N.03
Maggio/Giugno 1995

“Gruppi ricerca”, “gruppi proposta”, “comunità vocazionali”: costanti e prospettive

Sarebbe un peccato di presunzione da parte mia e causa di delusione per voi il solo pensare di poter in poche pagine sintetizzare una rilettura dell’“universo vocazionale” che si è prodotto in questi ultimi quindici anni a favore dei Preadolescenti (PA) e degli Adolescenti (A), anche se vogliamo fermarci a riflettere solo sui “gruppi ricerca” (GR), “gruppi proposta” (GP) e “comunità vocazionali” (CV).

Mi limiterò pertanto a presentarvi alcune costanti delle diverse esperienze poste in atto in quegli anni, facendo ricorso alla viva voce dei protagonisti delle iniziative che mi sono parse più rappresentative, e suggerire alcune prospettive per la pastorale vocazionale, non senza avervi prima “raccontato” quando e perché sono nate queste realtà.

 

 

Quando e perché sono nate queste esperienze?

Nessuno si sarebbe mai sognato di parlare di GR, GP e CV fino agli anni sessanta, perché i seminari minori e le case di formazione dei religiosi trovavano nelle famiglie e nelle comunità parrocchiali un terreno fertile dove poter seminare e dove raccogliere senza troppa fatica le risposte vocazionali dei PA e degli A.

Ma il periodo di tempo che seguì al Concilio Vaticano II, segnato da un’autentica e appassionata ricerca e revisione su tutto il fronte della pastorale, fu accompagnato, anche per il problema delle vocazioni, da un estroso “profetismo”, fatto di idee avventate e di proposte spericolate, sia nell’interpretazione dei documenti conciliari specifici sia nella loro applicazione all’azione pastorale. Da questo derivò una disinvolta “strategia”, che come obiettivo chiaro e immediato sembrava avere solo il rifiuto della pastorale tradizionale.

Si ebbe una crisi con strascichi dannosi per l’iter formativo nei seminari, con contestazioni, deviazioni e abbandoni. Vi fu tanta confusione e smarrimento anche per gli operatori nella pastorale vocazionale.

Non era raro in quegli anni ascoltare domande come queste: 

“Perché fare la proposta vocazionale a ragazzi/e di 11-14 anni mettendo un’ipoteca sulla loro vita futura? Non dovrebbero essere lasciati liberi di decidere quando saranno più grandi? Come può un ragazzo così piccolo e così immaturo, decidere di entrare in Seminario?”

In questa prospettiva si fece guerra al reclutamento, coinvolgendo nella parola evidentemente non appropriata e al di là di certe forme da criticare e da condannare, anche ciò che è alla base dell’orientamento vocazionale, cioè la ricerca e la scoperta, l’incontro concreto con i PA e A aperti alle vocazioni di speciale consacrazione per offrire e prestare loro un servizio pastorale adeguato.

Così si contrappose l’orientamento al reclutamento, credendo, con il cambiamento delle parole, di affrontare positivamente una situazione di crisi che esigeva, prima ancora, un impegno di “animazione” sugli educatori, a cominciare dai genitori, per chiarire la realtà divina e umana della vocazione nei suoi aspetti teologici e psico-sociologici.

Allo stesso tempo si dava un’importanza esagerata al contributo delle scienze antropologiche, psicologia e sociologia, alla diagnosi psicologica e alla ricerca sui fattori favorevoli e sfavorevoli dell’ambiente sociale.

D’altra parte si negava da molti la necessità di iniziative vocazionali specifiche, perché a molti sembrava opportuno che l’orientamento vocazionale dovesse essere realizzato all’interno della pastorale ordinaria, escludendo un servizio educativo-pastorale appropriato per coloro che si sentivano orientati a vocazioni di speciale consacrazione.

Molti seminari minori insieme a case di formazione dei religiosi furono costretti a chiudere, perché oggetto di severe critiche provenienti non solo dagli ambienti laici, ma anche dall’interno della Chiesa; critiche che non si limitavano solo a denunciare l’inopportunità di tali Istituzioni, ma che a volte si spingevano fino ad elencare, con puntigliosa meticolosità, gli innumerevoli danni psicologici che, a loro dire, provocavano nell’animo dei PA e A. Se prima si era peccato per eccesso “reclutando” indiscriminatamente ragazzi accolti (come li definirono i Padri conciliari) in “seminari maggiori formato ridotto” o in “noviziati in miniatura”, in seguito per reazione quasi istintiva, si peccò per difetto, rinunciando alla proposta, favorendo l’attendismo e la paura delle scelte.

Alla rapida “eliminazione” dei seminari minori e delle case di formazione dei religiosi fece seguito un altrettanto rapido calo delle vocazioni. Fu così che a metà degli anni ‘70 incominciarono a spuntare in tutta l’Italia dei timidi tentativi di animazione vocazionale tra i PA e A, frutto più dell’iniziativa, della generosità e della fantasia di singoli sacerdoti e religiosi che espressione di una scelta pensata e voluta dai Superiori. Solo dopo una prima fase di “sperimentazione” questi Gruppi furono oggetto di uno studio approfondito da parte dei sacerdoti e religiosi[1] e vennero proposti ufficialmente anche dai Vescovi alle loro diocesi, come nel caso, per es., dei Vescovi del Piemonte[2] e della diocesi di Pesaro[3].

 

 

 

 

GR, GP e CV: tre tappe di un itinerario vocazionale

Si può constatare in diverse esperienze la necessità di differenziare il cammino vocazionale offrendo tre tappe diverse, che hanno dato origine a tre realtà vocazionali differenti: GR, GP e CV.

La loro nascita progressiva segna anche la crescita, nella pastorale vocazionale, del bisogno di itinerari di fede e di itinerari vocazionali: né la fede né tanto meno la vocazione cresce spontaneamente. Come si è giunti a formulare questo itinerario scandito in tre tappe?

Il più delle volte si ha l’impressione che questi Gruppi nascano quasi per germinazione “spontanea” gli uni dagli altri. Il cammino fatto con i GR fa sentire forte il bisogno di un gruppo che aiuti a maturare sempre più l’annuncio vocazionale e perciò si dà vita ai GP e infine questi danno origine alle CV. Tutto ciò emerge in modo chiaro, per es., dall’esperienza della Comunità vocazionale delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori: “C’è un primo approccio costituito dal movimento Samuel, cui partecipano ragazze della scuola media che, mensilmente, si riuniscono nei locali della nostra comunità e vengono poi seguite dalle religiose responsabili dei loro gruppi parrocchiali o scolastici. Da questo gruppo si è formato quello della scuola superiore che ha voluto conservare il nome di Samuel. Da queste esperienze è emersa la possibilità di gruppi settimanali di preghiera i quali costituiscono un vero e proprio inizio di condivisione[4]. Lo stesso sviluppo seguono i Gruppi vocazionali delle Suore Canossiane[5] e dei Salesiani[6].

 

I Gruppi Ricerca

I GR rispondono al bisogno che emerge all’interno della Chiesa di non escludere la fascia dei PA e degli A dalla proposta vocazionale. Anche perché capitava spesso di notare che molte vocazioni manifestatesi in età giovanile, quasi sempre avevano avuto il primo avvio durante la PA e avevano potuto svilupparsi grazie alle mediazioni trovate.

Si chiarisce sempre più negli animatori vocazionali la convinzione che il problema non è se fare o non fare la proposta ai PA e agli A, ma come farla. Questo cambio di prospettiva è stato evidenziato dal Piano Pastorale delle Vocazioni in Italia del 1985 che al n. 61 sottolinea l’importanza di “individuare i tempi e i modi più opportuni, perché i singoli giungano a conoscere una proposta concreta, senza esercitare pressione alcuna, ma aiutando nella libera scelta”.

In questa prima fase nell’annuncio vocazionale rivolta ai PA e agli A “si insiste perché in loro si sviluppi la vita di gruppo e il vero senso dell’amicizia, perché i grandi ideali di vita cristiana appaiano ad essi in tutta la loro bellezza ed attrattiva, perché sperimentino il gusto della preghiera e il fascino dell’amico irrinunciabile”[7].

Proprio perché il primo obiettivo soprattutto con i PA è “suscitare nel ragazzo una prima consapevolezza che la vita è una chiamata del Signore ad un dono di sé per un servizio agli altri”[8], “negli incontri, specie nella catechesi vocazionale e nella direzione spirituale, si fa capire ai ragazzi che alla loro età, il Signore non chiede subito un sì o un no sicuro; può richiedere però che ci si metta alla ricerca, e questa ricerca è l’avventura più che meravigliosa che un ragazzo possa affrontare”[9].

 

I Gruppi Proposta

Ci si accorge che, se non si vuol correre il rischio di “girare a vuoto”, non ci si può limitare a parlare genericamente di vocazione, ma che è indispensabile fare la proposta delle vocazioni di speciale consacrazione. Sorgono così i GP.

La forza dei messaggi di Giovanni Paolo II e la sua grande carica trascinatrice, soprattutto con i giovani, spinge molti sacerdoti e religiosi a “non aver paura” di chiamare.

I GP rispondono anche all’esigenza di sostenere i PA e A inseriti in un contesto sociale e culturale che non li aiuta nelle loro scelte di vita. Così si esprimono, a tale proposito, i Vescovi del Piemonte in un Documento del 1987; “Soprattutto in questo contesto storico-culturale, caratterizzato dalla ‘frammentazione’, dal pluralismo delle appartenenze, c’è effettivamente il rischio di non trovare più da nessuna parte un luogo per rileggere le esperienze e per crescere in una coscienza critica dei valori e disvalori proposti e imposti un po’ dovunque. Il gruppo è un luogo utile per fare esperienza dei valori umani e di fede, per fare delle sintesi critiche ed essenziali delle proposte vissute altrove in modo emotivo, passivo e anonimo, per fare dei cammini di fede aperti in modo esplicito alla domanda di un progetto”[10].

Questi gruppi si muovono in due direttrici: affiancare i preadolescenti che presentano germi vocazionali; aiutare gli adolescenti che per qualunque motivo non fanno la scelta di vivere nella comunità stabile del seminario minore[11].

In alcuni casi i GP vogliono supplire alla mancanza di Seminari, diventando una specie di “Seminari diaspora”. “Per noi il gruppo dei ‘Ragazzi in ricerca vocazionale’ è una specie di Seminario Diaspora, cioè un seminario fatto a casa”[12].

 

Le Comunità Vocazionali

La proposta delle vocazioni di speciale consacrazione fa emergere negli animatori vocazionali la necessità di accompagnare soprattutto gli A che hanno dimostrato un certo interesse per tale tipo di vocazione, in comunità dove possano avere per un po’ di tempo l’opportunità di conoscere direttamente la vita dei sacerdoti e dei consacrati. Ed ecco che fioriscono in tutta l’Italia le CV.

Queste si presentano come l’evoluzione naturale delle comunità di accoglienza nate nei seminari e nelle case religiose, frutto del desiderio di alcuni sacerdoti e religiosi di vivere in pienezza e radicalità evangelica la vita sacerdotale e religiosa, aprendosi in seguito agli A e Giovani e diventando quasi inconsapevolmente luoghi di fioritura vocazionale.

Varie comunità religiose negli anni ‘70-‘80 hanno realizzato fraternità di accoglienza (denominate variamente come case di preghiera, centri giovanili, comunità di orientamento…) invitando i giovani a fare esperienze e divenendo lentamente luoghi di orientamento vocazionale e formazione religiosa. Nel 1982 furono censite più di 200 CV[13]. Ci si convince sempre più che è dal vivo delle persone che si scopre e si accoglie come propria una vocazione: nella sua spiritualità, stile di vita, tipo di apostolato.

“La casa di accoglienza non è una tecnica vocazionale, ma una vera proposta di vita. Queste case di accoglienza hanno prodotto i seguenti frutti: la ricerca di un rinnovamento della comunità religiosa nella fedeltà al proprio carisma; il recupero della preghiera; la testimonianza di comunione nella comunità, pur se eterogenea, che diventa proposta di vita; la risposta a varie esigenze giovanili in ordine alla fede, all’orientamento vocazionale di base o alla formazione per quelli che già hanno fatto una scelta”[14].

Anche i seminari, sia pure con maggiore prudenza, si aprono a questo tipo di esperienze non solo per offrire ai PA e A luoghi in cui verificare le loro scelte vocazionali, ma anche per sostenere i ragazzi che sono già in seminario. Poiché molti educatori nei seminari si convincono sempre più che un ambiente avulso dal mondo può essere controproducente, offrono ai loro ragazzi occasioni per un contatto più frequente con le famiglie, la Parrocchia, i coetanei.

Le CV rispondono perciò anche al desiderio degli educatori dei seminari e delle case di formazione dei religiosi di creare delle comunità aperte al mondo esterno per porre gli A a contatto con i loro coetanei e per accogliere nella loro casa alcuni A più disponibili viene fatta la proposta dell’esperienza in una CV, per vivere con alcuni religiosi in un dato ambiente e per un certo tempo; per condividere con loro la preghiera, lavoro, mensa, riposo, ricreazione…, ma soprattutto per cogliere dal vivo dell’esperienza le caratteristiche di una vocazione: la sua spiritualità, stile di vita e tipo di apostolato[15]. “Quando una ragazza accoglie la proposta, e soprattutto quando ha scoperto la motivazione centrale della sua scelta, essa è messa in condizione di ‘vedere’, sperimentare, condividere: le vengono aperte le porte delle nostre comunità per esperienze di convivenza con la comunità delle Suore”[16].

 

 

 

 

Costanti presenti nell’esperienza dei GR, GP e CV

Quali sono quegli elementi che si possono riscontrare in quasi tutte le esperienze esaminate e che ne costituiscono quasi l’ossatura?

 

Centralità della Parola

Se all’inizio queste esperienze si caratterizzano per un’attenzione prevalente alla dimensione psicologica della crescita dei PA e degli A in seguito riscoprono sempre più la centralità del cammino di fede e, all’interno di esso, assume una grande importanza l’ascolto della Parola di Dio. “Alle ragazze che avviciniamo proponiamo un verbo-chiave: ascolta, qui è tutta la nostra vita. Qui è l’anima del nostro servizio vocazionale. Viene proposta la Lectio continua”[17]. In questi anni, dopo l’iniziativa avviata con successo a Milano dal Card. C.M. Martini, si diffondono a macchia d’olio le scuole di preghiera e le case di preghiera, che grazie all’incontro con la Parola e la disponibilità dei sacerdoti per la direzione spirituale, diventano luoghi di ricerca vocazionale. Vorrei citare fra tutte l’esperienza fatta a Perugia[18].

 

Maggiore attenzione alla famiglia

Poiché si nota una certa resistenza delle famiglie a cedere troppo presto i figli, cui sono affettivamente molto legate, la cui assenza a volte modifica radicalmente, sul piano dinamico relazionale, l’assetto interno dei rapporti familiari, diversi animatori vocazionali fanno la scelta di un maggiore coinvolgimento delle famiglie. Ci si convince sempre più che la vocazione dei PA e degli A richiede che anche i genitori maturino nella loro vocazione matrimoniale. Così si esprime un missionario comboniano responsabile dell’animazione vocazionale: “Una nuova esperienza che ci ha permesso di incontrare i ragazzi nelle loro parrocchie, nelle loro famiglie, nel loro contesto sociale, nel loro mondo, direi… La scoperta che abbiamo fatto è che dinanzi a tale proposta non venivano più coinvolti solamente i ragazzi, ma anche le loro famiglie, alle quali si chiedeva di crescere, insieme al figlio nella riscoperta della loro stessa vocazione. Ne scaturisce un cammino vocazionale intrapreso all’interno della famiglia, insieme con il ragazzo che già ha mostrato interesse e simpatia per un suo personale coinvolgimento in tutto questo… Ecco perché abbiamo pensato di chiamarlo SIF (seminario in famiglia), proprio perché nella famiglia ci è sembrato di scorgere il luogo privilegiato per l’ascolto e l’educazione al discernimento vocazionale”[19]. Identica è stata la scelta fatta dai missionari scalabriniani nel Salento: “importantissimo per la nostra animazione è il contatto con la famiglia; ogni mese viene informata o a voce o attraverso una lettera del cammino fatto, degli impegni che i ragazzi hanno per il mese seguente. Cerchiamo di coinvolgere il più possibile i genitori consapevoli che i primi animatori e responsabili sono loro. Per questo andiamo nelle famiglie almeno 7-8 volte l’anno e per 3 volte li invitiamo per una mezza giornata di preghiera, riflessione, discussione”[20].

 

Animazione della Parrocchia

La pastorale vocazionale da personalistica ed esperienziale diventa sempre più sistematica ed unitaria. “Il gruppo vocazionale risponde anche alla necessità di formare consapevolmente una coscienza vocazionale non solo al suo interno, ma anche di poterla comunicare con tutti i mezzi che gli sono di competenza riservati”[21].

La comunità cristiana si sente più investita di questo problema. Ai catechisti si fa riscoprire la dimensione vocazionale presente nei Catechismi della CEI; da più parti si valorizzano i Gruppi dei ministranti, come i Gruppi “Samuel” a Napoli; si intensificano gli incontri di catechesi con i PA e gli A. aiutati dai seminaristi, come nel caso del seminario romano minore[22]; si cerca di animare vocazionalmente la preghiera della comunità anche grazie ai ricchi sussidi preparati dal CNV in occasione dell’annuale GMPV.

 

Prospettive per la Pastorale vocazionale

Dall’esame delle diverse esperienze dei GR, GP e CV emergono delle priorità, che, a dire il vero, per molti sono già un patrimonio acquisito, ma che vale sempre la pena aver presente per rendere più proficua l’animazione vocazionale.

 

– Se la vocazione è prima di tutto un dono di Dio, la proposta deve essere compiuta non come un intervento esclusivamente umano. Il clima più adatto resta quello della preghiera, dell’ascolto delle mozioni dello Spirito, della ricerca sincera della volontà del Padre.

– Ogni proposta avrà come punto di riferimento la sequela di Cristo, che è vocante di per se stessa. Solo nella comunione con lui, il giovane potrà percepire la chiamata, come un modo proprio di vivere la sequela con tutte le sue severe esigenze.

– La proposta non può puntare su reazioni prevalentemente emotive o su suggestioni psicologiche e soggettive. Meno ancora “proporre” può significare reclutare o fare proseliti. Si richiedono itinerari di fede vocazionali.

– Il principio di gradualità fa adeguare gli interventi specifici al cammino con il quale ogni persona giunge a comprendere e ad accogliere il progetto di Dio. Non va dimenticato che l’azione di Dio, nelle chiamate, è liberissima e imprevedibile. Non si può né forzare il ritmo di questa azione, né tantomeno contrastare il suo carattere di imprevedibilità. Il quando di Dio può essere qualunque momento della vita cristiana.

– Essendo sulla linea dell’annuncio e dell’educazione nella fede, la proposta vocazionale, per essere efficace, esige il sostegno della pastorale giovanile e della catechesi.

– La testimonianza gioiosa, sia di comunità che di persone consacrate, rende credibile la proposta e diventa essa stessa evidente e affascinante proposta vocazionale.

– Nella proposta specifica è necessario tenere presente tutto il ventaglio delle diverse vocazioni esistenti nella Chiesa: tuttavia non si può non dare il massimo della propria attenzione alle vocazioni ai ministeri ordinati e alle diverse forme di vita consacrata[23].

 

 

 

 

 

 

Note

[1] L’USMI ha organizzato nell’82 un Convegno sulle Comunità di Accoglienza.

[2] I Vescovi del Piemonte. La preghiera: fondamento della vitalità vocazionale, in Rogate n. 11, 1987.

[3] Nella IV parte il Piano Diocesano Vocazioni prevede i seminari e le case di accoglienza vocazionali maschili e femminili come luoghi privilegiati di un servizio vocazionale che la comunità offre alle persone in ricerca vocazionale. Cfr Angelico Violoni, Pesaro: una città sensibile alla pastorale vocazionale in Rogate n. 6/7, 1982.

[4] Plautilla Brizzolara, Comunità vocazionale delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori, in Rogate n. 4, 1982.

[5] Delfina Cipolla, Da un incontro nasce una scelta. I gruppi vocazionali delle Canossiane, in Rogate n. 5, 1982.

[6] Tobia Carotenuto, “Proposta”: una comunità vocazionale sul terreno del carisma salesiano, in Rogate n. 6/7, 1982.

[7] Gianni Fanzolato, “Ragazzi in gamba, Ragazzi in ricerca vocazionale”; Gruppi vocazionali dei missionari Scalabriniani nel Salento, in Rogate, n. 3, 1982.

[8] Giuseppe Sovernigo, Progetto di vita e proposta vocazionale ai preadolescenti, in Rogate n. 4, 1986.

[9] Gianni Fanzolato, Ibidem.

[10] I Vescovi del Piemonte, Ibidem.

[11] Cfr. Michele Baudena, Gruppi vocazionali a Roma, in Rogate n. 4, 1982. 

[12] Gianni Fanzolato, Ibidem.

[13] Silvano Pinato, Analisi socio pastorale delle Comunità di Accoglienza, in Rogate n. 6/7, 1982.

[14] Fortunato Siciliano, Alcune esperienze di Case religiose di accoglienza, in Rogate n. 6/7, 1982.

[15] Giuseppe Clementel, Salesiani: Dimensione vocazionale dell’Apostolato tra i giovani, in Rogate n. 3, 1982.

[16] Delfina Cipolla, Ibidem.

[17] Plautilla Brizzolara, Ibidem.

[18] “Tabor Weekend vocazionali a Perugia”, in Rogate n. 4, 1993.

[19] Pippo Crea, Seminario in famiglia. Per un cammino vocazionale dei preadolescenti, in Rogate n. 2, 1990.

[20] Gianni Fanzolato, Ibidem.

[21] Parrocchia S. Giuseppe, Gruppo vocazionale Villabate, in Rogate, n. 3, 1982.

[22] Salvatore Chessa, L’annuncio della vocazione a gruppi di ragazzi e ragazze della cresima: un’esperienza del seminario romano minore, in Rogate n. 6/7, 1982.

[23] Ciro Quaranta, L’urgenza della proposta, in Rogate n. 1, 1982.