N.06
Novembre/Dicembre 1994

“Sia fatta la tua volontà”. Per una prospettiva teologale dell’ascesi cristiana

La giusta comprensione dell’ascesi cristiana si situa nella prospettiva teologica della vocazione e della risposta. A Dio che chiama, l’uomo risponde con la totale adesione della sua mente e del suo cuore (cfr. DV n. 5). In questa totale scelta di Dio si iscrive la regola aurea dell’ascesi cristiana che è l’adempimento della sua volontà, non come una specie di forzata adesione a quello che Dio quasi estrinsecamente ci chiede, o nel compimento di uno sforzo autonomo di purificazione e di superazione delle tendenze del male, ma nell’amorevole adesione a quello che si vede o si crede un suo piano di amore, iscritto nella stessa vocazione cristiana e nella vocazione particolare che ciascuno ha ricevuto nella Chiesa per un’autentica comunione con Dio e con la sua volontà. L’ascesi segue, per così dire, la teologia della comunione ed è nella più pura linea della coerenza fra il disegno di Dio e la risposta umana.

 

 

Il sì dell’uomo a Dio

Compiere la volontà di Dio fino in fondo, come Gesù, è l’ascesi suprema in quanto totale distacco di sé e totale adesione a Dio; ciò suppone una fede viva, segnata dal suo amore attivo e interiormente conformante e apre i sentieri della vocazione alla grazia, alla missione e alla gloria. Pregare con le parole di Gesù nel “Padre nostro” e chiedere di spalancare il nostro cuore all’irruzione della volontà salvifica di Dio nel cammino quotidiano della vita cristiana per trasformare noi e fare di ognuno un interprete ed un esecutore della sua volontà.

A Cristo che rivolge il suo sguardo amorevole chiedendo di seguirlo, si deve rispondere con una totale adesione alla sua persona, incamminandosi sulle sue orme e realizzando la sua sequela. Rinuncia ascetica è quella che propone Gesù negli episodi evangelici della vocazione: cammino arduo è quello che prospetta ai suoi discepoli: lasciare tutto per seguirlo. Ma l’invito a seguirlo coerentemente, prendendo la croce ogni giorno è la definitiva ascesi del cristiano. Un’ascesi di adesione della volontà, un’ascesi che trasforma la persona.

L’ascesi è il sì del cristiano a Dio, la risposta ad una vocazione, ad un progetto divino; tutto quello che noi indichiamo sotto il termine ascesi non ha un carattere estrinseco, non risponde ad un puro volontarismo, non si identifica subito con la penitenza e la mortificazione, ma affonda le sue radici nell’essenzialità di vivere, dopo la scelta coerente di Dio, secondo la logica del piano divino, in un dinamismo vocazionale, cioè nella crescita nella conformazione a Cristo e nella maturazione progressiva delle esigenze della chiamata e della realizzazione del piano di Dio.

Questa visione globale dell’ascesi permette di interiorizzare le sue esigenze, ricondurre le sue azioni ad una risposta personalizzata ad un piano divino di salvezza di santità, ad una realizzazione dinamica nella Chiesa della vocazione di ognuno in quanto “obbedienza di fede” ed adesione totale a un Dio vicino che è all’opera con il suo Santo Spirito nella vita di ogni credente, per renderlo simile all’immagine del suo Figlio (cfr. Rm 8, 29-30).

 

 

Per un rinnovamento della visione ascetica

La teologia spirituale più recente ha operato una necessaria revisione della situazione dell’ascesi nella vita cristiana per ricondurla alle sue radici più pure. Una reazione dottrinale e pratica all’ascesi, come poteva essere vista in alcuni ambienti, è frutto di una nuova impostazione teologica.

Negli anni che hanno seguito il Concilio Vaticano II, ed a partire dalle sue prospettive dottrinali, l’ascesi ha sperimentato un’eclissi ed una nuova ricreazione; è stata riconsiderata sotto diversi e complementari profili, innanzitutto si è ricercato in essa il suo fondamento cristologico e sacramentale, la sua essenziale vincolazione al mistero pasquale di morte e di risurrezione, causa, modello e misura di ogni ascesi; mistero iscritto nella grazia battesimale ed eucaristica, nel suo dinamismo esistenziale per realizzare pienamente il battesimo (cfr. SC n. 12)[1].

Si è illuminato il senso comunitario ed ecclesiale dell’ascesi come partecipazione alla vita della Chiesa che segue il cammino stesso di Cristo nella morte e nella risurrezione (cfr. LG n. 8, AG n. 5).

Senza dimenticare il fondamento antropologico necessario dell’ascesi cristiana, il peccato, si è cercato di cogliere quell’unità di indirizzo e di programma che è propria della nostra epoca che esalta il senso positivo dell’attività umana, ma alla luce del mistero pasquale (cfr. GS n. 38).

Si è donata all’ascesi una doverosa dimensione sociale, quella della condivisione della sofferenza e delle privazioni, del servizio e della carità che esige rinuncia e dono di sé, ad imitazione di Cristo nel mistero della sua “kenosi”.

Finalmente si è cercato di mettere in luce quella dimensione dell’ascesi che non è tanto quella minuziosamente programmata, ma quella che accetta con gioia le forme imprevedibili dell’ascesi quotidiana che ci vengono dalla fedeltà alla propria vocazione, dal dono continuo di sé, e più ancora dall’azione purificatrice di Dio, quella che egli esercita con le sue prove amorevoli – le notti oscure, così abbondanti nella vita di ogni cristiano – per portare fino in fondo il suo disegno di amore.

Si può affermare in sintesi che il Vaticano II, proclamando la vocazione universale alla santità ha indicato nel fare la volontà di Dio e nel lasciare che Dio faccia in noi la sua volontà, la via regale, espedita e comune, secondo la vocazione di ciascuno, dell’ascesi cristiana e quindi del raggiungimento della perfezione: “Per raggiungere questa perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura di doni di Cristo, affinché, seguendo il suo esempio e fattisi conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con tutto il loro animo si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo” (LG 40). L’ascesi cristiana è così descritta come risposta ad una vocazione, con una conformazione attiva nella sequela ed un’accoglienza della conformazione esistenziale alla sua immagine, frutto del dinamismo della grazia, fedeli al compimento del disegno di Dio nell’adempimento della sua volontà.

Questa esigenza di cambiare volto all’ascesi è anche propria della teologia spirituale ortodossa. In un piccolo opuscolo dedicato al mistero della Risurrezione nei suoi riflessi sull’uomo moderno, il metropolita Ignazio Hazim ha caratterizzato l’ascesi cristiana con queste parole: “L’ascesi cristiana è pasquale, mistica, teologale, vivificante. Per la Croce di Cristo noi diventiamo liberi ogni giorno poiché essa sola è riconciliazione, servizio, dono totale. Agape”[2]. Ci troviamo davanti ad un’impostazione del problema dell’ascesi cristiana in termini positivi, sacramentali, ad una visione che, perché ispirata dal mistero della Pasqua, si presenta come una rivoluzione copernicana del concetto classico di ascesi.

 

 

Un’ascesi iscritta nel mistero del santo battesimo

L’ascesi cristiana non è altro che il processo iniziato dalla grazia di Cristo per illuminare la mente ed il cuore, ricomporre l’unità perduta, restaurare l’immagine deturpata, ristabilire la comunione spezzata in un dinamismo che porti l’uomo a divenire perfettamente somigliante al suo archetipo e pertanto ricomposto nella armonia della creazione e dell’umanità come un volto trasfigurato della universale Pentecoste della Chiesa.

L’ascesi cristiana è mistica in quanto tutto l’itinerario spirituale di rinunzie e di purificazioni scaturisce dalla imitazione del Cristo pasquale e dal contenuto totalitario dell’iniziazione battesimale. Charles Journet ha espresso felicemente questo contenuto globale del battesimo per quanto riguarda il processo ascetico in tutte le sue tappe: “Il battesimo è sacramento della iniziazione alle profondità del mistero di Cristo. La grazia che esso comunica è una partecipazione di quella che per riscattare e salvare il mondo, ha spinto Gesù alla Passione, alla Morte, alla Risurrezione. Essa tende dunque a produrre in noi effetti analoghi, e spingerci nella passione, nella morte, nella risurrezione di Gesù per riscattare il mondo con lui. Tutto l’itinerario che richiama in noi la morte dell’uomo vecchio e la crescita dell’uomo nuovo, di un vero membro di Cristo, le esigenze, qualche volta terribili di questo itinerario – si pensi alle sofferenze dei martiri, alle notti dei sensi e dello spirito dei mistici -, tutto ciò è come scolpito e pre-contenuto nella grazia del battesimo, come il fiore nel seme, e domanda di schiudersi…” [3]

Questo comporta l’intervento di Dio nell’ascesi cristiana, la sua opera di purificazione che chiamiamo passiva in quanto l’uomo non può compierla di sua iniziativa e deve essere attivamente passivo davanti all’azione divina.

 

 

Un’ascesi vissuta con atteggiamenti teologali

L’ascesi cristiana quindi si risolve in atteggiamenti teologali di fede speranza e carità, punta su una vita nuova e questa è l’esistenza vissuta in fede, speranza, amore. Lo sforzo cristiano di ascesi si caratterizza non tanto per un esercizio di virtù morali ma per una prevalenza di atteggiamenti teologali; è possibile in quanto animata dalla fede, dalla speranza e dall’amore, virtù che sono non soltanto il mezzo ma anche il termine e lo scopo di ogni ascesi cristiana. Per questo appartiene al processo ascetico anche la purificazione di queste virtù, liberandole da falsi appoggi, da motivazioni poco chiare, da sicurezze umane. L’ascesi più alta è quella che porta ad una fede più pura attraverso il crogiolo delle notti, ad una speranza più salda che si appoggia soltanto sulla misericordia divina, ad un amore verso Dio e verso il prossimo che è puro dono di sé. Il vero asceta cristiano è colui che ha fatto il “vuoto totale” in se stesso per essere soltanto pieno dell’amore di Dio e del prossimo, e attraverso la rinuncia ha dilatato al massimo le sue capacità teologali per vivere ormai in una vita nuova di fede, speranza e amore senza limiti.

 

 

La necessaria adesione della volontà

Eppure, non esiste vera ascesi cristiana senza una coerente adesione della volontà a Cristo e al mistero che egli ci ha comunicato con la sua vita. Una prospettiva che è ben espressa dalla teologia orientale in uno dei suoi massimi rappresentanti, Nicola Cabasilas, nel suo capolavoro, La vita in Cristo. Questo autore ricorda il principio del dono della vita in Cristo che si attua concretamente nella parola e nei sacramenti. Ma rammenta altresì la doverosa risposta libera affinché questa vita sia rigogliosa in noi. Ecco le sue parole: “Perciò il Salvatore dice: Se osserverete i miei comandi, rimarrete nel mio amore. La vita beata è frutto di questo amore. L’amore infatti concentra la volontà dispersa da ogni dove, la distacca da tutte le altre cose e dallo stesso ‘io volente’, per farla aderire a Cristo solo. Ma tutte le nostre potenze seguono la volontà e vanno là dove le porta la volontà: l’impulso del corpo, il movimento del pensiero, ogni operazione ed ogni atto umano. La volontà guida e conduce interamente il nostro essere: se qualcosa la domina, là rimangono legate tutte le nostre potenze e chi se ne impadronisce possiede tutta intera la nostra mente… Dunque quando la volontà è presa fino infondo dal Cristo ed aderisce a Lui solo, tutto quanto si vuole, si ama e si cerca è lui. Per tali creature tutto l’essere e tutta la vita è in lui: la loro stessa volontà non può vivere ed operare se non dimora in Cristo, perché là è ogni bene, come l’occhio non può compiere la sua operazione senza la luce. Solo la luce rende attiva la facoltà di vedere, e solo il bene può rendere operante la volontà. Poiché Cristo è lo scrigno di tutti i beni, se non portiamo in lui stabilmente tutta la nostra volontà, se non lasciamo cadere qualche particella fuori da questo tesoro, essa rimane sterile e morta… Dunque se la vita in Cristo consiste nell’imitarlo e nel vivere in conformità a lui, anche questo è effetto della volontà quando obbedisce ai divini voleri…”[4].

 

 

Lo splendore della verità: il fascino della santità

L’ascesi cristiana in questa prospettiva necessita pertanto di una costante ricerca della volontà di Dio, di un lucido discernimento dei suoi voleri, di una costante attenzione all’azione preveniente e santificante di Dio. Per questo l’ascesi più autentica, quella più santificante è quella ascesi “passiva” e “mistica” con cui si lascia istruire e guidare da Dio anche attraverso le prove difficili e dolorose della vita, e ci si lascia misurare, non dalle nostre pur generose prospettive, ma da quelle ben più esigenti del progetto di Dio.

Nel cammino vocazionale, l’ascesi cristiana dovrà donare a questo necessario movimento di rinuncia a se stessi e di totale risposta alla volontà salvifica e trasformante di Dio, un’attenzione particolare, perché il suo frutto sia davvero, attraverso un itinerario di crescente fedeltà, quello di una perfetta conformazione a Cristo, misura, motivazione e termine di ogni autentica ascesi che porti il nobile titolo di “cristiana”.

Nella sua Enciclica “Veritatis Splendor” Giovanni Paolo II propone in una bella sintesi quello che rimane l’ideale ed il traguardo dell’ascesi, cioè la santità cristiana. Scrive così: “In particolare è la vita di santità che risplende in tanti membri del Popolo di Dio, umili e spesso nascosti agli occhi degli uomini, a costituire la via più semplice e affascinante sulla quale è dato di percepire immediatamente la bellezza della verità, la forza liberante dell’amore di Dio, il valore della fedeltà incondizionata a tutte le esigenze della legge del Signore, anche nelle circostanze più difficili” (n. 107).

In queste parole troviamo disegnata la logica dell’ascesi cristiana come cammino di esperienza liberatrice (percepire immediatamente la bellezza della verità, la forza liberante dell’amore di Dio), la risposta alla sua volontà, così come le imprevedibili esigenze del suo amore (anche nelle circostanze più difficili).

 

 

 

 

Note

[1] Cfr. J. CASTELLANO, L’ascesi cristiana come evento pasquale, in AA.VV., L’ascesi cristiana, Teresianum, Roma 1977, pp. 285-303.

[2] La Resurrezione e l’uomo d’oggi, AVE, Roma 1970, p. 78. 

[3] Cfr. La communion, in Nova et Vetera, 31 (1956), p. 114. 

[4] La vita in Cristo, Utet, Torino 1970, pp. 394-395.