N.01
Gennaio/Febbraio 1996

Educare la coscienza morale oggi educando l’amore

“La coscienza morale non chiude l’uomo dentro una invalicabile e impenetrabile solitudine, ma lo apre alla chiamata, alla voce di Dio. In questo, non in altro, sta tutto il mistero e la dignità della coscienza morale: nell’essere cioè il luogo, lo spazio santo nel quale Dio parla all’uomo” (Veritatis Splendor n. 58)[1]. Alla luce di queste parole di Giovanni Paolo II vogliamo delineare l’itinerario della educazione alla coscienza morale come educazione all’amore e alla capacità di corrispondere, nella vocazione, all’Amore con l’amore. Cercheremo dapprima di partire da alcune coordinate all’interno delle quali comprendere il problema della coscienza morale oggi, per offrire successivamente il senso complessivo dell’itinerario di educazione della coscienza morale mostrando attraverso la chiave dell’amore il legame tra educazione alla maturità morale e itinerario vocazionale. 

 

La “coscienza situata”

La difficoltà e insieme l’urgenza di affrontare il tema della coscienza morale e della sua educazione è segnalata non solo nella letteratura specializzata ma anche dalla prassi pastorale odierna. Si tratta di prendere atto come attorno al termine “coscienza morale” vengano ad affollarsi una pluralità di significati che spaziano da una riduzione di essa alla consapevolezza di tipo psicologico ad un allargamento fino a vedere in essa la globalità della persona nel suo disporsi alla decisione morale. Diventa allora particolarmente decisivo comprendere il situazionamento della coscienza morale a partire dall’attuale contesto socioculturale.

Un primo dato da evidenziare è l’ambivalenza della coscienza umana come elemento strutturale da cui non è più possibile prescindere. Esso viene a costituire una specie di “seconda natura” all’interno della quale l’uomo accede alla comprensione di sé e del senso della sua presenza nel mondo. Le giovani generazioni sono ormai predisposte “a concepire la parte riflessa della loro coscienza – le idee che hanno, le cose che imparano, le convinzioni che via via si formano – come l’aspetto superficiale, precario della loro coscienza in senso proprio, della loro identità della loro persona. Infatti, ormai tutti siamo abitati dalla persuasione che dietro questa superficie ci sia dell’altro e questo altro, il profondo di noi stessi, potrebbe essere anche difforme, diverso, persino in contrasto con ciò che in superficie sentiamo, pensiamo, vogliamo”[2]. Questa ambiguità di fondo rende allora particolarmente difficile il compito dell’educazione e dell’autoformazione della coscienza morale. Qualcosa sfugge al di sotto del fascio delle attuali motivazioni, intenzioni e scelte della persona. Non può allora funzionare semplicemente l’idea della formazione della coscienza morale come istruzione della volontà o come trasferimento intellettuale di convinzioni elaborate da una tradizione morale all’interno della quale l’uomo si trova inevitabilmente a vivere. L’operazione è più delicata: appare necessaria l’educazione del cuore, del centro profondo della persona, perché solo lì si offre la chiarezza e la nitidezza del valore e della decisione morale conseguente.

Un secondo elemento da tenere presente – puntualmente segnalato da Sequeri – è la difficoltà di attuare il discernimento del mondo della risonanza, cioè del mondo affettivo. A questo livello si fonda e si unifica l’elemento intellettivo, volitivo della persona con il momento attrattivo del bene, che nella prospettiva cristiana, si rivela all’interno del felice rapporto con Dio attuato dalla fede e della partecipazione alla grazia di Dio attraverso il dono dello Spirito Santo. La discesa nel mondo dell’interiorità, dà ragione dell’azione dello Spirito Santo nella sua “capacità di rendere affettivamente importante la Legge di Dio e persuasiva la Parola della fede”[3]. In questa luce l’educazione della coscienza morale si configura in continuità con l’educazione alla risposta di fede che spinge, in modo dinamico e perentorio, ciascuna persona alla cura per la ricerca della modalità esistenzialmente corretta di questa risposta: la vocazione appunto. L’educazione della coscienza morale nella prospettiva cristiana rivela questa qualità particolare: essa non si riduce alla delimitazione del comportamento giusto ma ha a che fare con una persona chiamata alla verità di sé, a sentire affettivamente importanti e decisivi in ordine alla sua vita quegli appelli ad una giusta relazione con Dio nella fede capace di tradursi in una ricaduta nelle scelte più o meno grandi e decisive della vita. La capacità di arrivare al mondo dell’interiorità e di offrire una parola e dei criteri di comprensione e di giudizio di sé sono, dunque, rilevanti in ordine ad una pedagogia di maturazione vocazionale.

Un terzo elemento per cogliere l’attuale situazionamento della coscienza morale è quello della “deistituzionalizzazione del criterio dell’autenticità morale”[4]. La sfera della moralità si identifica con l’orizzonte delle relazioni immediate, nelle quali cioè non si profila alcun aspetto istituzionale. Criterio di realizzazione allora non diventa la ricerca del bene all’interno della trama di rapporti allargati nei quali il soggetto vive, ma il bene viene di volta in volta negoziato a partire dal grado di coinvolgimento del soggetto e piegato alla logica della forte emozione. Là dove, come nella trama istituzionalizzata dei rapporti, il coinvolgimento è minimo, allora minima sarà la capacità del soggetto di identificarsi con essi. Il problema educativo della coscienza morale deve allora far fronte a questa situazione proponendo di allargare i mondi vitali abitati e sentiti dalla persona per renderli effettivamente importanti e decisivi in ordine all’autenticità di vita. Il risvolto sull’educazione vocazionale sarà allora quello di aiutare la persona a liberarsi da una figura ristretta della propria problematica vocazionale (come risposta esclusivamente legata al bisogno personale), per comprendere come la vocazione che si istituzionalizza in uno “stato di vita” abilita la persona ad abitare ogni ambito dell’esistenza, ogni tipo di rapporto alla luce della propria scelta di vita.

 

La coscienza “educata”

L’ambito dell’educazione morale è colto da Giovanni Paolo II nella dinamica dell’apertura alla chiamata di Dio. Il presupposto dell’opera educativa è dunque la capacità propria dell’uomo di rispondere in modo progressivo e personale ai valori oggettivi che appaiono come promesse capaci di svelare all’esistere sempre più grandi orizzonti di compimento. L’uomo comprende che per vivere ha bisogno di aprire continuamente la sua vita ad alcune dimensioni oggettive capaci di svelare e dare consistenza alla sua dignità di persona. Questi valori oggettivi sono proprio quei beni di cui la persona ha bisogno per interpretare la propria vita, ma più profondamente sono gli aspetti della vita all’interno dei quali Dio chiama la persona alla fuoriuscita da sé per abbracciare il senso della vita nell’abbandono fiducioso della fede all’interno del quale quei beni sono restituiti come compiti da perseguire per corrispondere fino in fondo alla propria vocazione. Centrale a questo riguardo è l’amore, che è il profilo sintetico di ogni bene e che svela il bisogno fondamentale dell’uomo: quello di sentirsi amato e di corrispondere all’amore con l’amore. Alla base di ogni opera di educazione morale, come di ogni pedagogia vocazionale sta questa scoperta dell’amore che consente alla persona l’apertura totale di sé fino al dono. Dono di sé che certamente è alla radice di ogni vocazione, ma che ha bisogno di riconoscere e sperimentare che io posso donarmi a Dio e in lui ed attraverso di lui ai fratelli, solo se davanti a lui esisto come soggetto coinvolto nel suo stesso amore.

Questa apertura totale operata dall’Amore instaura un permanente dialogo tra chi si è dimostrato degno di fiducia perché ha aperto (rivelato) il suo amore (Dio) e la persona raggiunta e sorpresa dall’amore nel quale scopre di esistere e di avere per Lui un valore immenso. Per questo parliamo della coscienza morale come luogo in cui la persona prende coscienza della propria dignità. Questa dignità voluta e riconosciuta da Dio, che nella sua Parola apre per primo il dialogo e suscita l’esistere davanti a lui, è la verità di ogni persona. Una verità che sa aprire l’uomo nella libertà alla risposta, anzi senza la quale la libertà stessa dell’uomo non sarebbe configurabile concretamente. La verità dell’uomo è la sua chiamata alla relazione e al dialogo con Dio. Nel suo interno questa verità diventa vocazione e risposta libera. Il vincolo dell’amore non paralizza, ma fa scaturire l’autentica libertà nella quale la persona risponde con l’amore all’amore.

Questa apertura totale all’amore configura anche un’altra apertura della coscienza morale: l’apertura in profondità. La rivelazione dell’amore non si ferma alle motivazioni esterne, ma raggiunge il cuore della persona. La profondità all’interno della quale occorre spingere la persona è il segno del radicamento nella fede. Chi sa andare in profondità scopre la dinamica essenziale della fede o dell’idolatria: dal dare credito a Dio o ai vari idoli che si affollano sulla superficie dell’esistere. Questo radicamento della fede allora rappresenta la guarigione dalla tentazione di un amore passeggero come la rugiada del mattino, come ricordano i profeti. L’amore è una linfa viva che scorre nel profondo del rapporto di fede che lega l’uomo a Dio.

L’ultima apertura è quella in ampiezza. Educare la coscienza morale in ampiezza significa dare all’amore radicato nella fede i tratti della speranza. La speranza è proprio quella di sentire interpretati dalla scelta di fede e di carità tutti gli spazi, le situazioni e le relazioni della persona. L’apertura della speranza configura la vita cristiana proprio nei termini di progettualità. Così la vocazione è atto puntuale che si dispiega nella speranza di non vedere frustrata la propria esistenza (“Noi che abbiamo lasciato ogni cosa per te…”). La consegna a Dio della vita nella fede e nell’amore ha dunque la pretesa della definitività.

 

Conclusione

Una corretta educazione della coscienza morale prende sul serio quelle che sono le sue caratteristiche particolari. Innanzi tutto di luogo in cui si svela la promessa di Dio che dischiude l’orizzonte di libertà dell’uomo. Ritroviamo qui l’immagine conciliare della coscienza quale “nucleo più segreto” e di “sacrario dell’uomo dove egli si trova solo con Dio”[5] che fa da sottofondo al testo di Giovanni Paolo II al quale ci siamo ispirati, ma anche l’idea di coscienza come manifestazione della dignità della persona.

Inoltre la coscienza morale si comprende come momento in cui si attua la responsabilità cioè la risposta a Dio nella modalità stessa con cui Dio si è rivelato all’uomo, cioè all’amore. In questo senso allora il comandamento dell’amore è l’orizzonte a partire dal quale tutti i singoli giudizi e, le singole scelte trovano la loro consistenza. Il compimento della norma reclama che l’attuazione di essa venga compiuta nell’amore, con amore e per amore. Non sono possibili altre risposte perché Dio ha già “suggerito” (cfr. la presenza dello Spirito Santo come “paraclito”) la traccia di fondo per orientare ogni singola scelta e per illuminarne il senso: l’amore.

La coscienza morale segnala, infine, la cura perché ogni scelta concreta possa lasciar trasparire l’adesione al bene che va alla ricerca del giudizio corretto sul proprio agire. In questo senso recuperiamo la tradizionale lettura della coscienza come giudizio sull’azione. La coscienza morale che lavora per giungere a decisioni corrette ed illuminate dai principi oggettivi rivela che ogni persona, per mantenere vitale il proprio rapporto con Dio, è chiamata a sviluppare la fedeltà a partire dalle quotidiane sfida della vita nelle quali l’altezza dell’intenzione è chiamata a confrontarsi con l’efficacia storica dell’agire.

Prendere sul serio l’educazione della coscienza morale a partire dalla sua attuale comprensione, proporla nei termini di apertura promettente della vita in cui viene svelato il dono e il compito dell’amore significa dunque proporre un vero e proprio itinerario vocazionale in cui la persona nel fascino del bene può giungere a decidere di sé nella fedeltà di tutta la vita.

 

 

 

 

Note

[1] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso (Udienza generale, 17 agosto 1983), 2.

[2] P.A. SEQUERI, L’educazione della coscienza cristiana in Diocesi di Novara, Seguire Gesù il Signore: i fondamenti della morale cristiana, Novara 1995, 107-8.

[3] Idem, 112.

[4] Idem, 106.

[5] Cfr. Gaudium et spes, 16.