell’Istituto per le Scienze religiose, Bologna 1984.

[4] Lo stesso Dossetti ha magistralmente riassunto il contributo del card. Lercaro al Concilio in un discorso tenuto all’Aula magna dell’Università di Bologna. Cfr. Dossetti G., Giacomo Lercaro al Concilio ecumenico Vaticano IL Linee dinamiche del suo contributo, in Il Regno-Documenti 36 (1991) 694-706.

[5] Questa particolare forma di comunicazione fraterna nella Parola, denominata collatio, ha origini molto antiche. Si veda in proposito Magrassi M., Bibbia e preghiera, Milano 1979, 187-189.

[6] “La contemplazione delle sante icone, unita alla meditazione della Parola di Dio e al canto degli inni liturgici, entra nell’armonia dei segni della celebrazione in modo che il mistero celebrato si imprima nella memoria del cuore e si esprima poi nella novità di vita dei fedeli”; Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano, 1992, n. 1162.

[7] Su questo argomento si veda in particolare: Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa. Discorso di Sua Santità Giovanni Paolo II e Documento della Pontificia Commissione Biblica, Città del Vaticano, 1993.