N.03
Maggio/Giugno 1995

Riflessioni e proposte sui seminari minori

La tradizione tra collaudo e crisi

Ha fatto dei seminari minori i luoghi istituzionali di formazione sacerdotale. Segregazione, esperienze chiuse e orientate, presupposto di chiamata e volontà di esisto a senso unico, anche l’autentica formazione restava più disciplinare, spirituale, poco legata ad un’affettiva proposta di identità futura precisa. Si entrava per farsi preti, a 11 anni. Anche prima in alcuni preseminari. Qualcuno aveva intuito la presenza della vocazione. Qualche consenso ci voleva. Comunque una volta entrati bisognava andare avanti per non uscirne con un marchio quasi generalizzato di tradimento, di fallimento, di rifiuto di una grazia cui molte altre grazie erano collegate.

La storia ha collaudato a lungo la formula, perché sono pur usciti da lì molti e buoni preti. Poi il collaudo ha incominciato a scricchiolare verso un insieme di crisi quasi generalizzate. Le uscite non ben interpretate e non ben condotte si sono moltiplicate fino a diventare quasi la norma. Le entrate sono diminuite o si sono esaurite. Molti fallimenti successivi sono stati attribuiti al sistema dei seminari minori. Il clima interno si è fatto pesante per il moltiplicarsi negli stessi formatori di dubbi, insicurezze, rifiuti. La vicenda ha portato in molte nazioni alla quasi totale chiusura.

Poi? O nessuna alternativa, o qualche ritorno all’antico, o la ricerca di vie nuove inclini a definizioni totalmente diverse per l’intuizione e lo sviluppo di rinnovamenti radicali, di concezione, finalità globale e articolata, progetto e metodo.

 

 

La ripresa dei gruppi vocazionali

Sono stati tristi gli anni dell’abbandono pratico vocazionale dei preadolescenti e adolescenti. Le vocazioni adulte sono venute, ma poche, problematiche, magari ridotte in radice proprio per la mancanza di cura e coltivazione precedente. Da qui la necessità di ripensare l’intero progetto, la necessità e ancor più la convinzione di dovere e potere ritrovare e provarne nuovi modelli. Dalla crisi disturbante e distogliente, si è giunti al recepire autentiche sfide da parte di nuovi valori, di più mature competenze divine e umane, che hanno mostrato possibili nuove ipotesi di progetto e metodo.

Dalla crisi alla sfida teologica. Non valgono più le teologie ingenue delle divine ispirazioni all’interessato, alle nonne e zie, ai confessori e ai direttori spirituali o ai reclutatori. Gli stessi segni sono da coltivare e da interpretare. Ma è biblico e teologico che Dio fin dall’inizio ha un pensiero di amore su ognuno di noi in un mistero che ordinariamente svela solo nel corso di un adeguato cammino pastorale vocazionale. La vocazione ha una storia teologica lunga. Bisogna sapervi dialogare.

Dalla crisi alla sfida psicologica. La pretesa di decidere orientamenti e scelte esistenziali e vocazionali della vita con rigidità eccessiva negli anni della preadolescenza e dell’adolescenza rischia la forzatura del condizionamento, la partenza da basi fragili, incomplete, premature, destinate a debolezze future. Durante e dopo quelle fasi la personalità giovanile si definisce e si rinnova nelle dimensioni corporee, mentali, affettive, morali, religiose, e solo dopo è in grado di ipotizzare e decidere scelte impegnative di forme definitive umane, cristiane vocazionali. Prima non hanno elementi sufficienti e senso. Eppure le scelte personali partono da lontano. Fin dall’infanzia parte l’esplorazione delle molte possibilità e opportunità, elaborando immagini oggettive e di sé nel vivo nell’esperienza esteriore di fantasia e sentimento. Negli anni della preadolescenza sono possibili intuizioni già in grado di fissarsi in modo insistente e privilegiato su adesioni suggestive, generalmente attive, molto appariscenti, che meritano qualche ipotesi ricorrente. Negli anni dell’adolescenza le intuizioni prendono corpo e si fanno più intime, più comprensive, più personalizzate, fino a meritare qualche opzione più significativa e meglio delineata. Siamo ancora in fase di passaggio. Non più le vecchie forme di seminario minore, ma qualcosa di molto nuovo e pensabile per forme di proposta e accompagnamento organico esterno.

Dalla crisi alla sfida pedagogica. Non più antichi seminari minori, non solo cure e appelli personali, ma luoghi e forme di larghe e belle esperienze umane e cristiane approfondite fino a capire e assumere in prospettiva gli impegni sacerdotali, verso il proseguimento di una soluzione personale normale, completa, solida, vicini alle famiglie, educati dalle famiglie, a contatto con i coetanei maschili e femminili, con le cose reali di mondo e chiesa, con la possibile considerazione di altre scelte oneste. Al di là della chiusura e del rimando generalizzato a età successive, si profila crescente la sfida di una pedagogia di seminario minore nuova e valida. Difficoltà e crisi ormai hanno portato alcuni (forse molti) a pensare solo gruppi vocazionali, centri, comunità, riferimenti, accoglienze di orientamento, proposta, maturazione, con la fine definitiva dei seminari minori.

La formula dei gruppi e delle altre forme sono frutto dei motivi di crisi accennati sopra. Si può ritenere accertata e quasi fissata per le età di cui trattiamo. Ma la contrapposizione come alternativa totale forse non è giusta, non è richiesta, potrebbe esprimere una rinunzia prematura e perfino pericolosa. Il loro nascere e diffondersi non è alternativo ma complementare. Dovranno esistere insieme, paralleli, come formule compresenti che insieme offrono oggi nelle nostre chiese un prezioso ventaglio di impegno organico e solido. Il passaggio si può ritenere sicuro e indolore, segno di maturità.

 

 

Seminari minori nuovi, come comunità vocazionali

Vale più la sostanza che il nome. Comunque si tratta di forme vocazionali pedagogiche ben lontane dal programma rigoroso di una formazione di piccoli preti a distanza. Il sacerdozio resta chiaro e forte come prospettiva centrale, ma i processi educativi sono di animazione, proposta, ricerca, orientamento, accompagnamento e maturazione di preadolescenti e adolescenti, possibili e perfino promettenti, anche se molto esigenti per chi li deve organizzare e gestire.

Il seminario minore oggi non ha più il significato di “luogo istituzionale” come nel passato, con note di fissità di condizioni, richieste, offerte programmatiche, di stretta selezione delle esperienze, di segregazione totale protettiva, di quasi predestinazione a uscita unica, poi sfasciata dai fatti.

Oggi gli inevitabili tratti istituzionali vengono abitualmente composti con i tratti significativi e aperti dei gruppi e delle comunità. Perciò ne possono costituire l’integrazione complementare, quasi dando origine insieme nelle unità diocesane all’intero sistema vocazionale preadolescenziale e adolescenziale, dominato da principi comuni validi per tutti.

– Il lavoro vocazionale non è più concepito come la coltivazione di un “seme” già individuato e determinante il regime ordinario di vita e formazione. La nuova concezione teologica e psicologica dice che il seme potenziale esiste, ma la sua natura vocazionale e sacerdotale è soggetta a un itinerario di animazione, maturazione, prova, manifestazione che parte da un giudizio di attitudine vocazionale remota per esclusione di evidenti controindicazioni fisiche, psichiche, morali, per giudizio di presenza di tratti di possibilità prossima positiva umana e cristiana che vogliano e guidano in un itinerario di coltivazione e accompagnamento diretto a prendere successivamente forma meglio determinata. Il tempo e il lavoro del seminario minore appartengono alla fase di Pastorale vocazionale e non alla successiva di Formazione presbiterale.

– Il programma formativo è ben delineato. La maturazione umana e cristiana introduce alle basi dell’incontro, della esperienza e della confidenza, della sequela e delle confidenze, perciò alla risposta di fedeltà al Signore Gesù, compresi i misteri che sono in grado di tradursi in chiamata e risposta formatrice vocazionale specifica sacerdotale, religiosa, laicale. Ecco la domanda: quali tratti della esperienza e acquisizione umana e cristiana sono idonei a rivelare e motivare, presso coloro che il Padre ha avvolto nel suo ministero, comprensioni di elezione, chiamata, avvio di risposta di ipotesi e di opzione sacerdotale? Non più, non meno. Intanto gli anni passano, e giovani e educatori possono lavorare, provare, discernere, decidere.

– La vita nei seminari minori nuovi tende a restare piena di ogni esperienza onesta giovanile, non proibendo quelle che possono portare ad altre scelte di vita umana e cristiana non sacerdotale. Con larga comunicazione esterna, con ritorni periodici. Anche all’interno dei seminari l’isolamento non è più totale, ma cerca e permette compiutezza di esperienze.

– Più delicata è la capacità di fare del nuovo ambiente originale un autentico luogo di possibilità di sviluppo della ipotesi, della opzione, della scelta e decisione vocazionale presbiterale. Come si ottiene?

L’immagine e il valore sacerdotale devono trovare sempre modi di presenza e presentazione, per via di considerazione e di incontro e proposta, sopratutto esemplare e personalizzata, ma anche dottrinale, evangelica, ecclesiale, moderna, come possibilità, convenienza e perfino necessità urgente globale nella chiesa e nel mondo. fino a un dovere morale per chi ha le capacità.

Proprio questa esperienza privilegiata e forte fornisce al giovani in crescita il riferimento per motivare in modo spontaneo, poi consapevole, impegnato, progressivo, la selezione delle esperienze, il controllo di esse nei momenti di ritorno esterno o di più larga occasione. Arriva a maturare tratti di qualche prudenza, criteri di preferenza e riserbo, vigilanza percettiva e affettiva, di tratto. Sarà decisivo il processo di maturazione progressiva di una nuova relazione significante di stile sacerdotale con le realtà del mondo, cose, persone, costumi, valori, libertà, scelte. Nessuna penosa rinunzia, ma valutazione e valorizzazione nuova di rapporti profondamente umani e cristiani, ma anche vocazionali sacerdotali, con ogni realtà. Non più tentazione, neppure attrazione, ma sublimazione nella luce della carità sacerdotale.

Al centro è il progetto e metodo “educativo” crescente umano, cristiano, vocazionale. Elabora e risolve l’integrità arricchente delle esperienze mantenendo la centralità di un asse “forte” vocazionale sacerdotale vincente, significante e fermo, capace di farsi “proposta” formatrice, di fornire criteri di discernimento e scelta ulteriore.

Un programma simile è utile per quelli che lasciano, svelando il mistero non tanto di una loro non chiamata, ma di una chiamata altrove, sempre anch’essa ad alto livello umano e cristiano. Non permette sospetti su quelli che restano e proseguono, perché non corrono rischi di plagi o violenze, maturano solide basi e robuste costruzioni.

– Il giudizio se sia opportuno entrare in seminario minore è legato a discernimento e giudizio dei protagonisti, su base di pari attitudine delle forme esterne e della forma interna per lo sviluppo della grazia di chiamata.

Il dialogo con i gruppi vocazionali è sempre possibile per la comunanza di metodo pedagogico, con passaggi “sicuri” e “indolori”. Dai gruppi si può venire ed entrare quando lo si crede opportuno. Si può entrare o rientrare nei gruppi uscendo per riprendere vie e esperienze umane e cristiane di più larga apertura. Ma può verificarsi anche il caso di uscite temporanee, se qualche ragione lo chiede, con possibilità di soluzione esterna e di rientro successivo, senza compromettere un cammino che può esser non lineare, ma faticoso nello svelare il mistero. 

Comunità di seminario e i gruppi esterni devono mantenere aperte prospettive di esito vocazionale, consacrato, secolare, laicale, missionario…Naturalmente programmi e metodi sono progressivamente diversi per preadolescenti e adolescenti. Il mistero prosegue la sua rivelazione.