N.05
Settembre/Ottobre 1995

La pastorale delle vocazioni: un fatto di Chiesa?

“La pastorale delle vocazioni nasce dal mistero della Chiesa e si pone al servizio di essa”[1]. L’ecclesiologia, pertanto, è la “fonte” da cui nasce la pastorale vocazionale ed è la “ragione” che giustifica la pastorale vocazionale: un’ecclesiologia sfumata o deformata fa cadere la pastorale vocazionale; e, di conseguenza, una pastorale vocazionale non avvertita o non accolta nelle sue profonde motivazioni rimanda ai limiti di un’ecclesiologia cui s’ispira l’operatore pastorale.

 

 

Una scelta sempre più chiara

Il Decreto Conciliare “Optatam totius” diceva nell’ormai lontano 1965: “Il dovere di promuovere le vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana” (n. 2); tale dovere si estende evidentemente nei confronti di tutte le vocazioni.

Il Santo Padre Giovanni Paolo II, nella Esortazione Apostolica “Pastores dabo vobis” (1992) afferma: “È quanto mai urgente, oggi soprattutto, che si diffonda e si radichi la convinzione che tutti i membri della Chiesa, nessuno escluso, hanno la grazia e la responsabilità della cura delle vocazioni” (n. 41). 

Perché questa decisa e precisa indicazione pastorale del Santo Padre? È fondamentale soffermarsi sulla radice ecclesiologica, che sostiene l’indicazione del Papa: “La dimensione vocazionale è connaturale ed essenziale alla pastorale della Chiesa. La ragione sta nel fatto che la vocazione definisce, in un certo senso, l’essere profondo della Chiesa, prima ancora che il suo operare. Nel medesimo nome della Chiesa, ecclesia, è indicata la sua intima fisionomia vocazionale, perché essa è veramente convocazione, assemblea dei chiamati: ‘Dio ha convocato l’assemblea di coloro che guardano nella fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia per tutti e per i singoli il sacramento visibile di questa unità salvifica’[2]. Una lettura propriamente teologica della vocazione sacerdotale e della pastorale che la riguarda può scaturire solo dalla lettura del mistero della Chiesa come misterium vocationis” (n. 34).

Le parole del Papa sono inequivocabili: la teologia e la pastorale delle vocazioni sono intimamente collegate con l’ecclesiologia. Personalmente, sono convinto che la saldatura tra ecclesiologia e pastorale vocazionale sia un filone di riflessione che merita ulteriore approfondimento affinché diventi comune convincimento: infatti, soltanto una comprensione del mistero della Chiesa come “mistero di chiamata” può far riaffiorare lo stupore davanti al “dono di essere chiamati” e far scattare l’impegno di vivere lo stile divino del “chiamare” e l’atteggiamento costante del “rispondere”.

Non credo che questa riflessione sia capillarmente entrata nella teologia diffusa, che ispira le scelte pastorali delle nostre diocesi e delle nostre parrocchie. Ciò mi permette di dire che l’attuale crisi vocazionale non è solamente crisi di “risposta” (come spesso si afferma), ma è anche crisi di “chiamata”, perché la mediazione ecclesiale è troppo debole.

Il Santo Padre scriveva nel suo primo messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni (1979): “Cristo, che ha comandato di pregare per gli operai della messe, li ha anche personalmente chiamati. Le sue parole di chiamata sono conservate nel tesoro del Vangelo: Vieni e seguimi (Mt 19,21), Se uno mi vuol servire, mi segua (Gv 12,26). Queste parole di chiamata sono affidate al nostro ministero apostolico e noi dobbiamo farle ascoltare, come le altre parole del Vangelo: fino agli estremi confini della terra (At 1, 8). È volontà di Cristo che le facciamo ascoltare. Il popolo di Dio ha diritto di ascoltarle da noi” (n. 2).

È molto bello e molte coerente questo inserimento della pastorale vocazionale dentro il mistero della Chiesa: la Chiesa nasce dalla “chiamata” e vive di “chiamata”. Soffermiamoci su questa indicazione, che raccoglie una lunga riflessione, ed è un germe carico di potenzialità ancora poco esplorata.

 

 

La vocazione “della” Chiesa e la vocazione “nella” Chiesa

Il P.P.V., nella densa prima parte, osserva: “La Chiesa non soltanto raccoglie in sé tutte le vocazioni che Dio le dona nel suo cammino di salvezza nella storia, ma per se stessa e nel suo essere profondo è mistero di vocazione (…). E ciò perché nel mistero della Chiesa è presente e operante lo stesso mistero di Dio Uno e Trino” (n. 3). La Chiesa avverte questo mistero e legge se stessa alla luce di questo mistero: “Essa porta in sé il mistero del Padre che tutti chiama a santificare il suo Nome, a realizzare il Suo Regno, a compiere la Sua volontà (…). Porta ancora in sé il mistero del Figlio, che dal Padre è chiamato ed inviato ad annunciare a tutti il Vangelo del Regno (…). Infine la Chiesa è depositaria del mistero dello Spirito Santo, che consacra per la missione quelli che il Padre chiama mediante il Figlio suo Gesù Cristo” (n. 4).

Questa ecclesiologia è profondamente biblica. San Paolo, scrivendo ai Romani, li saluta così: “chiamati da Gesù Cristo” (Rm 1,6); e lui stesso si presenta come “apostolo per chiamata” (Rm 1,1). Scrivendo ai cristiani di Corinto ritorna lo stesso linguaggio: egli definisce così la sua profonda e vera identità: “Paolo, chiamato ad essere apostolo” (1 Cor 1,1); e i cristiani sono: “chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Cor 1,2). Pertanto, nella Chiesa, deve essere costante l’attenzione al mistero che la genera e la definisce: “Vi esorto, dunque, io, il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto” (Ef 4,1).

Il P.P.V. si muove in questo orizzonte: “La Chiesa, che è vocazione per nativa costituzione, è anche generatrice di vocazioni. Ciò riguarda senza dubbio la Chiesa universale, ma in modo speciale si attribuisce alla Chiesa particolare. Verso tutte le vocazioni, ma in particolare verso quella di speciale consacrazione, essa esercita una vera funzione mediatrice” (n. 5).

Nella “Pastores dabo vobis” è detto: “Ogni vocazione cristiana viene da Dio, è dono di Dio. Essa però non viene mai elargita fuori o indipendentemente dalla Chiesa, ma passa sempre nella Chiesa o mediante la Chiesa” (n. 35).

Sono parole che vanno meditate in ginocchio e, soprattutto, vanno accolte come criterio di giudizio della fedeltà evangelica della nostra azione pastorale. Pertanto è necessario e doveroso che ci chiediamo continuamente: io mi sento davvero “un chiamato” e, con la mia vita, sono “una voce che chiama”?

Soltanto così potremo infondere uno stile vocazionale a tutta la nostra azione pastorale e potremo educare le nostre comunità a vivere l’atteggiamento permanente dell’ascolto e della risposta al Signore. Uno stile pastorale, che il Papa fotografa con queste parole: “Non abbiate paura di chiamare. Scendete in mezzo ai vostri giovani. Andate personalmente incontro ad essi e chiamate. I cuori di molti giovani, e meno giovani, sono predisposti ad ascoltarvi. Molti di essi cercano uno scopo per cui vivere; sono in attesa di riscoprire una missione che vale, per consacrare ad essa la vita. Cristo li ha sintonizzati sul vostro appello”[3].

Soltanto un’ecclesiologia vissuta può generare un’autentica pastorale vocazionale così come il Papa la presenta e la descrive.

 

 

Risonanza nei documenti ufficiali della Chiesa italiana

Nei documenti dei Vescovi è costante il riferimento alla ecclesiologia come ispirazione della pastorale.

Nel Piano pastorale dell’Episcopato italiano per gli anni ‘80, Comunione e Comunità”, è detto scultoreamente: “Missione e comunione si richiamano a vicenda. Tra esse vige un intimo rapporto, perché sono dimensioni essenziali e costitutive dell’unico mistero della Chiesa” (n. 2).

Negli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per gli anni ‘90, “Evangelizzazione e testimonianza della carità”, leggiamo: “La carità è anzitutto il mistero stesso di Dio e il dono della sua vita agli uomini. La carità è, di conseguenza, la natura profonda della Chiesa, la vocazione e l’autentica realizzazione dell’uomo. Nella croce di Gesù essa ci è rivelata e donata in pienezza” (n. 19).

Certamente la comprensione del mistero della Chiesa come luogo di incontro con l’Amore di Dio e come luogo di chiamata all’Amore di Dio, fa scattare un dinamismo vocazionale: il dinamismo vocazionale è la logica conseguenza e la verifica dell’avvenuto incontro con l’Amore. Infatti, al n. 46 dello stesso documento, troviamo una serie di osservazioni, che esplicitano l’approdo vocazionale del Vangelo della carità. Ecco il testo: “Il Vangelo della carità permette anche di sottolineare alcune dimensioni essenziali della vita cristiana, che è indispensabile proporre nell’educazione dei giovani alla fede. Innanzi tutto, la sua costitutiva risonanza vocazionale. La vocazione cristiana è profondamente unica e coincide con la sequela di Cristo e la perfezione della carità. Siamo però chiamati a vivere questa medesima vocazione lungo diversi cammini: nella via del matrimonio e dell’impegno laicale o in quella del presbiterato, della vita religiosa, degli istituti secolari e di altre forme di speciale donazione. (…) Sottolineiamo che l’educazione alla gratuità e al servizio per il regno di Dio è il terreno comune su cui possono fiorire tutte le molteplici vocazioni ecclesiali” (n. 46).

Ormai – possiamo dirlo con tanta fiducia! – il Piano Pastorale per gli anni ‘90 orienta la riflessione della Chiesa italiana sull’ecclesio-logia letta nella luce della teo-logia, cioè del mistero di Dio-Amore-Infinito.

Questa auto-comprensione della Chiesa, dono dello Spirito Santo che “guida alla verità tutta intera” (Gv 16,13), illumina anche la pastorale vocazionale e la riconduce alla sua radice: più la Chiesa si scoprirà e si sentirà luogo dell’incontro con l’Amore di Dio rivelato nella Croce di Cristo, più essa diventerà luogo che propone e provoca risposte radicali all’Amore di Dio rivelato nella Croce di Cristo. Infatti, “accogliendo la rivelazione del mistero di Dio in Gesù Cristo si svela a noi pienamente il mistero dell’uomo e ci è resa nota la nostra altissima vocazione” (n. 8).

 

 

Il Convegno ecclesiale di Palermo e la prospettiva della pastorale delle vocazioni come “fatto di Chiesa”

Nella “Traccia di riflessione in preparazione al Convegno di Palermo” il tema vocazionale resta nel sottofondo: occorre farlo emergere chiaramente, perché, altrimenti, rischiamo di parlare della “carità senza vocazione” e “senza vocazioni”.

Al n. 6 leggiamo: “Gesù crocifisso e risorto è, in persona, l’icona vivente del Vangelo dell’amore di Dio inscritta per sempre nel destino della storia umana (…). È immolato, perché ha dato la sua vita per noi sul legno della Croce e ci ha mostrato la misura dell’amore più grande (cfr. Gv 15,13). Ci invita così ad unirci a lui sulla via della sequela e del servizio e a riconoscerlo presente in tutti i ‘crocifissi’, che incontriamo sulla nostra strada”. È dottrina purissima e indiscutibile!

Tuttavia, perché non dire apertamente che dal “Cristo crocifisso e risorto” viene un particolare appello alla sequela nella via del sacerdozio e nella via della consacrazione religiosa?

Inoltre, perché non ricordare che, senza Eucaristia (e quindi senza Sacerdozio) e senza la “profezia della città futura” che viene dalla vita povera – casta – obbediente, la “carità” rischia di decadere a livello di affanno soltanto umano e, quindi, di attività staccata da Dio come un tralcio separato dalla vite?

Al n. 41 è presentato un inquietante interrogativo: “Si ha attenzione, nell’azione educativa, alla scelta vocazionale, accompagnando i giovani in un cammino spirituale personale?”. Questa domanda potrebbe essere l’occasione per far emergere alcune lacune della catechesi dell’iniziazione e della pastorale giovanile, dove, spesso, il discorso vocazionale è marginale.

A questo punto arriva puntuale, per stimolare la riflessione e la maturazione della pastorale, il Messaggio del Papa per la GMPV del 1995: “Un progetto di pastorale giovanile non può non proporsi come obiettivo ultimo la maturazione ad un dialogo personale, profondo, decisivo del giovane o della giovane con il Signore. La dimensione vocazionale, pertanto, è parte integrante della pastorale giovanile, al punto che possiamo sinteticamente affermare: la pastorale specifica delle vocazioni trova nella pastorale giovanile il suo spazio vitale; e la pastorale giovanile diventa completa ed efficace quando si apre alla dimensione vocazionale”.

Il Papa ci consegna le coordinate di un’autentica pastorale giovanile: una pastorale che, partendo da una “ecclesiologia di vocazione”, diventa irrinunciabilmente “pastorale di vocazione”. Diciamoci onestamente la verità: le indicazioni del Santo Padre non sono una fotografia dell’esistente, ma sono un’indicazione del cammino. Camminiamo, allora!

 

 

 

 

 

 

Note

[1] Tale affermazione, ripresa dal P.P.V. (n.1), è tratta dal Documento Conclusivo del II Congresso Internazionale Vocazioni, promosso dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica. Il Convegno si svolse a Roma nel maggio 1981 e il Documento venne pubblicato nel maggio 1982.

[2] Lumen gentium, 9.

[3] Messaggio per la GMPV, 1979.