Libertà e maturità affettiva nel celibato consacrato
Una Trilogia “per Amore, con Amore, nell’Amore”, quella di P. Amedeo Cencini, che ci conduce a percorrere con penna d’esperto e sapienza di maestro, un lungo itinerario, con tutte le sue tappe, i suoi incidenti, le sue svolte, i pericoli, le affascinanti sorprese, il suo luminoso traguardo: l’iter del “Sì” alla verginità come progetto e dono di Dio, come risposta e adesione dell’uomo.
Un itinerario che congiunge in tale brevissima parola il mistero di due abissi: il Cuore amante di Dio e il “magnum profundum” dell’uomo. Da troppo tempo cediamo ad una immagine, a un concetto di “verginità” che ne tradisce la natura, il significato e dunque la fecondità, la portata, il senso vitale. Da troppo tempo dunque si tradiscono il progetto e le intenzioni di Dio sulla verginità cristiana, dono suo per ciascun vergine, ma in vista di tutti.
Era necessario allora – tale ci sembra l’intento dell’opera – risalire alle origini del mistero della verginità, sia quelle nascoste nell’Eterno Progetto del Creatore, sia quelle nascoste nella realtà antropologica, ossia nella natura stessa dell’uomo, spazio finito aperto sull’Infinito, avventura storica, vicenda temporale, destinata a percorrere un viaggio senza termine nel Cuore Amante di Dio.
Il Sì della verginità infatti dice una cosa fondamentale: è rivelazione di una identità d’uomo o di donna regalata dal Creatore dentro e attraverso un progetto d’amore originario, fin da prima della creazione del mondo (Ef 1,4), perché nella vocazione dell’uomo, della donna, è iscritta la sua identità.
Un progetto tutto da scoprire, illuminare, maturare fino alla pienezza della sua realizzazione, ma nato nel mistero dell’amore sapientissimo di Dio Trinità come volto autentico e singolare di una sua creatura. Ella “sarà”, se sarà “così”; il suo sì è un sì a se stessa prima di tutto in tutta la bellezza e la perfezione “sognata” da Dio per lei e da lei. Ciò fin dalle prima battute ha voluto dire l’Autore.
Ma cos’è, per lo studioso, la verginità?
Quanto abbiamo letto nei libri di P. Cencini ci farebbe dire che prima di tutto la verginità è “bellezza”. Dunque maestà di bellezza che rimandandoci il riflesso del Volto stesso di Dio non esiterei a chiamare “ontologica”. Essa ci dice Lui. Una bellezza stracarica di sensi e di significati, una bellezza ricchissima di sfaccettature, di dinamismi fecondi, di potenzialità vitali capaci di caricare l’esistenza e l’esperienza umana di tutta la densità del Mistero dell’Essere di Dio, Padre Figlio e Spirito Santo. Ne è come il ricettacolo naturale, il riflesso e l’erede per diritto di somiglianza.
Gregorio Nazianzeno scrive:
O Verginità, con onore ti saluto, da Dio regalata, tu doni a piene mani i beni più grandi. Madre di innocenza, toccata in sorte a Cristo, compagna di tutti gli spiriti esperti delle nuziali celesti bellezze… Prima virgo est sancta Trinitas. Vergine la Trinità perché unica divina luce purissima, che splende di triplice luce. Pura la sua natura, da ogni parte pura, origine d’ogni luce…
Verginità, infatti, dice trasparenza originaria, incontaminata, consistenza ontologica non minacciata, né tradita. Realtà, vita, allo stato puro, primigenio. E poiché dono di un Dio che è Amore, verginità dice liberissimo palpito di questo Amore, sua origine e sua destinazione. Modulo d’uomo che è risposta piena alle attese, alle intenzioni dell’Artefice, per tutti gli esseri umani. Per questo la vocazione al celibato, alla verginità consacrata è segno delle realtà primissime ed ultime riguardanti l’essere e la vita dell’uomo.
La determinazione: entrare nel sì alla verginità
A pagina 212 del I Volume il P. Cencini cita H.U. Von Balthasar che dice:
Adamo, fin dalle origini, all’atto stesso della sua nascita, già era stato scelto, elevato e chiamato, al di là di tutte le sue forze umano-naturali, a un amore per il Dio eterno e a una perfezione soprannaturale, adeguata alla misura di questo amore. Da ciò consegue che Dio ha concesso in dotazione a questo “primo” uomo, il quale serve da modello per tutti quelli successivi, anche le forze che lo abilitassero a una così eccellente esistenza dialogica nell’amore.
Ecco, questo è il vergine, il celibe che – per grazia – ha accettato e deciso di riflettere questo tipo d’uomo in tutto il suo essere e in tutta la sua vita. Scrive splendidamente l’Autore della Trilogia:
Il celibe consacrato… è – per prima cosa – rapporto con Dio, anzi, è amore di Dio… allo stato puro, potremmo quasi dire, poiché è amore che da Dio viene al cuore dell’uomo e a Dio torna senza la mediazione normale d’una creatura…; è “scelta esclusiva” perenne e totale dell’unico e sommo amore di Cristo, dunque profezia trasparente e subito decifrabile del “mondo nuovo” … La verginità per il Regno è… un frammento originario dell’amore divino, ma assieme, contemporaneamente, svela anche il cuore umano e quel che Dio può fare in questo cuore (Ibidem, p. 30).
In concreto, chi sceglie d’amare Dio al di sopra di tutto… rimanda in qualche modo “al principio”, alla condizione creaturale originaria dell’essere umano, che da Dio viene e da Lui è stato amato per primo e reso capace d’amare… rinvia… al progetto delle origini, a quella natura umana creata a immagine e somiglianza di Dio, “simile” a Lui però nell’amore, ovvero chiamata ad amare sulla sua misura, ma ancor prima (e sempre) chiamata ad amare Dio. Come dire, prima d’essere profezia del mondo futuro il celibato è memoria delle origini e tale memoria ricorda a ogni essere amante (Ibidem, pp. 44-45).
Sono paurose oggi le crisi del gusto e dello scadimento del senso estetico; e spiace, ed è inevitabile, che a farne le spese siano soprattutto i giovani; è inevitabile, soprattutto, che tale crisi si ripercuota negativamente nella vita e nelle scelte di chi dovrebbe essere testimone e memoria della bellezza di Dio e del suo amore…
È un dato che ci è consegnato con nitidezza dalla riflessione teologica di sempre: il celibe manifesta con la sua vita che è bello darsi a Dio, bello è essere del tutto suoi, bello è tutto ciò che ci avvicina a lui, la liturgia, il tempio, le celebrazioni, il canto, il parlare di Dio, il servirlo… È bello, in particolare non solo l’amore della coppia umana, ma è bello, immensamente più bello, l’amore di Dio per l’uomo e l’amore dell’uomo per il suo Dio, così bello da riempire in abbondanza un cuore e una vita. Dio è bello e dolce è amarlo: questo deve dire con gli occhi, con la parola, con l’azione, con il suo desiderio, con il suo amore vergine il celibe per il regno… (Ibidem, pp. 139-140).
Imparare il sì
Questa l’altissima qualità del sì nel quale colui che lo decide entra. Ma… il sì è da “imparare”. Tale bellezza
diventa oggi sempre più difficile “dire”, e non solo perché… mancano le parole o gli ascoltatori sono distratti e attratti da altre (pseudo) bellezze, ma anche perché è in crisi nell’emittente stesso la coscienza del legame tra bellezza e celibato, è in crisi la certezza profonda e la convinzione esperienziale che donarsi a Dio nella verginità non sia solo santo o funzionale al ministero, ma anche “bello”, e dunque vengon meno progressivamente il coraggio e la voglia di cercare e trovare la pienezza e il gusto della vita al centro della propria esperienza celibataria, e non ai margini di dubbi e amare compensazioni… Vivere la verginità al di fuori del legame essenziale con la bellezza vuol dire deformarla e un po’ tradirla: vuol dire viverla con atto solo volontaristico o eroico, o – al contrario – scadere lentamente così in basso da riempirla di quei compromessi e surrogati vari che offendono il buon gusto prim’ancora che la morale, l’estetica prima dell’ascetica (Ibidem, p. 140).
L’ideale attira, la proposta è vertiginosa e radicale. Finalmente – e il giovane ciò lo desidera con tutto il cuore – la rottura col borghesismo, con la fede feriale, per una vita “in salita” !
Con mano sicura, con attentissima sensibilità, le pagine del P. Cencini ci portano pian piano, prima a leggere, poi a identificare i percorsi ponendoci tra le mani gli strumenti per formarci alla lotta e alla vita adulta e così consolidare il nostro sì. Vorrei qui evidenziare quello che mi sembra, per l’Autore, il punto centrale, il fulcro d’ogni processo formativo soprattutto alla verginità che, come abbiamo visto, è tutta un fatto d’amore.
Cencini, scrive infatti (Vol. I, cap. III, Formazione al celibato oggi, pp. 87ss), dopo aver messo in evidenza la necessaria libertà dell’opzione celibataria come “fatto di cuore” e la conseguente formazione alla libertà:
Il formatore deve aiutare a cogliere la verità-bellezza-bontà del valore Cristo e d’una vita affettiva modellata sulla sua libertà d’amare, favorendo le condizioni di libertà interiori che consentono al giovane di scoprire la validità intrinseca dell’ideale proposto e di restarne affascinato… Il giovane va aiutato a scoprire che scegliere Cristo è vivere di più, è amare più intensamente, è essere più se stesso in modo originale (Ibidem pp. 101-102). La formazione deve giungere al cuore, al cuore biblicamente inteso come espressione di tutto l’uomo, perché chi si consacra a Dio… sia persona che ama con il cuore stesso di Dio e che ha gli stessi sentimenti del Figlio (Ibidem, p. 106).
Vivere il sì
Chi non ha sperimentato nel suo essere più profondo le contraddizioni, le lotte, le resistenze a quel rinnovato sì che vuol conservare tutta la sua vivacità, la sua trasparenza, la sua coerenza? Ma la natura vorrebbe resistere, difendersi da quel fuoco che continua a “bruciare” esigente.
Come difendersi da quell’io pigro e incostante, in realtà schiavo di sé, che sogna il riposino nel compromesso? Abbiamo sacrificato un giorno il nostro figlio Isacco. Le nostre comodità, le nostre cose, i nostri progetti anche di bene. Non basta? Chi non parla così nel suo cuore?
Ma cosa significa tutto questo se non un appello: ogni giorno il consacrato è chiamato a “liberare” e a “conservare libero” il suo sì, il suo io, dunque la sua libertà. E questo è il fascino e la chiamata, questo è l’inesauribile, l’instancabile dono-dinamismo dell’amore che conosce una sola legge fondamentale: la legge della “totalità”, “totalità gratuita” che non conosce tempi e misure.
Il celibato è ideale altissimo vissuto da un uomo con tutto il peso della sua umanità, scrive P. Cencini, ma soprattutto è messaggio quasi violento per quel che dice delle pretese divine sul cuore dell’uomo, e assieme particolarmente evidente e da tutti immediatamente decifrabile per quel che svela dell’amore di Dio e della capacità umana di sperimentarlo. Nessuno può passare accanto a questo segnale umanodivino e non percepirne il senso o non subirne in qualche modo la provocazione (Ibidem, p. 39).
Cosa significa tutto questo?
Chi sceglie d’esser celibe per il Regno rimanda inequivocabilmente alle questioni essenziali che ogni uomo deve porsi e risolvere, al significato centrale del vivere e del morire, dell’amare e del soffrire. E tale significato coglie nell’atto d’amore col quale Dio s’è rivelato all’uomo in Cristo e nella Sua croce (Ibidem p. 46). All’origine della scelta celibataria, allora, c’è un’azione libera e gratuita com’è l’atto di fede nella Croce di Cristo… (Ibidem p. 47). In concreto, la testimonianza di vita del celibe ribadisce fermamente che al di fuori e al di là della caritas rivelata dal Padre nella morte del Figlio non solo non esiste vero amore, ma la vita non avrebbe senso o non vi sarebbe addirittura (Ibidem, p. 48).
Durare nel sì
Una decisione come quella celibataria – scrive P. Cencini, esperto conoscitore dei meccanismi interiori sconosciuti allo stesso animo umano, – non si prende una volta per tutte; essere vergini non significa restarlo, bensì divenirlo. D’altro canto, l’amore del celibe consacrato è amore vissuto da un cuore di carne che conosce quelle fasi di crescita e di crisi proprie d’ogni amore umano… Come esiste l’amore giovane, l’adulto, il maturo e infine quello pienamente realizzato, così deve esistere una verginità che …attraversa le varie stagioni esistenziali… È solo accettando la legge della continua crescita che il mistero si compie e il progetto di verginità diventa fedele a se stesso (Vol. 3°, pp. 7-8).
Appassionata e insistente è nei volumi di P. Cencini l’esigenza della formazione necessariamente “permanente”. Formare significa assicurare al consacrato/a un’identità chiarita, realizzata, stabile e consistente, in asse con la Personalità, l’Identità umano-divina del Figlio. Le stagioni della vita, ciascuna certo con le sue prove e le sue fatiche, le sue nebbie e le sue rischiose flessioni, ma anche – se si è vigilanti – con la sua rinnovata e più adulta attrattiva verso l’Amore senza confini che fluisce e sgorga dalla Trinità Santissima, sono questa lenta configurazione a Cristo Sposo e Signore, ma sarebbe fatale la mancanza dell’accompagnamento formativo che illumina e orienta i passi di chi deve muoversi nel Padre, col Figlio, secondo lo Spirito.
Ma lasciamo che sia P. Cencini a descriverci tutta la densità di una esperienza verginale che una profonda e piena maturità umana e spirituale hanno portato, dopo la lotta al punto massimo della sua realizzazione, attraversando con consapevole realismo e coraggiosa responsabilità le inevitabili gole strette e insidiose dell’umana-divina montagna.
Vi potranno essere – egli scrive – disillusioni e sorprese negative nei confronti della propria vita o del proprio io… Molti sogni e progetti mostrano tutta la loro inconsistenza, molte cose che si erano programmate si sono rivelate eccessive per le nostre forze… E può essere addirittura… fattore di crescita se a questo punto la persona non si irrigidisce, ma accetta di mettere in discussione qualcosa e di purificare una certa immagine di Dio e di sé, impara ad andare all’essenziale delle cose, riscopre la ricchezza di senso della sua verginità, sfrutta i suoi limiti per fare esperienza della misericordia di Dio… (Ibidem, p. 212). Solo allora, soprattutto, il celibato introduce lentamente nell’esperienza mistica… E allora diventa possibile… tornare ai sogni antichi o forse formularne nuovi. Sogno come mistero, come intuizione di un’altra dimensione di vita che pure m’appartiene, sogno come mistica. Ciò che conta è che questi sogni siano strettamente legati alla passione tipica del celibe per il regno: la passione per Cristo (Ibidem, pp. 219-220).
E non è finalmente l’ingresso in quell’esperienza del mistero che è la mistica adesione al Dio della verginità?