Preadolescenza e adolescenza: età vocazionale
Tradizionalmente l’adolescenza è stata considerata una fase difficile dello sviluppo, un periodo di travolgenti “tempeste e tensioni” e, allo stesso tempo, di grandi potenzialità fisiche, psicologiche ed emotive. L’adolescenza resta tuttavia uno stadio della vita impegnativo e a volte irto di difficoltà. Per quale motivo? La prima risposta che viene alla mente, e la più ovvia, è che l’adolescenza, soprattutto nella sua fase iniziale, è innanzitutto un periodo di trasformazioni fisiche, sessuali e cognitive, che vanno di pari passo col modificarsi delle esperienze sociali. Oltre ad affrontare tutte queste modificazioni evolutive, gli adolescenti sono impegnati in una lotta per la conquista della propria identità, per trovare una risposta a una domanda cruciale: “Chi sono io?”. Nonostante tutte le tempeste, disturbi affettivi, l’adolescenza è un periodo privilegiato dello sviluppo. Qui nascono i grandi amori, spuntano gli slanci religiosi che possono diventare i motori di vocazioni consacrate ed addirittura della santità. In questo senso, è un periodo di grazia.
La psicodinamica dell’adolescenza
Il periodo che definiamo adolescenza può essere breve, come avviene nelle società più semplici, o relativamente prolungato come nella nostra, caratterizzata da un alto sviluppo tecnologico. Per poter comprendere il comportamento degli adolescenti è necessario capire la psicodinamica che li spinge dall’interno. Le trasformazioni, cioè, che si verificano durante l’adolescenza sono soprattutto di natura intrapsichica. Partendo da questa psicodinamica, possiamo distinguere cinque “mondi” dell’adolescenza.
1. Il mondo disarmonico della pubertà
I primi segni della pubertà si osservano al livello della crescita corporea: le estremità si allungano in modo disarmonico, le mani, i piedi, il naso giungono alla loro dimensione quasi da adulti, mentre il corpo e la testa rimangono quelli di un bambino. Questa disarmonia corporea crea, a livello psichico, un senso di profondo disagio nell’adolescente; egli si sente diverso dagli altri, spesso bersaglio di osservazioni ironiche. Oltre alla dimensione sociale però, il disagio dell’adolescente proviene soprattutto dal fatto che il corpo, che fino a quel momento era un mezzo obbediente della comunicazione, all’improvviso sfugge al controllo: i gesti non seguono più le parole, la mimica non si adegua ai sentimenti. Il corpo, che faceva parte integrale dell’io, che era cioè un “corpo-soggetto”, diventa un corpo estraneo, sconosciuto, un “corpo-oggetto”.
In questo periodo inizia il noto fenomeno della pubertà: la tendenza a filosofare. L’adolescente cerca nel mondo interiore delle idee una ricompensa per la perduta armonia esterna. Il primo passo verso la scoperta del mondo delle idee consiste nella scoperta delle strutture. Una delle caratteristiche principali di questo periodo è il fascino delle strutture, che si manifesta con la passione di raccogliere diversissimi oggetti, con l’attribuire soprannomi a tutti: ai compagni, ma anche agli insegnanti. È interessante osservare che gli stessi adolescenti non si offendono nell’avere qualche nomignolo, perché interpretano questo fatto come un essere capiti da qualcuno. Altra caratteristica di questa età è la creazione da parte degli adolescenti di associazioni segrete strutturate in modo gerarchico, con leggi, riti e tappe di iniziazione. Il ruolo positivo di questi gruppi adolescenziali è di aiutare l’adolescente ad imparare la legge del “fair-play”, cioè che per ogni guadagno bisogna pagare un certo prezzo. Tutto questo ha come scopo la preparazione per entrare nel mondo degli adulti, nel quale ognuno deve adattarsi alle strutture prestabilite.
2. Il mondo senza confini della pre-adolescenza
Alla soglia dell’adolescenza il giovane è tutto immerso nel mondo delle idee, delle astrazioni: sta scoprendo la forza e il fascino dei ragionamenti astratti, della logica e delle scienze. È portato a discutere molto e con grande passione solo per il piacere di discutere. Il mondo delle idee non conosce limiti: il giovane diventa nella sua fantasia un avventuroso, un esploratore: legge con grande predilezione libri di avventure.
Il retroscena caratteristico di questo stadio di sviluppo è il fascino dello sconosciuto. Il ragazzo s’interessa di fantascienza, è attirato dai film del mistero che lo proiettano in un mondo al di fuori della realtà quotidiana. Tali interessi se accolti e incanalati adeguatamente possono aiutare il ragazzo ad aprirsi alla trascendenza e stimolarlo alle letture di qualche “vita avventurosa” dei Santi.
3. Il mondo negativistico dell’adolescente
Attorno ai 14-16 anni per i ragazzi, ai 13-15 per le ragazze, inizia un periodo di chiusura in se stessi. L’adolescente diventa molto insicuro, rifiuta ogni autorità, diventa poco trasparente, negativistico, talvolta ostile. Il cambiamento avviene senza preavvisi, l’adolescente si chiude anche davanti ai suoi amici, non mostra interesse per niente, diventa solitario, gira senza meta, è nervoso, non prende nessuna iniziativa. Tutto gli sembra senza senso, senza significato. Non capisce se stesso e si domanda se sia normale. Ha l’impressione che la vita sia una cosa stupida. Cosa prova l’adolescente, che cosa sta cambiando nella sua psiche? Il tema centrale di questo periodo sembra sia l’esperienza della propria insufficienza. L’adolescente sta per scoprire la contingenza: il mondo potrebbe benissimo andare avanti anche senza di lui, perciò gli sembra che sia inutile vivere. Questo è, d’altra parte, lo scopo positivo del suo negativismo: scoprire l’esistenza della trascendenza, i valori e le norme oggettive. Appena nasce questa scoperta, egli torna indietro nel mondo reale. Infatti, il periodo del negativismo di solito non dura a lungo e si dissolve automaticamente.
I genitori e gli educatori di solito si sentono impotenti davanti al comportamento negativistico dell’adolescente, perché questi rifiuta ogni aiuto, ogni avvicinamento. L’unica cosa che può aiutare gli educatori, è di capire cosa sta vivendo l’adolescente e aspettare il cambiamento con grande pazienza. Si tratta della rottura del “cordone ombelicale psichico” che ancora lega l’adolescente al mondo della fanciullezza e questo processo non si può accelerare con mezzi educativi: è un compito che l’adolescente deve risolvere da solo.
4. Il mondo onnipotente dell’io personale
Dopo il periodo del negativismo l’adolescente scopre un nuovo mondo pieno di misteri, di meraviglie, denso di promesse, non si sente più solitario, nonostante gli piaccia ancora stare solo, passeggiare nei boschi o lungo le strade, ascoltare musica o semplicemente fantasticare, sdraiato sul letto. Il sentimento di base che lo spinge è quello dell’ammirazione ed egli ammira, prima di tutto, se stesso, perciò la caratteristica principale di questo periodo diventa il fascino del proprio io. Egli cerca la solitudine, ma soltanto per poter ammirare se stesso. L’adolescente è giunto alla fine della strada che porta verso la maturità, gli manca soltanto ancora una condizione: l’autocritica. In questo periodo, l’adolescente è ancora pieno di se stesso e si sente onnipotente (capax universi). Gli sembra che le sue capacità siano infinite. Una descrizione magistrale di questo sentimento d’onnipotenza dell’adolescente la troviamo nel romanzo di Dostojevskij, “L’adolescente”. Il giovane Arkadij Andrejevic Dolgorukij accarezza l’idea di diventare ricco come Rothschild ed è convinto che per realizzare questo desiderio basti la forza della volontà.
Nella psiche dell’adolescente manca ancora il sentimento dei propri limiti, ma proprio in base a questo sentimento di onnipotenza possiamo capire alcuni fenomeni ben noti tra gli adolescenti, per esempio la loro tendenza all’esclusivismo, all’idealismo, alle esagerazioni, alla testardaggine nel sostenere idee sbagliate, irreali, ecc. Questo radicalismo porta l’adolescente a criticare tutto e tutti, compresa la Chiesa, la religione, la società. È quasi ossessionato dall’idea di cambiare questo “mondo corrotto”. Ovviamente questo “complesso di Messia” irrita gli adulti ed ha come conseguenza contrasti e litigi. Ma qual è il ruolo positivo di questo idealismo e spirito critico?
Il ruolo positivo di questo periodo è la personalizzazione di tutti i valori, offerti dai genitori o dalla società. Rimarranno autentici soltanto quei valori, che l’adolescente interiorizza, cioè fa propri. Le sue critiche spietate non hanno altro scopo che mettere alla prova la validità dei valori del mondo degli adulti. Ma c’è ancora una novità in questo periodo: la scoperta del mondo della bellezza. L’adolescente trova belli non soltanto la natura e il mondo esterno, ma anche se stesso.
Inizia a curare se stesso, passa intere ore davanti allo specchio e proprio questo nuovo senso per il bello lo prepara al rientro definitivo nel mondo reale, ma soprattutto ai contatti eterosessuali.
Nell’adolescenza lo slancio della crescita e dell’affermazione di sé spinge l’essere al di sopra di se stesso, non soltanto al di sopra di ciò che egli era da fanciullo, ma anche al di sopra, in una certa misura, di ciò che egli finirà per essere nell’età adulta. Questa bisogno di superamento, che sembra necessario riconoscere accanto alla funzione di progresso morale e spirituale, è una presenza d’urto di fronte alle imperfezioni del mondo che l’adolescente scopre e giudica senza attenuati.
5. La giovinezza: il mondo delle decisioni personali
Passata l’adolescenza, il giovane deve affrontare le grandi decisioni della vita: scegliere una professione, tracciare il suo status sociale, sposarsi, mettere su famiglia. Per la maggior parte delle persone, giovani o mature che siano, la conquista di un’identità relativa al lavoro che desiderano svolgere costituisce una parte importante dell’identità intesa in,senso globale. Secondo la teoria di Erikson, alla conquista dell’identità fa seguito quella dell’intimità, che consiste nella capacità di unirsi a un altro essere e di prendersi cura di lui, di avere fiducia negli altri, di essere emotivamente coinvolto nell’amore come nell’amicizia.
La scelta vocazionale
La storia dell’uomo è la storia del suo bisogno e della sua capacità di amare. La vocazione individuale è la chiamata rivolta dal Creatore ad ogni uomo, per uno o vari ruoli particolari, sulla linea dell’amore. Ognuno deve rispondere alla propria vocazione all’amore e deve integrare il proprio ruolo vocazionale nel processo dell’apprendimento continuo dell’amore. Non esiste la vocazione come qualcosa che si ha, che si possiede e si conserva, si difende o si perde. Esiste la storia di ogni vocazione con il suo nascere, crescere, divenire, attuarsi, le sue crisi e relative soluzioni. La maturità vocazionale viene perciò studiata in due diverse fasi. La presa di coscienza della propria vocazione, in maggioranza dei casi, sembra attraversare tre tappe.
1. L’emozione privilegiata
L’origine della vocazione o la presa di coscienza di un’eventuale vocazione è associata ad un’emozione che provoca un eco speciale in una cerimonia, spettacolo, lettura, ritiro, ecc., e che prende un valore vocazionale. L’emozione privilegiata può essere il primo segno di un’intuizione non ancora tematizzata. Ogni vocazione comporta questo elemento emozionale che dopo si trasforma in un’adesione affettiva alla propria vocazione. A che età possono essere considerati come consistenti gli interessi e le inclinazioni di un giovane verso una forma di vita o una professione? Secondo le ricerche un prete su tre dichiara che la prima idea, il primo desiderio o la prima decisione nacque prima dell’età di 12 anni.
Iniziando con la prima presa di coscienza di vocazione, la motivazione diventa selettiva: coordina e finalizza tutti i bisogni, atteggiamenti, valori ed interessi dandogli il suo carattere, la sua forza e la sua profondità di significato. Tutto ciò porterà via via il ragazzo ad attuare scelte sempre più in sintonia con la sua vocazione di fondo e ad allontanarsi da tutto ciò che sentirà estraneo ai valori prescelti. Tale processo rende il progetto di vita stabile ed efficace nel futuro.
2. Il desiderio di imitare un modello
La risposta vocazionale si struttura in un desiderio di imitare una persona che serve da modello. Il ruolo svolto dal “modello vocazionale” consiste nell’essere un pezzo per rispondere alla vocazione. È una mediazione ordinaria e necessaria nella scoperta e risposta a qualsiasi vocazione. Ma questo imitare-seguire assume diverse modalità. È un fatto scientificamente constatato nella scelta delle professioni profane, che l’inclinazione nasce in gran parte per l’influsso di persone significative. Lo stesso vale per la scelta vocazionale religiosa: un ruolo importante svolge l’atteggiamento che i genitori, gli altri educatori, come pure fratelli e sorelle hanno verso la religione ed i suoi ministri. Questa tappa di maturazione vocazionale si inserisce nel mondo onnipotente dell’io.
Il modello, però, può essere imitato per il prestigio o il trionfo che si scopre in lui; identificandosi con il modello si ottengono rassicurazione e compensazione. Questo ovviamente rispecchia un atteggiamento ancora egocentrico. Il motivo è sempre il proprio io, la propria affermazione, profitto o esaltazione, ignorando le proprie possibilità. Nella sua fase matura il desiderio di imitare un modello, si trasforma in identificazione con gli ideali della propria vocazione.
3. La scelta di un ruolo, un impegno
La risposta vocazionale si effettua nella scelta o l’accettazione di un ruolo che impegna. La vocazione è sentita come un ruolo possibile proposto da Colui che chiama, attraverso la scoperta dei valori di servizio agli uomini, servizio visto come incarnazione e manifestazione del dono ricevuto da Dio e come risposta.
Nella sua forma matura l’accettazione totale di un impegno riconosciuto come volontà di Dio, si trasforma in riferimento per l’identità personale. Sono diversi i segni di questa maturità vocazionale. La persona vive la sua vocazione come un carisma che non è solo un dono personale dato a lui, ma anche un servizio per la chiesa; da qui nasce il senso di responsabilità per la propria vocazione. La persona ha l’impressione che la missione la supera, perciò non si sente più “padrone” della sua vocazione, bensì “servo”. Riconosce la priorità della chiamata di Dio cui risponde. (“Non è soltanto una mia scelta, ma io sono stato scelto e mandato per questa missione”). Parlando del sacerdozio il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma espressamente: “Ad esso (il sacerdozio) si è chiamati da Dio. Chi crede di riconoscere i segni della chiamata di Dio al ministero ordinato, deve sottomettere umilmente il proprio desiderio all’autorità della Chiesa, alla quale spetta la responsabilità e il diritto di chiamare qualcuno a ricevere gli Ordini. Come ogni grazia, questo sacramento non può essere ricevuto che come un dono immeritato” (N. 1578).
Implicazioni educative
Non c’è dubbio, che Dio anche oggi chiami molti adolescenti alla vocazione consacrata. Altrettanto non c’è dubbio, che gli adolescenti di oggi siano capaci di accogliere tale chiamata. Ci piace pensare, che una delle garanzie di ciò è la stessa struttura e la dinamica dello sviluppo psicologico e spirituale degli adolescenti. Non dobbiamo avere perciò nessuna paura delle vocazioni “adolescenziali”. Se in altri campi dello spirito umano si incontrano “bambini accelerati” o addirittura prodigiosi, come in campo di musica, arte, ginnastica, non vi è nessuna ragione rifiutare la stessa capacità nel campo della religione. La domanda torna alla nostra responsabilità educativa. Dalle considerazioni fatte emergono tre implicazioni educative, sorprendentemente “classiche” riguardo al loro contenuto.
1. Bisogna parlare della vocazione consacrata
Fare delle domande agli adolescenti, organizzare incontri sulla vocazione ecc. senza eccessiva paura di “indottrinamento”. Occorre però essere chiari nella proposta: la formulazione non può essere di tipo pubblicitario “se vuoi essere felice…”, bensì la proposta vocazionale deve sempre essere presentata come sfida, compito, chiamata, proveniente da Dio.
2. Bisogna proporre ideali vocazionali
Molti di noi si ricordano il loro “modello vocazionale”: il parroco, qualche missionario, qualche Santo. Fornire ai giovani tali modelli e tali letture è un compito importante della pastorale vocazionale. A questo proposito possiamo ricordare il ruolo importante dell’accompagnatore vocazionale che viene percepito dagli adolescenti come modello.
3. Bisogna educare ai grandi valori, agli ideali altissimi
Non dobbiamo avere paura di richiedere molto dai giovani, di mostrare anche le difficoltà e il prezzo della vocazione consacrata, del celibato, dei voti. Alla base di una vocazione riuscita non sta la dinamica dell’autorealizzazione, bensì la sfida dell’autotrascendenza: l’innamoramento di un valore che viene proposto e che si percepisce come qualcosa che supera la mediocrità. Ma soprattutto, bisogna sottolineare il carattere personale della vocazione consacrata: non è una nostra scelta, bensì la scelta di Gesù Cristo che chiama e affida la missione.