Giovani e annunzio vocazionale nel cammino della pastorale giovanile italiana
Possiamo racchiudere l’orizzonte delle nostre considerazioni entro due affermazioni importanti non solo per il contenuto, ma anche perché vanno a mano a mano rivestendo carattere di simbolo per la progettualità della pastorale giovanile italiana.
La prima è ormai notissima, perché molto citata, ma anche perché presa molto sul serio da tutti gli operatori pastorali del mondo giovanile, si trova nel documento “Evangelizzazione e Testimonianza della Carità” al “mitico” paragrafo 46: “Il vangelo della carità permette anche di sottolineare alcune dimensioni essenziali della vita cristiana che è indispensabile proporre nell’educazione dei giovani alla fede. Innanzi tutto, la sua costitutiva risonanza vocazionale. La vocazione cristiana è fondamentalmente unica e coincide con la sequela di Cristo e la perfezione della carità. Siamo però chiamati a vivere questa medesima vocazione lungo diversi cammini: nelle vie del matrimonio e dell’impegno laicale, o in quelle del presbiterato, della vita religiosa, degli istituti secolari e di altre forme di donazione. Ci rivolgiamo con fiducia ai giovani e alle giovani perché sappiano puntare in alto e non abbiano timore a seguire con generosità la via della consacrazione totale a Dio, quando avvertono la sua chiamata, rispondendo all’amore con l’amore. Sottolineiamo che l’educazione alla gratuità e al servizio per il regno di Dio è il terreno comune su cui possono fiorire tutte le molteplici vocazioni ecclesiali”.
La seconda è molto recente ed è tolta da alcune riflessioni che vengono proposte alle comunità cristiane in vista del Convegno Ecclesiale di Palermo. Ci si domanda al n. 41: “…Si ha attenzione nell’azione educativa alla scelta vocazionale, accompagnando i giovani in un cammino spirituale personale? Come caratterizzare la nostra azione educativa e pastorale con una forte dimensione comunitaria e con una autentica interiorità?”.
Un’affermazione progettuale la prima e una volontà decisa di verificare, fare il punto e rilanciare la seconda. Tra di esse ci stanno tutti i messaggi e i discorsi del Santo Padre in occasione delle Giornate Mondiali della Gioventù che sempre, insistentemente, con toni toccanti offre ai giovani momenti precisi per sentire esplodere dentro la risonanza vocazionale e che hanno offerto indicazioni precise per attuare una nuova pastorale giovanile e vocazionale. Tra di esse c’è pure una storia e una serie di passi semplici, ma decisi, che hanno tentato di tradurre in concreto il progetto e che vai la pena di raccontare, perché dai quadretti di questo racconto possono emergere alcune linee che aiuteranno a trovare nell’assise di Palermo ulteriore sviluppo.
La voglia di collaborare
Non è appena costituito in termini visibili, ancor prima che giuridici, il Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile che ci si trova con il Centro Nazionale Vocazioni a tentare di capire operativamente che cosa significa “risonanza vocazionale” indispensabile per la pastorale giovanile. Sono dialoghi tra vertici, sono convegni con la base, è capillare tentativo di mettere assieme operatori vocazionali e di pastorale giovanile: colloqui, redazioni della rivista, convegni nazionali e regionali, incontri diocesani. Che cosa ne emerge?
1. La necessità di fare un’unica progettazione pastorale. Non basta accontentarsi di inserire nei progetti di pastorale giovanile qualche capitoletto che si rivolge al discorso vocazionale, prima della chiusura, come quando, purtroppo, si ricorda la Madonna in conclusione alle prediche non preparate. Ne deriva che gli operatori di pastorale giovanile smettono, se già non l’hanno ancora fatto, di pensare a chi si interessa di vocazioni come a degli iscritti al WWF, preoccupati dell’estinzione della specie dei preti, frati, suore… e che i “vocazionisti” vivano isolati nel loro lavoro che sa più di arte del cesello che di condivisione paziente, faticosa di tutta la vita giovanile.
2. L’individuazione di alcune distanze di linguaggio, di metodo, di atteggiamento tra gli operatori dei due mondi: gli uni, piuttosto giovanilisti, forse troppo orientati alle domande dei giovani; gli altri più deduttivi, più preoccupati della alta posta in gioco della vocazione; i primi dentro nella mischia fino a non vederne l’orizzonte, gli altri presenti solo nelle occasioni della “mietitura” o strumentalizzati a riempire qualche buco della pastorale giovanile. Da questi nuovi punti di vista risulteranno più chiari alcuni obiettivi che vedremo in seguito.
I campi della collaborazione
Immediatamente si avviano presso la CEI incontri con gli incaricati e le incaricate della pastorale giovanile dei vari istituti religiosi. All’inizio c’è un po’ di fusione o con-fusione con gli incaricati vocazionali, poi a poco a poco si chiarisce la diversità di obiettivi, la loro complementarità, continuità e compresenza. È la stagione di un nuovo slancio degli istituti religiosi nella pastorale giovanile, con una forte spinta alla progettualità e alla offerta di tanti modi di vivere la fede, quanti i carismi degli istituti e alla riscoperta di un modo nuovo di fare proposta vocazionale. Che cosa ne deriva?
1. Nasce una condivisione nuova della pastorale giovanile nella sua globalità da parte degli istituti fino a ripensare i propri progetti solo vocazionali con apertura gratuita e non meno specifica.
2. Si sviluppano una serie di confronti, rinnovamenti, scambi, proposte a tutti i livelli e si qualifica il legame tra religiosi e giovani che vengono da essi seguiti o in parrocchia o nelle scuole o nella vita pastorale.
3. I religiosi/e partecipano in forma ancora più decisa e qualificata alle Giornate Mondiali della Gioventù e le colgono come proposte e annunci vocazionali fatti con uno stile nuovo, come il Papa insegna.
Alcune esperienze specifiche
È interessante notare anche qualche piccola iniziativa come quella messa in piedi dall’USMI, dal Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile e il CNV per la parte femminile, come per esempio un corso triennale per religiose, molto seguito, che tenta di preparare persone capaci di accompagnamento vocazionale, entro un triplice intervento sempre collegato sia nel progetto del corso, sia nella concreta esecuzione: la pastorale giovanile, la pastorale vocazionale, il discernimento. Si pensa che l’accompagnamento se proprio non è la sintesi di questi elementi ne è molto più vicino della semplice somma.
Un’altra esperienza utile da ricordare è la ricerca fatta dalla CISM in un convegno ad hoc sulle domande che i giovani fanno alla vita religiosa e con una ricaduta a pioggia della stessa ricerca dei vari istituti.
Che cosa ne emerge?
1. Si comincia anche nella pastorale giovanile a vedere con più attenzione il problema dell’accompagnamento vocazionale, che passa da proposta generica o intempestiva a cammino di fede da seguire con attenzione.
2. Si allarga la proposta vocazionale a tutto il mondo giovanile, non solo a quello che si riesce a tenere vicino. Fin troppo ripetuta, ma sempre vera l’affermazione che Dio si scava i suoi figli anche dalle pietre.
Le indicazioni che emergono per un annunzio vocazionale
1. Il giovane ha il diritto di essere aiutato nel suo incontro con Gesù, la risposta definitiva alla fame di vita, alla ricerca di pienezza, a sentirsi investito personalmente in un dialogo intimo e profondo che va al cuore del suo progetto di vita, dal quale scaturisce una disponibilità che impegna l’esistenza e una risposta altrettanto personale.
2. Ogni esperienza di vita del giovane che tende ad essere globale e definitiva è sotto l’invito e la chiamata personale di Dio. Ogni stato di vita cristiana è risposta a una vocazione. In particolare si ricupera la grande dignità della chiamata al matrimonio con conseguente attenzione pastorale nell’accompagnamento qualificato, nella preparazione, nelle decisioni che lo definiscono concretamente nella vita. Nella pastorale giovanile è urgente anche aiutare i giovani a vivere la solitudine che caratterizzerà la vita di alcuni, pur senza averlo previsto, non come una disgrazia, ma una vocazione. Nello stesso tempo occorre aiutare i giovani a non ritenere conclusa la creatività di Dio nell’offrire vocazioni nuove e quindi a inventare nuove risposte adatte a tempi di nuova evangelizzazione.
3. È necessario che ogni vocazione vissuta con fede e decisione sia visibile e sperimentabile nel tessuto di relazioni che caratterizzano la vita di ogni giovane (anche chi sta in seminario!) e la sua esperienza ecclesiale. Chi ha scelto la verginità è essenziale per chi sceglie il matrimonio e chi sceglie il matrimonio aiuta una scelta più definita della verginità. Superare le presenze strumentali, gli interventi per tappare i buchi, esserci gratuitamente per quello che si è, rendere evidente in ogni servizio anche non specifico che ogni vita, se è risposta a una chiamata, ha un centro: lui appunto che chiama e la gioia della risposta.
4. Ogni vocazione è obbligata a riscrivere la sua esperienza in termini percepibili dal mondo giovanile: così è dei cosiddetti carismi, così dei voti di povertà, castità e obbedienza, così del ministero presbiterale. Ogni esperienza di responsabile risposta è un dono a tutta la Chiesa e a tutto il mondo e non un bene personale da tenere per sé o da sotterrare. È lo stile missionario che deve esprimersi in tutti gli aspetti della vita cristiana. Oserei dire che ciascuno ha la risposta vocazionale che annuncia e non che annuncia la vocazione che ha. Questo la dice lunga sulla sicurezza, sull’isolamento, su un certo togliersi dalla mischia perché io ho trovato la mia strada. I tuoi voti, il tuo servizio presbiterale, il tuo matrimonio, la tua santità è vera, è dentro di te se li sai sempre annunciare, altrimenti li perdi. In questa maniera si capisce ancor meglio la destinazione universale dei doni di ciascuno e che Dio chiama per il Regno e non per se stessi.
5. La proposta vocazionale fa parte integrante del progetto di pastorale giovanile. Ciò significa che il giovane credente, che una comunità cristiana sogna di aiutare a crescere, è prima di tutto il giovane che costruisce dentro di sé le condizioni di un ascolto, di un dialogo, di una valutazione della realtà e di sé, di una risposta e di un cammino di adesione alla chiamata. Significa pure che debbono esser messi in evidenza gli elementi caratteristici di una vita che si sviluppa di fronte a una chiamata. Come si fa a proporre la bellezza delle vocazioni cui Dio chiama gli uomini per il suo regno di verità, di giustizia, di amore e di pace se si fa una pastorale giovanile della sopravvivenza, se non si pone nella preghiera un momento qualificante dell’educazione dei giovani alla fede, se si guarda il mondo con disprezzo, se si vive solo nel frastuono, se non si imposta uno stile di purezza per tenere pronto il cuore alla risposta d’amore?
L’accompagnamento
Si parla tanto oggi di nuovo di direzione spirituale, di aiuto personale, di sostegno, di fragilità giovanile, di compagnia. Sono tutte parole che dicono da una parte la scarsa resistenza del giovane alla continuità e dall’altra la collocazione corretta dell’adulto come asimmetrico rispetto al giovane nei confronti della vita. Questa asimmetria, cioè questa responsabilità dell’adulto di offrire ragioni di vita e sentieri di speranza al giovane, non è un fatto automatico. Esige un tirocinio severo su di sé (ogni atto educativo è un esercizio spirituale sulla propria persona prima che un servizio fatto agli altri) e un allenamento guidato sul campo. Una semplificazione abbastanza diffusa del problema consiste nel pensare che l’accompagnamento sia solo dell’operatore vocazionale in senso stretto che si è fatto uno studio e un’esperienza apposita e che serve solo per seguire chi ha vocazioni di speciale consacrazione. Occorre invece riprendere con serietà da parte di tutti gli operatori pastorali con i giovani l’accompagnamento alla santità. In questi anni abbiamo perso troppo tempo nella genericità, abbiamo sottostimato il mondo giovanile, come incapace di volare alto, gli abbiamo scontato il vangelo, abbiamo pensato in sostanza o che la santità fosse una cosa rara e per i più fortunati o che non abitasse più nel mondo di oggi. Poi ti capita di trovare dei diari che trasudano da ogni pagina voglia di crescere e confusione e smarrimento nelle strade per crescere, desiderio di uscire dal coro per impostare una vita singolare, propria, profonda e solitudine nel trovare appoggi e prospettive positive.
L’accompagnamento non è un’arte da isolare da un cammino più ampio di santità e non sono solo i “vocazionisti” da preparare all’accompagnamento, ma tutti coloro cui sta a cuore la fede dei giovani. Il discorso diventa estremamente concreto per esempio in alcuni grandi spazi nuovi di pastorale giovanile.
1. Il volontariato che deve diventare uno spazio che si caratterizza per un’attenzione vocazionale da tutti i punti di vista e che di conseguenza esige accompagnamento specifico. Non è una “trappola” per ottenere religiosi o consacrati, ma prima di tutto una “trappola” per diventare cristiani santi, cristiani che si formano in tutte le sfumature, che hanno a disposizione tutte le cure possibili per specializzarsi in “risposte” generose. I volontari e gli obiettori non hanno prima bisogno di un manager o di un datore di lavoro, anche se molto nobile, ma di una guida per capire il senso della loro scelta.
2. Le comunità di ricupero che non possono essere solo case in cui si vince una malattia, ma luogo in cui si riconquista la consapevolezza di sentirsi chiamati e si trova la forza per decidersi. I preti che con tanta generosità ci stanno, non possono pensare conclusa la rieducazione se non hanno aiutato a trovare la strada, a rispondere quindi a una chiamata.
3. Le nuove esperienze comunitarie tra giovani che non sono esplicitamente esperienze vocazionali, ma sono solo voglia di condividere la ricerca della vita con altri, sani, immersi nella realtà, controcorrente. In alcune diocesi si stanno tentando esperienze di convivenza tra giovani che vogliono condividere il tempo delle scelte della vita in un confronto costante tra di loro, senza sentirsi troppo fasciati dalla famiglia, cercando di vivere una vita di comunità. Anche qui la mancanza di educatori diventa un grave handicap.
Verso Palermo
Al Convegno di Palermo dovremo rispondere alla domanda di cui sopra. Lo sapremo fare in base ai progetti che ci siamo riscritti in questi anni, ma lo faremo ancor meglio se riusciremo a immaginare una società fatta di gente che risponde a un ruolo ben preciso radicato nella sua interiorità, che sa di dover rispondere a qualcuno di qualcosa, responsabile, cioè. La responsabilità e la vocazione vista dalla parte della risposta. Una nuova società non deve essere forse fatta di gente responsabile? Non possiamo non mettere al servizio della società la nostra esperienza e qualificazione vocazionale, traducendone i significati in termini culturalmente accessibili. Se ne avvantaggerebbero tutti i campi della vita umana: la politica, l’economia, il lavoro, la famiglia anche se non cristiana, le professioni.