N.05
Settembre/Ottobre 1995

Dio ha un “piano” per le vocazioni

Nella Pentecoste di dieci anni fa – 26 maggio 1985 – veniva consegnato alle chiese in Italia il Piano Pastorale per le Vocazioni. Al centro del documento (con il titolo: Vocazioni nella Chiesa italiana) sta un’ispirazione chiaramente teologica, soprannaturale: la pastorale vocazionale si radica nel mistero stesso di Dio e della Chiesa (cfr. Presentazione). II presentatore della Nota dei vescovi italiani, il compianto mons. Antonio Ambrosanio, si premurava di chiarificare: “Il rischio che oggi si può correre non è quello di ‘dimenticare’ l’essenziale dimensione soprannaturale della pastorale vocazionale, quanto piuttosto di sfumarla, di porla in secondo piano di fronte alla drammatica urgenza dei problemi concreti ed organizzativi, promovendo così una pastorale manchevole e povera” (ib.). Non solo centrale ma prioritario risulta il richiamo al soprannaturale, ossia all’iniziativa di Dio, quando si tratta di vocazione e di vocazioni. La via vocazionale inizia da Dio e a lui tende in ogni fase del suo dinamismo.

Può giovare agli animatori vocazionali un rapido richiamo agli elementi fondamentali di una “teologia della vocazione”, in parte esplicitata in parte sottesa nei vari paragrafi del Piano pastorale; ciò servirà da criterio di verifica del cammino percorso e da stimolo per gli ulteriori passi da compiere.

 

Chiamati per grazia

“La vocazionalità della Chiesa affonda le sue radici nel mistero trinitario che essa ha in sé, e soltanto da questo ogni vocazione prende origine e significato nella Chiesa… La Chiesa non soltanto raccoglie in sé tutte le vocazioni che Dio le dona nel suo cammino di salvezza nella storia, ma per se stessa e nel suo essere profondo è mistero di vocazione” (nn. 5 e 3).

I due testi citati, densi e concisi, contengono in progressione alcuni passaggi – chiamiamoli così – decisivi in ordine a una fondata comprensione della vocazione e a una corretta impostazione della pastorale vocazionale. Tali passaggi possono essere ordinati nel seguente modo.

 

 

Ogni vocazione viene da Dio

È dunque divina nella sua origine, nel suo sviluppo e nel suo compimento. In una stagione della storia nella quale si è arrivati a chiedere ai cristiani di vivere “etsi Deus non daretur” (come se Dio non ci fosse) – e ciò per dimostrare di essere adulti in un mondo divenuto adulto – suona forte il richiamo a non scindere mai l’azione umana da quella di Dio. Le attività umane sono, certo, autonome ma sempre in senso relativo: dipendono nel loro inizio e nella loro fine da Dio[1]. Ciò vale in particolare per ogni vocazione dove chi chiama non è la persona umana: essa è chiamata, lo è nel suo essere profondo[2].

 

 

La vocazione rivela e invia

Dio è mistero nel suo essere e nel suo agire. Mistero è vocabolo biblico-teologico, solo parzialmente coerente con il significato oggi diffuso; non è tanto qualcosa di arcano e di inaccessibile alla ragione umana quanto è un’economia, un progetto mirato a manifestare ai destinatari la volontà di chi prende l’iniziativa, cioè di Dio. È una volontà di amore che tende a impregnare di sé e a rendere di sé partecipi ogni persona che ad amare viene chiamata. “Questo piano scaturisce dall’amore nella sua fonte, cioè dalla carità di Dio Padre. Questi essendo il principio senza principio da cui il Figlio è generato e lo Spirito Santo attraverso il Figlio procede, per la sua immensa e misericordiosa benevolenza liberatrice ci crea e inoltre per grazia ci chiama a partecipare alla sua vita e alla sua gloria”[3].

La vocazione è, dunque, un fatto di rivelazione e di missione. Chiamando, Dio – Trinità manifesta se stesso in modo incomparabile e rende partecipi del suo amore che salva. Si potrebbe dire che mediante la vocazione ogni persona risplende sulla fronte, come Mosè, di un raggio di luce: illumina ed è segno di riconoscimento.

 

 

Nella, mediante, per la Chiesa

Ogni vocazione avviene nella Chiesa, mediante la Chiesa e per la Chiesa[4]. È la Chiesa il luogo dove il mistero di Dio trova il suo luogo e diventa segno salvifico. Tutti i credenti sperimentano il dinamismo della loro vocazione – quella generale e quella specifica – nel dinamismo della Chiesa sacramento (cioè segno e strumento), comunione e missione (anzi, comunione per la missione). La Chiesa, dunque, è vocazione per sua nativa costituzione ed è, nel contempo, generatrice di vocazioni e alimentata dalle vocazioni.

Il singolare intreccio tra Chiesa e vocazione/i va richiamato in un tempo nel quale la cultura soggettivistica permea anche i cristiani di valori innegabili (come la coscienza della dignità personale) ma anche di deviazioni (è il caso di chi ritiene che a Cristo si va incontro da solitari e da isolati). La Chiesa è prima di ogni vocazione e nel suo grembo prende forma storica il disegno di Dio, come nel grembo di Maria prese forma umana il Figlio di Dio.

Un rapido sguardo retrospettivo ai tre passaggi ora evocati rende consapevoli che tutto avviene in una dimensione circolare: Dio – la Chiesa – la persona chiamata. E tutto è “perché il mondo abbia vita”. La vocazione non è dissociabile dalla missione, dalla evangelizzazione. Questa a sua volta ha bisogno di soggetti agenti permeati da un autentico impulso vocazionale: si va ad annunciare che il Regno è vicino con la coscienza di dover ubbidire a un imperativo.

Lavorare per le vocazioni implica, fondamentalmente, un votarsi a essere condotti dall’amore del Padre a portare giovani e ragazzi (e adulti) a scoprire le sorgenti della “vita abbondante” (cfr. Gv 10,10). Non soltanto per abbeverarsi ma per dare da bere a chi ha sete (cfr. Mt 25,35).

 

 

 

 

 

Un cammino incompiuto

Queste intuizioni di carattere teologico (verrebbe da dire più propriamente: teologale) hanno istradato la Chiesa italiana nella sua opera di pastorale vocazionale durante l’ultimo decennio? La risposta appare complessa, non certo riconducibile a un sì o a un no; le stesse situazioni locali possono aver influito in una maniera disomogenea. A grandi linee, comunque, si possono accennare alcuni aspetti che si potrebbero chiamare segnavia di un cammino percorso e da percorrere, sui quali nel convegno di Palermo occorrerà soffermarsi. Le vocazioni infatti riguardano la qualità dell’esser cristiani nel nostro tempo.

 

Gli orientamenti dell’Episcopato (1973)

L’input dato dai Piani pastorali della CEI per gli anni ‘70 – ‘80 – ‘90 al cammino della Chiesa in Italia ha avuto un’accoglienza forse più operativa che non meditativa. Nonostante gli apporti pregevoli dati dai documenti ecclesiali, è prevalsa una sollecitudine pastorale improntata al “fare”, al programma, alle iniziative. Ciò è evidente nella fatica odierna di accogliere in profondità il “Vangelo della carità”: si pensi al volontariato quando non è sorretto da interiori motivazioni. Il percorso vocazionale ha risentito della stessa divaricazione. Non si può dire che la teologia della vocazione abbia avuto attenzione adeguata e significativi approfondimenti se non in chiave spirituale.

 

Forte consapevolezza educativa

Ampiamente positiva è risultata la dimensione educativa della pastorale in genere, di quella adolescenziale e giovanile in particolare. Il principio che “Dio educa il suo popolo” ci sembra che abbia avuto riscontro anche nella mentalità diffusa. Nell’ambito vocazionale è cresciuta la coscienza che vocazione e vocazioni sono generate e sostenute da Dio. Lo spazio della preghiera si è ampliato. Le iniziative di “deserto” e, più ampiamente, di vita spirituale hanno avuto un buon riscontro.

 

Non è ancora un fatto di Chiesa

Resta ancora non compiuta la sinergia tra Chiesa e pastorale vocazionale. In altre parole, deve crescere la convinzione teorica e la traduzione pratica che la pastorale vocazionale è un “atto di Chiesa” e di una Chiesa che è popolo di Dio – corpo di Cristo – comunione dello Spirito Santo[5]. Non ha torto chi osserva che il cammino vocazionale appare più appannaggio di settori ecclesiali che non occupazione gioiosa della comunità ecclesiale. Forse può aver influito, per buona parte, una caduta d’interesse per i ministeri ecclesiali e per la Chiesa stessa, in giusta misura, ministeriale.

 

Un annuncio più coraggioso, esplicito, sistematico

L’interconnessione tra catechesi e vocazione attende ulteriore spinta e più incisive sperimentazioni. Se il mistero di Dio ha bisogno di essere interiorizzato o personalizzato, ciò non avviene senza un percorso catechistico che abbia come referente l’intera comunità ecclesiale, soprattutto nella sua componente adulta. È ovvio, comunque, che la catechesi non può essere dissociata dalla liturgia e dal servizio caritativo; di fatto, sembra far la parte del parente povero. Il rischio è quello di una pastorale vocazionale sbilanciata e, in definitiva, lacunosa. 

Il cammino, in sintesi, è ancora incompiuto. Altri passi attendono una spinta: una risposta a Dio che chiama oggi e sempre.

 

 

 

 

 

 

 

Note

[1] Cfr. Gaudium et spes, 36.

[2] Cfr. Ivi, 19.

[3] Ad gentes, 2.

[4] Cfr. P.P.V. 3 e 5.

[5] Cfr. Lumen gentium, 17.